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Mostly, storia di un biglietto da visita


Alcuni anni fa ho deciso di cambiare il mio biglietto da visita. Le conseguenze sono state a loro modo notevoli e arrivano sino a qui, a questo sito.

business card

Nel mio mondo, infatti, cambiare il biglietto da visita vuol dire pensare molto, oltre a pianificarne e progettarne le specifiche, cercando di applicare il più possibile un metodo di lavoro che poi è la versione semplificata della "ricetta del riso verde" di Bruno Munari.


Il vecchio biglietto da visita (2005-2015)

La prima versione "milanese" del mio biglietto da visita risaliva ai primi anni duemila (prima ce n'erano stati due o tre tipi in maniera un po' avventurosa e mai completamente progettati da me) e aveva sopra molte informazioni. Anzi, il suo obiettivo era proprio quello di comunicare più informazioni possibili: chi sono, numero di telefono, indirizzo, posta elettronica, social e altro. Avevo fatto una ricerca piuttosto lunga per capire come sono fatti i biglietti da visita, quali dimensioni e orientamenti possono avere (ritratto o panorama?), quante facciate (solo davanti o anche dietro) e che tipo di gabbia grafica ci volesse. Mi era chiaro fin dal principio che non volevo un biglietto prefabbricato: era più divertente progettarlo da zero.


Il logo e il QR Code

Uno dei punti critici che era emerso fin da subito era il logo: le business card hanno il logo aziendale, oltre al nome della persona, la sua qualifica e il nome dell'azienda. La pensata che feci fu di metterci un grosso QR Code a mo' di logo, in alto a sinistra, che risolveva due problemi in un colpo solo: da un lato dava un'aria lavorativa al biglietto da visita (cioè permetteva la funzione di business card con il logo simil-aziendale) e dall'altro semplificava la vita a chi voleva trascrivere le informazioni e inserirle nel proprio telefonino.

La parte divertente del QR Code (di cui non sapevo niente) è stato il lavoro di ricerca per trovare lo standard giusto che permettesse non solo di farlo leggere ma anche di codificare in maniera corretta le informazioni della card. Infatti, viaggiando molto per lavoro, quel biglietto da visita sarebbe finito (ed è in effetti finito) in mano a persone di nazionalità e culture molto diverse in tutto il mondo. Ci volevano le informazioni codificate in uno standard compatibile con il maggior numero possibile di sistemi, cosa non banale. E poi c'era da risolvere il problema della dimensione del QR Code, che all'inizio era enorme e che poi nel tempo per fortuna si è rimpicciolito, man mano che le fotocamere dei telefonini diventavano sempre più performanti e consentivano di inquadrare e risolvere immagini più piccole. Alla fine, nelle ultime iterazioni della business card il QR Code era diventato davvero una specie di icona che arredava il mio piccolo rettangolino di carta.


Il nuovo biglietto da visita (2015-oggi)

La nuova versione avevo deciso che dovesse seguire una filosofia diversa. L'obiettivo cambiava e passava da quello della comunicazione massima a quello di un approccio minimalista. Solo l'essenziale. Quindi, niente QR Code e indirizzo o qualifica, solo nome, telefono, mail e sito web, più un motto per definirmi. La scelta stava anche nel fatto che i contesti nei quali interagivo (e interagisco tutt'ora) sono molto diversi sia dal punto di vista professionale che culturale. Inoltre, con il passare degli anni punto sempre di più all'essenziale e le cose barocche e troppo complesse non mi attraggono più.


Nuovi problemi

I problemi a questo punto erano diventati due: come definirmi (giornalista non basta, faccio anche altro nella vita) e come arredare il biglietto da visita, dato che non possiedo un logo aziendale.

La quadratura del cerchio è arrivata pian piano, seguendo sempre l'approccio di Munari con una interessante variazione: fare il reboot di qualcosa è diverso da progettarlo per la prima volta. C'è differenza anche qualitativa. Comunque, dopo un bel po' di lavoro (mai detto di essere uno veloce) ho trovato la frase giusta che mi definiva e mi definisce: mostly, I write, cioè perlopiù scrivo. Con questa idea (maturata grazie all'aiuto determinante tra gli altri di Roberto Corsi e di Stilgherrian) ho ripescato anche il font della macchina per scrivere Olivetti Lettera 32 regalatami da mio nonno che usavo da ragazzino, e la parte grafica e concettuale della business card per me così erano a posto. Rimanevano solo piccoli dettagli da fissare (la divisione delle cifre del mio numero di cellulare, ad esempio) ma poca roba e facilmente risolvibile.


Il razionale

Il font stile Lettera 32 fa la parte della grafica e del logo nella mia business card: il testo diventa rilevante non solo per il contenuto ma anche come soma-testo, per la sua forma. Invece, la frase mostly, I write definisce la mia identità: tutto quello che faccio passa (per lo più) dalla scrittura, intendendo con Paul Graham l'atto dello scrivere come un modo per pensare e generare nuove idee (opens new window). Questo vuol dire che, attraverso la scrittura passano le mie attività di giornalista, docente, autore e tutto il resto. Anche questo sito ha dietro qualche centinaio di pagine di appunti scritti nel corso degli anni (ve l'avevo già detto che non sono veloce, no?). Riprogettare il mio biglietto da visita-business card, che è uno strumento di comunicazione molto personale, mi ha costretto a pensare e ripensare la mia identità in maniera esplicita, arrivando a una idea che prima si è condensata attorno a mostly, I write e poi si è espansa nel canale Telegram, quindi nella newsletter Mostly Weekly e adesso in questo sito, Mostly Here dove si trovano la maggior parte delle cose che scrivo e che ho scritto.