[Mostly Weekly ~253]

Lo strumento giusto, l'importanza dell'ostetricia, vincere e perdere


A cura di Antonio Dini
Numero 253 ~ 7 gennaio 2024

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Influence is a combination of circumstance and luck: what we are shown and what we stumble upon in those brief years when our hearts and minds are fully open
– Ann Patchett



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Editoriale

Strumenti
L'inizio dell'anno è il momento in cui si fa un sacco di pianificazione (all'opposto della fine dell'anno, giusto pochi giorni prima, in cui si corre per chiudere tutto quello che è rimasto aperto). In realtà, pianificazione, esecuzione e revisione dovrebbero essere fasi costanti nella vita professionale e lavorativa di una persona. Scrive Alan Jacobs (opens new window): "Potrei avere il miglior sistema per prendere appunti del mondo e sarei comunque perso se non avessi periodi regolari di revisione e riflessione". La chiave? Non essere esigenti in fatto di strumenti di "produttività". Il suo unico vero strumento di gestione delle attività è un calendario, che usa per programmare orari regolari per la revisione dei suoi appunti e delle sue note. Questo non vuol dire che non fa altro e non usa degli specifici strumenti: solo che il suo ambiente di riferimento è il calendario.

Parecchi anni fa ero a Orlando, in Florida, e un dirigente di Ibm che era responsabile del software Lotus Notes (un software complesso: client di posta elettronica, messaggistica, calendario, pianificazione, web, applicazioni: in una parola, "groupware") mi spiegava la sua teoria: ognuno di noi ha un software di riferimento in cui "vive", cioè passa la maggior parte del tempo. C'è chi vive dentro Excel, chi dentro Outlook, chi dentro Word, chi dentro PowerPoint e chi dentro Access (per seguire lo schema di Microsoft). È apparentemente vero, e credo ciascuno di noi possa trovare qual è il suo, se ci pensa un attimo. Tuttavia, questo non è uno stato definitivo. Perché in realtà, nel corso dei decenni, abbiamo scoperto che il software è tutt'altro che immutabile. Anzi, evolve lentamente, come un ghiacciaio, e va in una sola direzione: verso la valle. "Qualsiasi programma – come dice la legge sullo sviluppo del software di James Zawinski – tenta di espandersi fino a che può leggere la posta elettronica. Quei programmi che non lo possono fare vengono sostituiti con altri che invece lo possono fare". Quelli che ce la fanno poi, alla fine, muoiono di enshittification (opens new window) (che è una brutta morte ma la parola è fantastica).

Molti pensano che possedere lo strumento giusto per prendere appunti (opens new window) sia essenziale per la produttività. E ritengono che lo strumento sia in qualche modo stabile. Non è vera nessuna delle due cose. Partire dallo strumento ci definisce e il fatto che lo strumento, cioè il programma, evolva (sempre nella stessa definizione) tende a cambiarci in modo oltretutto schematico. Jacobs, come abbiamo visto, la pensa diversamente e, devo dire, anche io. Per chi è convinto che pensare passi attraverso la scrittura, prendere appunti è fondamentale. C'è un modo "magico", uno strumento perfetto per farlo? No. Jacobs a volte prende appunti sul computer in file di testo; a volte scrive su quaderni (di vario tipo e dimensione); a volte prende appunti vocali sul telefono. Usa semplicemente quello che gli viene più facile al momento, anche se spiega che quando la sua mente è troppo piena si siede sempre con un quaderno e scrive a mano i suoi pensieri per almeno un'ora. Ma probabilmente potrebbe farlo anche con una nota vocale, se fosse più comodo.

L'idea di Jacobs è che potrebbe avere il miglior sistema di annotazione del mondo e sarebbe comunque perso se non avesse periodi regolari di revisione e riflessione. Ma l'idea più generale e astratta è un'altra, che mi aveva spiegato una domenica a San Francisco una signora che lavora per Micron, multinazionale tech atipica perché ha sede a Boise, nell'Idaho: "Non si parte dallo strumento software, ma dal bisogno. Bisogna capire cosa ci serve e poi trovare lo strumento giusto per soddisfare quel bisogno".

No, gli strumenti non sono importanti: quello che ho imparato e di non preoccuparmene e concentrarmi invece sugli obiettivi e sul processo.

Espressioni resilienti
I morgue file, archivi dell'obitorio, erano originariamente una raccolta di cartelle contenenti vecchi fascicoli e appunti conservati dagli investigatori criminali, nonché vecchi ritagli di articoli conservati dai giornalisti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. I documenti servivano nel caso in cui fossero diventati utili come raccolta di riferimenti rapidi. Era l'epoca in cui le ricerche richiedevano tempo e quindi andavano fatte prima di quando servivano.

Il termine morgue file è usato ancora oggi, ma con un senso leggermente diverso. Il suo campo di applicazione si è ampliato fino a comprendere molti materiali di post-produzione da utilizzare come riferimento, oppure per indicare un archivio inattivo. Cartelle (digitali, tendenzialmente, o file di testo nel mio caso) riempite di link, note, appunti e materiale vario per uno specifico argomento o dominio che sul momento non serve. Il termine è usato anche nello slang giornalistico americano per descrivere il raccoglitori che contengono i fascicoli dei numeri passati. Il termine poi è stato nel tempo utilizzato anche da illustratori, fumettisti, designer e insegnanti per descrivere il contenitore dove accumulano materiali di ricerche che un giorno potrebbero tornare utili.

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Fiat lux
Fiat lux ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Deputati
Le pistole non sparano, sono le persone che lo fanno.

Ordine
Potrebbe essere uno dei più banali stereotipi culturali ma, quando viene provato sul campo e porta a un risultato positivo, fa pensare a qualcosa di più profondo. L'evacuazione è stata perfettamente calma e ordinata, nonostante la comprensibile paura. C'è stato lo scontro, la botta, la fiammata. E mentre le fiamme divampavano molto lentamente grazie alle caratteristiche tecniche dell'aereo, a prevalere all'interno dell'Airbus A350 di Japan Airlines è stato l'ordine. Infatti, oltre a un equipaggio ben addestrato e a un aereo all'avanguardia dal punto di vista della sicurezza, l'evacuazione dei 367 passeggeri è finita 18 minuti dopo lo scontro (a cui ha fatto seguito una sbandata di quasi due chilometri, lo stop sulla pista, l'apertura degli scivoli e tutto il resto) grazie alla relativa assenza di panico e soprattutto al senso dell'ordine di chi si trovava a bordo. I passeggeri hanno aspettato seduti il loro momento, nessuno ha cercato di portarsi dietro trolley o altre cose (solo i cellulari) e alla fine a parte un po' di freddo sulla pista per quelli in maglietta nessuno si è fatto male davvero. Il New York Times (opens new window) (archivio (opens new window)) fa una bella analisi e ricostruisce i fatti molto bene.

Nastri
La storia a volte è davvero ironica. Durante un'operazione tipo "honeypot (opens new window)", il servizio segreto sovietico KGB inviò delle operatrici travestite da assistenti di volo per un'orgia con Sukarno (opens new window), all'epoca (anni 50-60) presidente dell'Indonesia. Il KGB filmò segretamente l'intera orgia nella speranza di ricattare l'inconsapevole presidente. Tuttavia, Sukarno era una creatura particolare: rivoluzionario, nazionalista, combatté contro l'Olanda e il Giappone e liberò l'Indonesia trasformandola in un Paese libero. Ma era anche un personaggio decisamente bigger than life dagli appetiti sessuali smodati e con una morale alquanto discutibile: un precursore dell'etica del bunga-bunga, insomma. Essendo la bestia sessualmente promiscua che era, quando il KGB minacciò di mostrare in pubblico i filmati, non solo non si spaventò neanche un po', ma anzi trovò l'idea ottima. Sukarno rimase infatti piuttosto soddisfatto da quel che i sovietici gli avevano fatto vedere in anteprima, e chiese addirittura di poterli avere per guardarli lui stesso con più comodo e mostrarli pubblicamente nel resto del Paese. La trappola sovietica fece decisamente cilecca. Un'ultima nota: non abbiamo i nastri e non sono nemmeno sicuro che siano mai stati resi pubblici.

Galassie
Quanto è grande l'universo? Lo sappiamo esprimere con dei numeri ma è difficile rendersene conto. Il mio modo personale è quello di trovare una scala comprensibile. Ecco come me lo racconto. Se il nostro Sole avesse le dimensioni di un granello di polvere (avete presente, quelli che si vedono solo quando sono sospesi in aria controluce), il nostro sistema solare planetario (escluse la fascia di Kuiper e la nube di Oort) avrebbe il diametro di un piattino da caffè. Il sistema solare planetario più vicino, Proxima Centauri, sarebbe un altro piattino da caffè posto a circa un isolato di distanza. Questo dà un'idea approssimativa della distanza tra i sistemi stellari della nostra galassia.

Ora, se disponessimo 100 miliardi di piattini da caffè su un piano, ognuno distante più o meno un isolato dai suoi vicini, l'insieme dei piattini da caffè coprirebbe l'intera superficie del continente nordamericano (e qui non stiamo parlando di profondità, ma solo di superficie). Quindi, il Nord America (che è quattro volte l'Europa) rappresenterebbe la superficie del disco della Via Lattea. Quindi, se il nostro Sole fosse grande come un granello di polvere e la nostra galassia, cioè la Via Lattea, fosse proporzionalmente grande come il Nord America, la galassia più vicina (Andromeda) si troverebbe a circa metà della distanza tra la Terra e la Luna.

Si potrebbe continuare cercando di calcolare le dimensioni degli ammassi galattici, dei super-ammassi (i cluster e i supercluster), e dei filamenti di galassie e presto saremmo comunque di nuovo in una scala astronomica. Insomma, l'universo è davvero molto grande, in una scala che è impossibile da comprendere perché è impossibile farne esperienza diretta. Va al di là della comprensione umana.

Ostetricia
Gli ominidi nostri antenati sono stati in circolazione per quasi sei milioni di anni, ma la specie umana ha solo 200mila anni. La civiltà seimila, la cultura scritta meno di tremila, la società industrializzata circa duecento. Un esperimento mentale, che molti anche involontariamente hanno fatto almeno una volta nella vita, è questo: chiedersi come facessero a partorire le donne preistoriche. Come facevano a farlo senza cultura, con una capacità di comunicare molto limitata e con pochissimi strumenti? Come hanno fatto? Cosa succedeva? La maggior parte di loro moriva dopo il primo parto? Oppure erano fisicamente più forti e quindi in grado di sopravvivere praticamente a tutto?

In realtà la domanda posta in questo modo è sbagliata. Possiamo ragionarci sopra, però. Guardando ad esempio i nostri parenti più stretti, gli scimpanzé, che non partoriscono mai da soli. Se possibile, hanno almeno una femmina più anziana ed esperta che li aiuta. Di solito più di una. Considerando ciò che sappiamo sui modelli sociali dei primati, ciò significa che con ogni probabilità questo comportamento era già presente nel nostro ultimo antenato comune, alcuni milioni di anni fa, ossia diversi milioni di anni prima che esistesse l'uomo. E, naturalmente, questo comportamento è stato presente in ogni società umana da sempre. Cosa vuol dire? Che la professione più antica dell'essere umano è quella dell'ostetrica. Questo dovrebbe mettere in una prospettiva diversa il modo con il quale pensiamo a noi stessi e alla nostra cultura, ma evidentemente (basta leggere un qualsiasi giornale) questo non accade.

Bella domanda
Come si fa a stare bene? Bella domanda. La chiave per una buona vita è qualcosa di elusivo oltre a essere un dilemma quasi metafisico: considerate solo che arrivare in fondo alla propria vita scoprendo di aver sbagliato strategia è un errore insuperabile. E poi bisognerebbe anche definire per bene cosa intendiamo per vivere una buona vita. E cos'è poi la felicità? Bella domanda. La risposta a tutti questi interrogativi sembra impossible. Come si fa, allora? Beh, è possibile un approccio scientifico a tutti questi problemi, per fortuna. È l'approccio perseguito dal più lungo studio sulla felicità umana: l'Harvard Study of Adult Development. Il programma ha analizzato la vita di molte persone per un arco di tempo parecchio lungo e adesso stanno emergendo alcuni punti fermi importanti di quello che costituisce "una buona vita" e i relativi comportamenti. È stata infatti stabilita una forte correlazione tra le relazioni umane più profonde e il benessere dei singoli individui. La domanda allora diventa: come si fanno a coltivare le relazioni profonde? Bella domanda (opens new window) (archivio (opens new window)).


Italiana

Gli abiti possono essere simboli. Sia di una società in cui si vive che di una costrizione. Mantelli, gonne corte, travestimenti: tutti strumenti di espressioni che ci determinano. Questo è l’abito del patriarcato (opens new window).

Nelle classi multiculturali delle scuole italiane si incontrano spesso casi simili: un malessere trascurato, a volte confuso con svogliatezza o capacità scarse. Se il disagio psicologico degli adolescenti è preoccupante, le ragazze e i ragazzi con background migratorio rappresentano una fragilità nella fragilità. Le ferite invisibili dei minori stranieri (opens new window).

Il Fatto Quotidiano scrive (opens new window) che su Vogue Ana Morales racconta di aver scelto di creare “una sorta di uniforme con abiti abbastanza simili nei colori, nei tessuti e nei modelli per aiutarmi ad alleggerire quello che per me era diventato un peso mentale". Cioè “indosso la stessa cosa ogni giorno, ho 20 magliette uguali e 5 pantaloni identici”. Per me me, tuttavia, il vero tema sotterraneo di questo periodo (opens new window) rimane quello del quiet luxury, nel bene (opens new window) e nel male (opens new window).

La crisi arriva assieme allo scoppio delle bolle? I Rolex adesso costano meno di cinquemila euro? I prezzi sono davvero in picchiata? O è solo speculazione? (opens new window) (Prima che me lo diciate voi: la qualità della pubblicazione è quella che è, la cito proprio per questo).


Multimedia

Spettacolare: Disney's Polynesian Resort Music Loop (Full 3 Hour Edition (opens new window)). Per lavorare o per rilassarsi è una delle cose migliori in assoluto.

C'è gente che suona tanto e con sempre buoni risultati dal vivo: i Jamiroquai. Qui a Camden, Londra (opens new window) con il Live at the Jazz Cafe del 25 ottobre 2006, e qui a Parigi (opens new window), alla Accordhotel Arena, il 29 novembre 2017.

Questo inverno sono stato all'Isabella Stewart Gardner Museum (opens new window), che mi ha dato una viva sensazione (ed è un costante generatore di conversazioni con alcuni amici: varrà la pena tornarci, un giorno) ma non avevo capito che è stato anche oggetto di uno dei più grandi furti di opere d'arte di sempre. Questo documentario in inglese, Rembrandt - The master of light and shadow (opens new window), inizia proprio raccontando il furto e poi cresce, dando uno dei ritratti di Rembrandt visivamente più interessanti. È il modo con cui una volta si facevano i documentari televisivi, stile Quark e SuperQuark di Piero Angela per intenderci. Prima che i produttori di documentari assumessero i cameraman e montatori dei videoclip hip-hop, quelli che storcono in continuazione l'inquadratura e saltano da un'inquadratura all'altra ogni due secondi. Tra quelli vecchi e belli sull'artista olandese c'è anche questa Definitive Guide To Rembrandt (opens new window): una storia di Rembrandt Harmenszoon van Rijn più analitica e piatta ma molto informativa.

Poi dicono che collezionare macchine per scrivere sia una cosa da maschi. Ci sono anche le ragazze: la forza scorre potente in questa (opens new window), ad esempio, grazie alla sua documentata ossessione per le macchine per scrivere Smith-Corona Serie Five.


Tsundoku

Danielle Steel
Pacific Heights, una zona di colline a San Francisco. Un castello di tre piani in stile barocco francese con 50 stanze, la Spreckels Mansion. È la casa principale di Danielle Steel, anche se lei passa molto tempo nella sua casa a Parigi. Ha avuto un successo enorme, la critica la considera pari a zero, ma lei è probabilmente l'autrice più venduta al mondo con 190 romanzi che hanno venduto qualcosa come 800 milioni di copie. Cosa leggere? Neighbors (opens new window) (in italiano Vicini di casa (opens new window)). Il romanzo tocca argomenti importanti (il terremoto di San Francisco, la violenza sulle donne) ma con un modo relativamente leggero). La Steel ha un modo di lavorare alquanto particolare: a 76 anni scrive per venti ore (opens new window), anche di più, non senza polemiche (opens new window), e usa da sempre solo la sua macchina per scrivere: una Olympia SG1 standard comprata usata a 20 dollari (ne ha un'altra identica a Parigi).

Gary Jennings
Nel 1984 o giù di lì trovai all'edicola dietro casa un romanzo-fiume di un tipo che non avevo mai letto: sulla copertina c'era scritto che nel 1982 aveva vinto il premio Bancarella. Era L'Azteco (opens new window), un romanzo storico pubblicato due anni prima da un autore americano, Gary Jennings, e ambientato nel 1500. La cornice è quella di un romanzo epistolare: il Vescovo del Messico, Juan de Zumárraga, scrive al Re di Spagna che desidera conoscere cosa c'è nella sua nuova colonia. Per documentarsi il vescovo usa un anziano indio che parla anche spagnolo e che racconta il racconto della sua fenomenale vita e quella del popolo Mexica.

Quello di Nuvola Scura, Tliléctic-Mixtli, è una specie di Milione dall'interno che racconta la gloria e la fine del "Cem-Anahuac" (L'Unico Mondo), sino all'arrivo di Hernán Cortés e i suoi conquistadores, quando l'impero Azteco collassa su se stesso. Ho adorato quel romanzo e mi sono letto anche gli altri scritti dall'autore (quattro in tutto, tra cui un seguito del 1997). Poi nel 1999 Jennings, giornalista viaggiatore, è morto ma non il suo personaggio, le cui gesta sono passati per altri quattro romanzi postumi scritti da Robert Gleason e Junius Podrug. Vale la pena leggere solo l'originale, però, che piacque molto anche alla critica.

James Clavell
Sempre in quel periodo (l'adolescenza è fenomenale per costruire il gusto di una persona) "inciampai" anche in un altro autore-fiume per me straordinario: l'australiano James Clavell. Nato a Sydney, ha combattuto in Malesia contro i giapponesi, è stato a lungo prigioniero (e ha imparato molto sia del Giappone che poi della Cina e di altri paesi asiatici) e poi è diventato scrittore e sceneggiatore. È morto nel 1994, a 70 anni tondi tondi. Ha fatto i soldi in realtà scrivendo sceneggiature, ma i suoi sei romanzi, raccolti in quella che è chiamata La Saga Asiatica, sono notevoli e hanno avuto anche un buon riscontro di critica oltre che di pubblico. Un amico mi regalò l'edizione rilegata di quello che è il più moderno ed eccentrico di quei romanzi, Tempesta (opens new window), in originale del 1986. Segue, come tutti gli altri romanzi della saga, le gesta della famiglia . A essere particolare di Tempesta è l'ambientazione: l'Iran della caduta dello Scià e dell'ascesa dell'Ayatollah Khomeini, con il racconto di una Persia che oggi sembra mitologica ma era invece era vera nel 1979 e per me molto attuale, visto che a Firenze avevo conosciuto alcuni ragazzi le cui famiglie erano fuggite da Teheran. È un romanzo avvincente, per usare uno stereotipo piuttosto liso. Tuttavia Clavell aveva davvero un dono. Qualcosa che non si può insegnare o guadagnare. Respirava storie, aveva il ritmo della narrazione. Scriveva nella tradizione più antica e grandiosa che la narrativa conosca ed era capace di legare storie ampie e complesse, con decine e decine di personaggi attraverso più generazioni. È stato il primo autore di lingua inglese a rendere popolari personaggi asiatici che non fossero stereotipati. Il suo lavoro più famoso è Shogun (opens new window), da cui venne tratta una miniserie negli anni Settanta con Richard Chamberlain (il dottor Kildaire e Uccelli di rovo) come protagonista. Sarebbe stato il libro giusto da cui cominciare, perché era il primo della Saga Asiatica in ordine cronologico. L'ho letto anni dopo e mi è piaciuto molto, come del resto anche gli altri.

Isaac Asimov
Il capolavoro di Isaac Asimov, la Trilogia della Fondazione, fu scritto prima dello sviluppo della teoria del caos e si sbagliava di grosso sulla prevedibilità a lungo termine dei sistemi sociali. I sistemi caotici diventano sempre meno prevedibili con il tempo, e la società è un sistema caotico. Asimov invece, con la Psicostoria, aveva immaginato che, dato un algoritmo sufficientemente sofisticato, abbastanza dati e potenza di calcolo, la storia fosse prevedibile.

Invece, il caos impedisce questo tipo di occorrenza. Nessuno durante l'Impero Romano avrebbe potuto prevedere l'alfabetizzazione diffusa che si è avuta con l'invenzione della stampa, e l'enorme espansione della conoscenza e dei cambiamenti sociali che ne sono derivati. O i grandi cambiamenti nelle strutture sociali che si verificarono dopo che la peste nera uccise un terzo della forza lavoro europea. E nessuno, a metà del XX secolo, avrebbe potuto prevedere Internet, i social o il loro impatto su di noi. Per questo l'idea centrale di Asimov, che la storia possa essere prevista con largo anticipo, è del tutto impossibile.


Coffee break

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Al-Khwarizmi

Ruffiani
Un professore cinese di giornalismo, Shen Yang, ha usato l'intelligenza artificiale per scrivere un romanzo di fantascienza (opens new window) in tre ore: ‌ Land of Memories. Poi è risultato vincitore (secondo posto, in realtà) di un concorso nazionale. Il tutto è insaporito da un contesto molto autoreferenziale, perché il tema centrale della storia è una intelligenza artificiale che soffre di amnesia, vive nel metaverso e cancella la memoria a chiunque passi dalle sue parti (più o meno). "È la prima volta che una storia centrata su una AI vince un premio letterario nella storia della letteratura e dell'AI", ha detto il professore, aggiungendo che il processo di creazione del romanzo sarà dettagliato e reso pubblico "per chiunque voglia imparare a creare una buona narrativa con l'AI".

Digital-Psycho-Twin
Le implicazioni sono numerose, ovviamente. Suppongo che nessuno abbia pensato che, celebrando le "repliche" di studiosi fatti con le AI conversazionali che si basano sulle loro opere pubblicate e sulle interviste e podcast, delle persone reali possano venir influenzate dalla conoscenza, dall'esperienza e dalle idee che gli esperti non hanno mai elaborato in maniera esplicita o, se è per questo, nemmeno implicita. Per capire di cosa sto parlando: nel Sud della California l'imprenditore tech Alex Furmansky ha creato una versione chatbot della psicoterapeuta belga Esther Perel, recuperando i podcast dello psicologo da internet. Ha usato il chatbot per ottenere dei consigli durante una recente crisi sentimentale. Questo articolo dà un'occhiata ai vari chatbot modellati su esperti reali (opens new window), come un altro terapeuta, lo psicologo statunitense Martin Seligman, che spesso vengono creati senza autorizzazione, evidenziando una zona grigia dal punto di vista legislativo e culturale. Tim Wu, che è uno degli esperti del settore nonché l'architetto delle politiche antitrust dell'amministrazione Biden, è netto: "Penso che non sia etico e che sia qualcosa di simile allo scippo del corpo di una persona". Il motivo per cui clonano gli psicoterapeuti dovrebbe dirci qualcosa sul periodo storico nel quale stiamo vivendo.

Genio
Il Guardina ci regala (opens new window) un profilo del creatore di Mario e Zelda, Shigeru Miyamoto, che è entrato in Nintendo nel 1977 e ha dichiarato di non avere intenzione di ritirarsi come direttore rappresentativo dell'azienda. Una volta ricordo che lessi da qualche parte che il regista Hayao Miyazaki era una specie di Miyamoto dei cartoni animati, oggi visto il successo planetario del secondo penso che sarebbe Miyamoto ad essere indicato come una specie di Miyazaki dei videogame. Ecco, pensatelo così, con la differenza che la Nintendo non è sua (lo Studio Ghibli non è più di Miyamoto, ma ci siamo capiti). Il lavoro portato avanti da Miyamoto in più di cinquant'anni è semplicemente incredibile e lo fa entrare in un club ristrettissimo di una pattuglia di super autori che è stata capace di rivoluzionare il mondo dell'intrattenimento videoludico. Nel suo caso, più di una volta.


Type Type Type Type
Type Type Type Type ~ Foto © Antonio Dini

La coda lunga

Si vince e si perde
Inseguire i propri sogni. O la propria missione. Chissà cos'è che attira alcuni di noi. Comunque, ci pensavo l'altro giorno e mi sono ricordato di Snoopy che diceva al suo amico Woodstock, l'uccellino giallo: "Penso che sia un'illusione che uno scrittore abbia bisogno di uno studio di lusso. Uno scrittore non ha bisogno di un posto in riva all'oceano o in montagna: alcuni dei nostri migliori libri sono stati scritti in posti molto umili". La frase di Snoopy è sufficiente per far volare Woodstock nel suo nido a battere a macchina. E per rimandare tutti noi che scriviamo al tavolo della cucina, o alla poltrona sgangherata in un angolo del soggiorno, al tavolino incastrato in fondo al letto. È fondamentale tornarci. E Snoopy? Beh, lui dedicò il suo primo libro a Woodstock, "Il mio amico degli amici". Ma soprattutto, nel corso degli anni, Snoopy ha fatto anche molto di più: ha insegnato a tutti noi, non solo a quelli che scrivono, l'importanza del fallimento.

Snoopy ha realizzato qualcosa che pochissimi aspiranti autori fanno: ha scritto tantissime cose (partendo sempre dal famoso "Era una notte buia e tempestosa"). Già questo lo rende unico: la maggior parte degli aspiranti autori non voglio scrivere un libro, ma vogliono averlo già scritto. Sono due cose molto diverse.

Ma Snoopy è andato oltre. Ha ricevuto molte più lettere di rifiuto di quante non sia lecito immaginare o aspettarsi. E i rifiuti variavano, come è normale che sia, dall'impersonale, al frivolo, al crudele. Non solo le lettere di rifiuto per i libri. Anche le partite a tennis perse. Il Sopwith Camel regolarmente crivellato di fori di proiettile del Barone Rosso. Le partite di hockey dove veniva stracciato. Snoopy era disposto a perdere anche nelle storie che si inventava e nelle quali era l'eroe principale. Non perdeva tutte le volte, attenzione, perché vinceva anche. Ma non sempre. Tuttavia, ha vinto e poi ha perso ma ha continuato a essere "cool": cioè, è rimasto se stesso sia di fronte al fallimento che al successo. Questa non dovrebbe essere solo il progetto di vita di uno scrittore: dovrebbe essere il percorso di vita di una normale persona adulta. E chi lo insegnato? Un personaggio nella pagina dei fumetti di una serie di quotidiani e riviste.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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