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Guidare una Tesla Model 3 è stato come passare dal vecchio Nokia al primo iPhone

A giro per la Toscana a Ferragosto con una Tesla Model 3 e tutta la famiglia. Non penso mi ricapiterà, ma ne è valsa la pena perché è stato bello (finché è durato). Ecco il dietro le quinte di quei giorni


(1 settembre 2019)


Tesla Model 3
Tesla Model 3 (Foto © Antonio Dini)

Quest’estate è successa una cosa buffa nella vita della mia famiglia. Siamo andati in giro per dodici giorni in macchina per la Toscana per raccontare com’è usare un’auto completamente elettrica. Cioè, il viaggio era per lavoro, ma cercando esplicitamente di metterci dentro un pezzetto di vita. Non la prova su circuito o il giro per la città con la persona delle pubbliche relazioni accanto che ti racconta quanto è bella e come va bene. No, invece abbiamo convinto Tesla a darci in prova una Model 3 dual motor, long range per dieci giorni a cavallo di ferragosto, ci ho caricato sopra la famiglia (compagna e due bimbi di quasi sette e quasi quattro anni) e siamo partiti. Unico mentore, la “Guida illustrata del Casentino” scritta dall’avvocato Carlo Beni uscita nel 1881 (la mia è una ristampa anastatica, ovviamente). Perché il Casentino, la valle secondo me più bella delle tre principali della Toscana, era la nostra metà. Da là ci siamo mossi per tutti i successivi spostamenti, come racconto nell’articolo che si trova qui, pubblicato martedì 3 settembre 2019. Questo, invece, è il backstage, per così dire.

Carlotta16

Ma torniamo alla Model 3, anzi a Carlotta16 come l’ha subito ribattezzata la mia figlia di tre anni e mezzo. Come è andata la prova e le considerazioni fatte ovviamente sono materiale dell’articolo, se vi interessa leggerlo. Qui ho pensato di raccontare un po’ del backstage e considerazioni aggiuntive, perché per quanto lungo un solo articolo di giornale è per sua natura tutt’altro che esaustivo. C’è un sacco di roba che ho studiato prima della prova e poi visto, provato e forse capito durante che è rimasta nella penna, per così dire. Mettetevi comodi, insomma, perché non sarò breve.

Tesla Model 3 a Castiglione del lago
Tesla Model 3 a Castiglione del lago (Foto © Antonio Dini)

Anticipo qualche pensiero. La prima su Tesla, l’azienda fondata da Elon Musk e criticata neanche come la Apple di Steve Jobs dai filo-Microsoft. Non entro nel merito, anche se nell’articolo c’è ovviamente un passaggio dedicato a questo aspetto. I critici sostengono sostanzialmente che Musk sia un peracottaro, mentre per i fan è una specie di reincarnazione di Steve Jobs con più capelli e qualche anno in meno. Per me la vita personale, imprenditoriale e finanziaria di Musk non è interessante. Quel che registro è che Tesla, pur tra difficoltà notevoli non ancora terminate, in pochi anni è riuscita a creare un intero ecosistema basato su una idea di auto radicalmente innovativa e progressivamente più economica, con tanto di rete per la ricarica che fa parte integrante del progetto.

Al di là di tutto, ce l’hanno fatta, e la Model 3 è un’auto che esiste, si può comprare e funziona. È una berlina quattro porte compatta “executive” (cioè di fascia alta) del segmento E. È totalmente elettrica e relativamente poco costosa (35mila dollari nel mondo ideale dei listini, ma con i vari allestimenti e motorizzazioni arriva a 60mila). Lo scopo della prova era vedere se questa, che è indubitabilmente la punta più avanzata di auto elettrica (nell’articolo l’ho definita un po’ pomposamente “ideale platonico e “idealtipo” di auto elettrica), “c’è”. Nel senso: è veramente una macchina che una famiglia medio borghese potrebbe comprare al posto chessò di una Bmw Serie 3, di una Audi A4 o di una Giulia dell’Alfa Romeo (per rimanere nel suo segmento e nella sua fascia di prezzo) e andare a giro senza problemi?

TL;DR: sì, alla grande!

Interni bianchi

La versione in prova, la “nostra” Carlotta16, era blu oceano con interni bianchi, un accostamento devo dire notevole e assolutamente resistente alla prova viaggio con bagagli e bambini: quando alla fine della prova ho smontato seggiolone e alzatina (mio figlio maggiore ha sei anni e mezzo), tolto le cose da mangiare e tutto il resto, riportato in casa valigie, sacchi, sacchetti e pure la chitarra elettrica (non chiedetemi niente), dopo aver aspirato le tonnellate di briciole e pezzetti di cracker e biscottini vari, gli interni della macchina erano perfetti. Abbiamo fatto noleggi per meno tempo con vetture paragonabili che hanno avuto risultati drammatici.

Carlotta16 è la versione dual range e dual motor. Questo vuol dire in buona sostanza che ha una autonomia elevata (499 chilometri) rispetto alla versione “normale”, e una accelerazione e velocità di punta maggiori (fa 0-100 in 4 secondi e arriva a 233 Kh/m, che viaggiando con la famiglia su strade e autostrade italiane ovviamente non ho mai toccato). La versione “maggiore”, la Performance, fa i 250 e 0-100 in 3,2 secondi. Ha in più una modalità di guida “track” che tra un attimo vi spiego perché fa parte di un cambiamento secondo me importante delle automobili e di conseguenza del modo con il quale dovremmo imparare a guidarle.

I due motori di Carlotta16 (uno davanti tra le ruote anteriori e uno dietro tra le ruote posteriori, con una sensibile prevalenza di coppia per quest’ultimo) sono sincronizzati via software (non c’è un giunto con una trasmissione e un differenziale che facciano girare le ruote davanti e dietro in sincrono meccanicamente) e creano una trazione AWD (All Wheel Drive) differente da quella integrale. Funzionano perfettamente ma tutto sommato sono più flessibili e configurati per essere più “generosi” con gli errori del pilota di un 4WD. A differenza di una trazione integrale, che se si scompone o perde aderenza su tutte e quattro le ruote ha poi forti problemi di recupero dell’assetto, le correzioni software, la distribuzione del peso tra i due assi con i due motori e il pianale con tutte le batterie che fa un “effetto terra” notevolmente stabilizzante, la AWD della Model 3 è più difficile da far andare via. E meno male.

Quanto costa la Model 3

Il prezzo finale, compreso i cerchi da 19 sportivi, se non sbaglio è attorno ai 55 mila euro, o poco meno. Dico “se non sbaglio” perché poi ci sono gli incentivi, che variano da regione a regione e a seconda del momento storico, inclusa la parte della eventuale rottamazione di un altro veicolo, e che sono però limitati alla soglia dei 60mila euro (sopra le auto sono considerate di lusso e non ci sono più incentivi possibili, mi è stato detto). Insomma, capire il prezzo finale non è facilissimo. Sul sito di Tesla, dove si comprano le auto in alternativa ai loro showroom, c’è un selettore che guida passo passo. Poi c’è anche la possibilità di fare ulteriori acquisti, sia in fase di configurazione che dopo aver comprato la macchina, e cioè prendere il software per la sterzata assistita e la navigazione assistita.

Questo apre un secondo capitolo, e cioè non tanto il fatto che l’auto sia elettrica – si può infatti guidare come una normalissima e molto divertente auto con un unico rapporto 9,5-a-1 e la coppia immediatamente disponibile per accelerazioni e riprese brucianti – quanto che abbia sensoristica, connessione LTE continua e software costantemente aggiornato OTA che permettono di avere una forma di guida autonoma semplificata e in parte bloccata dalle normative locali. Però, come sostiene Tesla, il quantitativo di sensori e la potenza di calcolo di quell’auto è “future-proof”, nel senso che quando sarà disponibile una app abbastanza smart da riuscire a guidare davvero la macchina da sola, anziché assistere la guida del pilota, non ci saranno problemi di potenza di calcolo o sensori. E oltretutto non ci saranno problemi neanche quando arriveranno in Italia i Supercharger di terza generazione, le postazioni di carica di Tesla con 250 kWh di potenza (attualmente ne hanno meno di 120), che ridurranno i tempi di ricarica 10%-90% da mezz’ora/quaranta minuti a dieci minuti. Perché, salvo non si facciano viaggi lunghi, le batterie non vanno mai caricate al massimo per tenerle in buone condizioni per molti anni (tipo quindici).

I vantaggi dell’auto completamente elettrica

Solo da queste note che ho scritto sopra ci sono tantissimi discorsi che si potrebbero fare. Il primo è che l’auto elettrica nella versione della Tesla, è un oggetto relativamente costoso ma con dei vantaggi rispetto alle auto della sua fascia o immediatamente meno costose. Ha un bollo e una assicurazione molto ridotte, e accesso più o meno universale alle zone “vietate” della città, ai parcheggi con strisce blu e verdi, e “passa” nelle giornate di bollino nero. Costa anche molto meno rifornirla: al Supercharger il ”pieno” della batteria da 75 kWh di Carlotta16 costa poco meno di 25 euro. Le paline di terze parti variano tantissimo, alcuni fanno pagare a tempo altri a kW ma c’è l’incognita della potenza erogata che può essere bassa e richiedere molto tempo. Grazie al cielo gli adattatori stanno diventando standard, anche se Tesla non consente agli altri veicoli di caricare ai suoi Supercharger.

Tesla Model 3 al Castello di Poppi
Tesla Model 3 al Castello di Poppi (Foto © Antonio Dini)

In più, la Model 3 sostanzialmente è un’auto priva di manutenzione: con poche decine di parti in movimenti e per di più sigillate, non ha olio da cambiare, neanche le pastiglie dei freni (che vengono aiutati costantemente dalla frenata-motore rigenerativa e durano più di 100mila chilometri) e pochissimi organi interni. Non c’è ad esempio una trasmissione convenzionale. È una macchina che “dopo”, se non ha incidenti, l’autofficina non la vede più. E questo è comune alle auto completamente elettriche ma non alle ibride (che anzi, di manutenzione hanno molto bisogno), tanto che probabilmente è il motivo per cui i concessionari non le consigliano con piacere e anzi spesso cercano di dissuadere dall’acquisto (guadagnano molto di più dalla manutenzione delle auto tradizionali con motore a combustione).

I motivi per pensare che la Model 3 come TCO, total cost of ownership, sia più bassa della concorrenza termica potrebbe essere reale. Ma va verificato e certo non lo si fa in dieci giorni. I primi esemplari di Model 3 sono stati fabbricati negli Usa nel luglio 2017, in Italia è venduta dallo scorso maggio e ce ne sono un po’ più di mille in circolazione. La “promessa” è che si tratti di un’auto capace di durare – batteria compresa – dai trecentomila chilometri in su, fino a 600mila senza problemi e senza usura del motore in senso tradizionale, perché i motori elettrici non si usurano e non vanno fuori fase come quelli termici (provate a guardare i vecchi tram di Milano, le vetture a carrelli Serie 1500 progettate da Peter Witt nel 1928, che ancora girano senza problemi).

Gli svantaggi dell’auto completamente elettrica

l primo svantaggio che viene sempre citato da tutti è sostanzialmente l’ansia da ricarica: il terrore di finire senza elettricità. E di non avere posti per la carica vicini, e di non poter fare un viaggio lungo. Di questa cosa parlo diffusamente nell’articolo principale, quindi non ha senso ripetermi qui nel backstage se non per dire che questa ansia, con 499 chilometri di autonomia, secondo me non ha senso. Sia che ci sia la possibilità di ricaricare la sera nel garage (se uno ha il garage) sia che non ci sia. È la mia opinione, non voglio far polemica con tutti quelli che hanno altri chilometraggi, anche perché l’autonomia è fortemente vincolata sia alle condizioni atmosferiche che allo stile di guida: le batterie al freddo performano peggio e se si fanno brusche accelerate il consumo diventa quello di una vecchia Lamborghini a carburatori a cui state tirando il collo in pista.

Un altro svantaggio specifico di questa macchina è il suo bellissimo tetto in vetro con filtri anti UV e oscuramento: ripeto bellissimo e crea tutta un’altra atmosfera (oltre a dare un paio di centimetri in più di spazio per chi è alto) ma se siete tutto il giorno sotto il sol leone e magari siete anche alti e pelati vi bolle il cervello per induzione. Non perché “passi” dalla protezione, ma perché siete troppo vicini al vetro che comunque si scalda e conduce il calore abbastanza. Basta il cappellino per proteggersi, è un disagio quasi da cabriolet, ma ci siamo capiti. Per i bambini, nessun problema: la distanza fisica dal vetro è sufficiente per azzerare o quasi l’effetto di induzione dell’esposizione diretta ai raggi solari della superficie del tetto. Fa solo caldo ma senza preoccuparsi.

Il terzo svantaggio, per il quale fortunatamente non ho esperienza diretta, è il costo delle riparazioni in caso di piccoli incidenti: i parafanghi e le fiancate sono pieni di sensori (videocamere, radar e sensori sonori) che impattano sul costo in maniera significativa. Questo alle assicurazioni non piace, anche perché quello che ti sbatte sul parafango quando sei parcheggiato prima o poi lo trovi. Perlomeno, io l’ho sempre trovato.

Non mi viene in mente altro di generale, ma salteranno fuori andando avanti. Ci sono dei problemi specifici della Model 3 che adesso rapidamente in un “bello vs brutto”.

Il bello, il brutto e il cattivo di Carlotta16

La cosa che fin dall’inizio non mi è piaciuta per niente è il pulsante per l’apertura delle portiere in modo elettrico, messo dove uno si aspetterebbe il pulsante dei vetri. Soprattutto se hai bambini che smanettano, non ti fa piacere. Poi, c’è la maniglia per aprire meccanicamente, che ti dicono di non usare perché i vetri si abbassano prima di aprire o chiudere (non c’è il profilo superiore, come nelle cabriolet e altre auto sportive) ma in quel caso non lo fanno e si rischia di fare danni. Ci ha provato mio padre e la mia compagna, nonché io una volta, ma per fortuna è andata sempre bene e non abbiamo strappato la guarnizione o rotto il vetro. Però io la leva l’avrei protetta di più e soprattutto spostato il pulsante di apertura.

Sul tetto in vetro in piena estate ho già detto sopra. C’è collegato il problema del lunotto posteriore che è stretto e molto alto, perché è stato retrocesso il montante. In pratica, si vede molto poco dallo specchietto retrovisore centrale e bisogna sempre combattere con le teste dei passeggeri e gli eventuali pacchetti messi sopra. Poca roba, se uno proprio vuole c’è la telecamera posteriore attivabile sullo schermo centrale, ma ti perdi il navigatore e tutto il resto.

Non ho altre cose negative da trovare, se non la generica considerazione che cambia molto. Il bello, bellissimo di questa macchina è lo stile. Mi piace moltissimo il neo-minimalismo californiano: sembra una automobile fatta dalla Apple soprattutto negli Interni. Interni che sono totalmente assenti: ci sono due pedali (freno-acceleratore, ma basta l’acceleratore per guidare), il volante piccolo e molto regolabile (non c’è niente da vedere attraverso) con due rotelle a quattro direzioni sopra, e le bacchette delle frecce da una parte e tergicristallo dall’altra (i fari no). E basta. Ah, sì: ci sono due pulsanti, dove di solito ci sono le luci di cortesia anteriori. Una per le doppie frecce e l’altra – che mio padre ha premuto pensando spegnesse le luci che invece si spengono premendole direttamente – mette direttamente in contatto con il quartier generale di Palo Alto in caso di emergenza totale globale. Per fortuna l’abbiamo stoppato in tempo.

Tutto il resto sta nello schermo touch rigido a orientamento orizzontale da 15 pollici che è una goduria. Si riesce a fare tutto e lo si fa comodamente. Diventano un po’ difficili gli aggiustamenti della radio/spotify/telefono se uno insiste a farli manualmente senza invocare l’assistente vocale, ma per il resto funziona davvero molto bene. Non distrae e fornisce una prospettiva unica e completa delle attività di guida. Ci ritorno tra poco, se mi ricordo.

I materiali degli allestimenti sono super sobri ma distinti. Se siete persone da auto in pelle umana e plance che sembrano rificolone, con bottoni cromati, leve e pulsanti tipo cruscotto da cacciabombardiere e ricca dotazione di schermetti Oled a caso un po’ ovunque, siete sull’auto sbagliata. Peccato (per voi).

Il motore e la guida

Ho messo apposta lo stile della macchina come cosa che mi piace di più. Interni e design della carrozzeria sono fantastici, mi piace davvero tutto il pacchetto. E la guida? Beh, quella è fantascienza. Ho trovato che guidare questa auto per dieci giorni sia stata una di quelle esperienze che poi ti tolgono il gusto di salire su un’auto normale per il resto dei tuoi giorni, proprio perché è una esperienza completa e molto diversa dalle sue concorrenti nella stessa fascia. Non è come girare in Porsche, che non c’entra niente con le berline: questa è decisamente un’auto normale con prestazioni impressionanti e uno stile e una linea deliziosi. Proprio come dovrebbe essere, secondo me.

La considerazione non è solo estetica: la guida è facilissima, soprattutto se si è già abituati alla guida automatica. Il selettore accanto al volante è una levetta che permette di selezionare in alto, in basso o premendo. Con quest’ultima mossa si mette l’auto in Parking. Verso l’altro c’è la retromarcia (R) e verso il basso la modalità D (drive, la marcia o “diretta” come si diceva una volta). La folle si trova muovendo una volta con leggerezza la leva tra D e R.

La D non è una marcia automatica nel senso a cui siamo abituati di solito: le ruote dell’auto hanno un unico contatto diretto con il motore, con un rapporto per cui a circa dieci giri del motore corrisponde un giro delle ruote. Sia in avanti che indietro, a seconda della fase del motore elettrico. Teoricamente potrebbe fare 233 Kmh anche all’indietro ma ovviamente non li fa perché è limitata dal software. Non fa più di 233 in avanti anche qui perché limitata dal software. In teoria il motore elettrico scarica subito tutta coppia e continua ad andare fino a che non gira troppo veloce e si surriscalda o svuota la batteria a velocità epica. Per dare una guidabilità accettabile e disporre i tre modelli sul mercato, il motore o il doppio motore viene limitato. E tutto, dalla trazione ai sensori che vigilano con cento operazioni al secondo, è costruito attorno al software. Attenzione, non parlo di guida intelligente ma di guida e basta. L’auto è sostanzialmente un iPad con quattro ruote, non c’entra niente con il modo con il quale vengono progettate e costruite le altre auto.

L’innovazione

La modalità “track” a cui accennavo all’inizio lo spiega bene: non si tratta di “sganciare” l’Abs o il controllo di trazione come si fa sulle berline di lusso potenti, o anche quelle sportive, andando verso la “meccanica cruda” dell’auto. Togliere le briglie alla bestia. No. Qui è diverso: è passare a un vero e proprio profilo custom (e personalizzabile) che regola tutto diversamente: motore, sospensioni, coppia, trazione etc. Le altre auto sono vincolate a una meccanica predefinita, la Model 3 è programmabile sostanzialmente come un computer. Per dire: se c’è un problema di sospensioni (non è stato il nostro caso) la casa madre lo rileva e può intervenire correggendone la taratura in remoto. Non è decisamente la stessa cosa con Audi o Bmw.

Penso che il valore di Tesla nella costruzione della macchina sia proprio questo: aver innovato portando uno sguardo diverso ed esterno in un settore come quello delle automobili in cui i grandi costruttori ci pensavano loro innovare ma solo quando volevano loro ma anche come volevano loro. Un po’ come la vecchia Nokia quando nel 2007 è arrivato l’iPhone di Apple, che sosteneva che lo sapeva lei come si facevano i telefonini. Poi infatti si è visto cosa è successo, e per le auto lo stanno vedendo anche i tedeschi o i francesi o i giapponesi (Fiat non è chiaro cosa abbia visto) oltre agli americani. Se un giorno doveste mai chiedervi come mai Tesla abbia tantissima stampa specializzata contro (soprattutto in passato, ma insomma) la risposta è probabilmente nella paura dei grandi produttori automobilistici del pianeta che si riflette e viene interiorizzata dall’intero settore, giornalisti compresi.

Un altro modo di andare a spasso

L’auto non fa rumore. Ma proprio niente. Da fuori è impressionante. Anche a velocità medie o sostenute, non c’è niente. Se acceleri a manetta, niente. Se entri in autostrada dall’autogrill e ti spari a 130 in 4,5 secondi, niente. Senti solo il rotolamento dei pneumatici, il fischio dell’aria e basta.

Questo non vuol dire che per i passeggeri Carlotta16 sia silenziosissima: anzi. L’abitacolo non è particolarmente isolato acusticamente dall’esterno: i rumori che vengono da fuori si sentono abbastanza, anche quelli aerodinamici. Manca totalmente il rumore e la vibrazione del motore. La sensazione è incredibile. Salendo e scendendo dalla statale della Consuma (un passo da 1047 metri) o per andare alla Verna o Camaldoli, monasteri arrampicati sull’Appennino Tosco-romagnolo, tenendo i finestrini aperti e viaggiando in mezzo a querce e castagni sembra di andare in giro in mountain bike. Pazzesco. Se vi state comprando questa macchina (o già l’avete) pensatela come una cabriolet inglese, da godersi e non per fare le corse, e andate a giro per posti belli con i finestrini abbassati. È una vera libidine.

Non solo non fa rumore, ma non vibra. Non si capisce se è accesa o spenta, quando ci sali sopra (hint: è accesa sempre). E i bambini, secondo la mia compagna, non si addormentano perché non sono cullati, come succede con le auto normali, dalle vibrazioni del motore. Ma i suddetti bambini (perlomeno, i miei) non soffrono neanche il mal di macchina, perché mancano vibrazioni e ondeggiamenti. L’auto è piantata per terra, ha uno sterzo solido e preciso, risposte sportiveggianti e un comportamento molto piacevole e deciso. I bambini dormono meno ma si rilassano e, bontà loro, non vomitano. E per i miei che hanno sistematicamente vomitato su tutte le auto in cui sono stati ha voluto dire godersi il viaggio come un piccolo principe e una piccola principessa.

Aiuta il benessere anche la vista del cielo e la vista anteriore, che la mia compagna ha paradossalmente un po’ sofferto perché eccessiva: “Sembra di essere al cinema, non in auto, da quanto vedi davanti”. Le fa impressione perché lei è un passeggero da fila posteriore, per vocazione: va dietro e si mette a fare la Settimana Enigmistica, non pensando più al viaggio, bontà sua. Così avete capito anche da chi hanno preso lo stomaco delicato i figli. Per questo motivo abbiamo piazzato il piccolo davanti, con la promessa che non avrebbe toccato lo schermo, e lui si è divertito lo stesso, spostando avanti e indietro, su e giù, il sedile motorizzato e – ma solo ogni tanto – girando la direzione dell’aria condizionata sul display.

Lo spazio, davanti e dietro, è generoso anche perché non c’è niente che passa sotto, manca tunnel della trasmissione. C’è solo un piccolo rialzo per la staffa e il longarone che tengono agganciati i sedili anteriori, anche perché sotto come detto, da asse ad asse, c’è un unico lunghissimo pianale pieno di batterie.

Tesla Model 3 al parcheggio
Tesla Model 3 al parcheggio (Foto © Antonio Dini)

One pedal driving

Guidare è facile: si tiene sempre in tensione l’auto con l’acceleratore, e quando si alza il piede l’auto anziché veleggiare comincia a frenare: è la frenata rigenerativa. Opzione che può essere tolta, anche perché le prime volte è spiazzante. In realtà è fondamentale: ti permette non solo di ricaricare le batterie aumentando l’autonomia (sali in montagna e ovviamente consumi di più, ma quando scendi recuperi fino a due terzi dell’energia utilizzata) ma anche di guidare con un piede solo. La necessità di frenare diventa praticamente inesistente se non nel ciclo urbano, e anche lì è molto ridotta: l’auto rallenta progressivamente e dolcemente ma in maniera decisa.

Questo stile di guida, che è un po’ il segreto di Pulcinella tra gli utenti Tesla, è comodissimo e se ne diventa rapidamente schiavi. Se l’auto automatica è più comoda di quella con il cambio perché non c’è la frizione, questa diventa ancora più comoda perché il freno serve solo per le emergenze. E poi si può ovviamente fare di più.

Autopilota, navigazione assistita e cruise control

Entra in scena il computer. Questo nella parte della guida “attiva”. Sono possibili tre cose. Azionando la leva del cambio verso il basso una volta mentre si marcia, attiva il cruise control. L’auto cioè tiene automaticamente la velocità del momento, a prescindere che la strada salga o scenda o curvi. Sta a noi girare lo sterzo e frenare al semaforo, oppure cambiare la velocità con una delle due rotelline sul volante, ma – e questa è la differenza – se quello davanti a noi rallenta anche la nostra auto rallenta. E se si ferma, si ferma dietro di lui alla distanza settata. E se riparte, riparte anche lei. A sterzare ci dobbiamo pensare noi.

Ve lo dico in un altro modo: le code diventano una cosa accettabile. Se non fosse che l’auto parte e si ferma in modo morbido e ci sono sempre i geni che cercano di infilarsi in mezzo (pensa te).

Poi si passa all’autopilota se si viaggia in autostrada o strada statale o tangenziale, con il simbolino del volante visibile perché vuol dire che l’auto “capisce” la strada e potrebbe guidare. Si aziona la leva del cambio verso il basso due volte, l’auto fa “sdeng” e guida lei. Il volante si irrigidisce, l’auto si mette al centro della carreggiata (fa impressione sentire in mano che sta guidando lei) e segue la strada. Solo questo. Si può regolare la velocità con la solita rotellina, bisogna stare attenti che ogni tanto Google Maps ha velocità massime sbagliate (tipo 90 quando dovrebbe essere 50) e bisogna tenere le mani sul volante. Se non si reagisce (perché distratti o magari addormentati) l’auto lampeggia lo schermo interno sempre di più, fa rumore e poi (mi dicono) rallenta, mette le doppie frecce e dovrebbe accostare a destra sino a fermarsi.

La navigazione assistita è una opzione in più (che si paga a parte rispetto all’autopilota) e permette in maniera opzionale di agganciarlo a un itinerario, ma ci torno tra poco.

Come mi sono trovato con l’autopilota e la navigazione assistita

Mi sono trovato bene ma non benissimo. L’auto guida come se avesse la P dietro: da dilettante di buona volontà. Marcia centrale nella corsia, tende ad allargare i curvoni, non si sbriga nelle situazioni complesse o nei lavori in corso e, se ci sono curve tese o segnaletica stradale brutta, ti molla la guida senza preavviso con uno “sdeng” e il volante tuo. Questo è un incentivo a tenerci le mani sopra, devo dire. Sulla Cisa me l’ha fatto una decina di volte prima che mi arrendessi e me la guidassi tutta io. Sulla A1, su altre strade “dritte” o sull’autostrada del Brennero, è andata liscia che sembrava pagata. La navigazione assistita aggiunge tre cose, a quel che ho capito. Prima di tutto la possibilità di avere suggerimenti e poterli accettare semplicemente muovendo la freccia nella direzione giusta. La seconda è avere suggerimenti di direzione rispetto all’itinerario (uscire in modo semi-automatico dall’autostrada, svincoli e junctions che da noi però sono rarissime) e infine, terza cosa, i consigli di guida “tattica” rispetto al traffico.

In pratica: aggancio la mia destinazione alla navigazione assistita dopo aver fatto partire l’autopilota e Carlotta16 si mette nel mezzo della corsia di destra a 130. C’è un’auto davanti che va più piano, Carlotta16 mi suggerisce di spostarmi a sinistra per sorpassarla dopo che ha “guardato” che non arrivi niente da dietro. Sposto la freccia a sinistra e lei si sposta di corsia. Idem se stiamo andando a sinistra e arriva uno più veloce: Carlotta16 si guarda attorno e mi suggerisce di spostarmi a destra, se la corsia è per lei sufficientemente sgombra.

Devo dire con franchezza che ha tempi di azione dilatati e richiede spazi di manovra enormi almeno per i nevrotici guidatori italiani. Soprattutto per quelli che arrivano a 160 da destra su tre corsie e tagliano in diagonale per passare davanti a tutti. È una delle due cose che odio delle nostre autostrade, unita a quelli che verso il Brennero mi arrivano a 170 sfanalando mentre io sorpasso a 130 qualcuno di più lento con due corsie. Solo teoricamente, ma posso dire che se affondassi l’acceleratore quello che arriva a 170 me lo berrei in un attimo, perché la ripresa di Carlotta16 lui non ce l’ha neanche se torna al concessionario a farsi mettere due cilindri in più. Cara Giulia Quadrifoglio che ci sei rimasta di sasso dopo avermi abbronzato la nuca con i tuoi abbaglianti, sto pensando proprio a te.

Quando si arriva all’uscita o a uno svincolo per cambiare tronco autostradale, Carlotta16 mi propone di girare per uscire. Basta mettere la freccia e lei ci si butta come una poiana, anche troppo stretto e pericoloso in questo caso.

E allora questo autopilota?

Alla fine, ho usato l’autopilota solo in autostrada e relativamente poco, sia per l’orografia del nostro Paese che per i limiti che il sistema ancora presente soprattutto nei curvoni. e anche un po’ per la maleducazione della maggior parte degli automobilisti. Non sai mai se lei ti molla la guida all’improvviso perché magari non capisce più la strada o frena perché teme una collisione con un pirla che ti si infila davanti in uno spazio per lei troppo stretto ma per lui, ovviamente, “abbondante”.

Invece, ho usato moltissimo il cruise control, che è molto comodo e “semplice”. Per il resto, soprattutto sulle strade di montagna, il piacere e il divertimento di guidare direttamente questa auto per di più con un piede solo, sia in salita che in discesa, è enorme. Non fa rumore, non deve dimostrare niente a nessuno con un boato da cacciabombardiere, ma va via che pare un siluro. Non c’è grado di inclinazione della strada che l’abbia messa in crisi, pur pesando quasi due tonnellate a vuoto e portandosi dietro mezza casa infilata nei due bagagliai (ah sì, perché ha un bagagliaio tipo Smart anche davanti).

L’autopilota se hai la Model 3 mi sa che te lo compri, ma di sicuro oggi come oggi non è l’acquisto della vita. Lo sono di più le altre due funzioni che dicevo. Secondo me “cruise control smart” (che non so se sia disponibile come optional o sia di serie) e one-pedal drive (decisamente di serie) fanno già la differenza.

Ma lo schermo non ti distrae?

Guidare con lo schermone è sorprendentemente utile e non distrae. Intanto perché è grande e presenta bene un sacco di informazioni. E poi perché cercare nei menu le configurazioni non è una cosa che fai spesso e soprattutto non in marcia. Si può configurare tutto, ma non serve farlo continuamente. Ad esempio: imposti le luci (automatiche a secondo della strada e luminosità esterna) e il tergicristallo (automatico, se piove) il primo giorno nel parcheggio e poi vai avanti per sempre. Mica devi smanettarci in continuazione.

Molti dei parametri da regolare sono cose che non fanno parte della operatività della macchina, non servono quando si guida. Si configura e un po’ ce ne si dimentica. Poi ci sono anche altre cose che si possono fare: ai Supercharger o comunque a macchina ferma ci sono i videogiochi, che con degli adolescenti servono sempre (i miei sono piccoli e ancora ai videogiochi non ci siamo arrivati, quindi nisba).

La app, Summon, modalità sentinella e la gente

Poi c’è la app, che ti permette di fare moltissime cose. Da pilotare la ricarica ad aprire e chiudere la macchina semplicemente avvicinandoti o allontanandoti. Meglio non lasciare dentro la compagna addormentata, però, mentre porti i bambini al bagno, perché parte l’allarme e se lei era cardiopatica l’avevamo già persa. Si può usare l’app anche per avviare riscaldamento o condizionamento (comodissimo devo dire), e avere report di eventi della “modalità sentinella”.

Questa è una novità, un pezzetto di software ancora immaturo perché registra tutto quel che accade davanti e sui fianchi dell’auto se avverte del movimento, oppure fa da dashcam in marcia. Solo che vuole chiavette Usb formattate in modo particolare per scaricare i video, non permette di farlo facilmente, non si capisce quanta memoria ha, non te lo fa vedere in auto sullo schermo (perché boh) e non te lo trasmette sul telefono (per motivi di privacy). Insomma, voi che avete la Model 3 aspettate che vi arrivi l’aggiornamento alla versione 2.0, che tanto è di serie. Inoltre, la notte si brucia un 5% della carica della macchina (maledetto lui).

Inoltre, dal telefono – stando vicini all’auto – si può attivare l’auto e farla entrare o uscire da un parcheggio o da un box. Lo abbiamo fatto più volte con la nostra Carlotta16, un felino di quasi due tonnellate. Alla gente pare piacere molto perché rimanevano a bocca aperta. Dicevano anche cose strane. E poi, questa macchina diciamoci la verità che attira l’attenzione. Mentre viaggi ti guardano, mentre sei fermo ti guardano. Se non ci sei, la guardano uguale e tu lo sai perché vedi le registrazioni video. Quando si parcheggia da sola (un po’ larga) ti guardano. Quando ti verrà a prendere nei parcheggi a 50m di distanza ti guarderanno ancora di più. Insomma, c’è voluto un po’ per addomesticarla ma quando entri nello spirito poi cambia tutto. L’unica cosa che mi ha veramente depresso è il mio conto in banca, che non mi permette neanche di prenderla in considerazione (mannaggia!).

Tesla Model 3 bye bye
Tesla Model 3 bye bye (Foto © Antonio Dini)

Conclusione

Perché la sensazione dopo aver lasciato Carlotta16 alla Tesla con tanti saluti di un buon vento e ringraziamenti per tutto il pesce, è quella di aver dato indietro un pezzo di futuro, ed essere tornato ad abitare in un passato che non riconosco più molto come mio. Non so se è il mio lavoro e il mio profilo personale ma a me quel futuro piace molto. A livello di entusiasmo. Non è per tutti così. Ho amici e parenti altrettanto entusiasti e altri invece che pensano che sia una boiata totale e troppo costosa. Altri che non la vogliono neanche vedere, perché arrivati a un certo punto della propria vita forse abbiamo fatto il pieno di cose nuove e vorremmo solo un presente consolatorio che ci conforti con delle sicurezze e che non ci spaventi invece con l’incertezza del cambiamento. Perdipiù elettrico!

La mia compagna invece è diventata una grande amica di Carlotta16, così come i miei figli. Lei è affascinata dalla capienza dei bagagliai e dalle linee eleganti del finale della fiancata, quando il vetro posteriore chiude accanto alla carrozzeria con il filo che va nella stessa direzione. E dalla leggerezza della guida: riesce a fare le parole crociate a schema libero senza quasi accorgersene. E dietro c’è la porta Usb per ricaricare il suo iPad mini. Insomma, alla fine era comoda anche lei.

Invece, il titolo di questo articolo fa riferimento alla sensazione che ho provato quando negli Usa, era l’autunno del 2007, ho comprato a un Apple Store di Las Vegas l’iPhone 2G. Non sapevo cosa aspettarmi, pur avendolo provato in anteprima a gennaio di quell’anno a San Francisco. Averlo in tasca invece è stata la rivoluzione per me. All’improvviso il Nokia mi pareva un relitto del passato.

Carlotta16 è quella cosa lì: ho guidato un UFO, ero dentro una bolla di vetro, senza far rumore, passando accanto a migliaia di auto, furgoni e camion rumorosi e puzzolenti, meccanicamente complessi in maniera inutile. Ho visto centinaia di pompe di benzina guardandole per la prima volta e rendendomi conto di quanto spazio rubano. E parliamo poi dei concessionari di auto? Distese di asfalto e palazzi pieni di marchingegni che un giorno vedremo come oggi si guardano gli orologi meccanici: costosi, complessi, obsoleti, per collezionisti.

Mi sono sentito parte di un pezzetto di futuro possibile, che inquina molto meno ed è più progredito, più a misura d’uomo. Mi sono fatto l’idea che Carlotta16 potrebbe essere un’auto che ha senso usare per dieci, quindici, fino a venti anni. Non per “finirla” trasformandola in un rottame ambulante che inquina e consuma più di quanto i progettisti volessero, ma perché ha la capacità meccanica e tecnologica di fare 600mila chilometri senza trasformarsi in un rottame, ammesso che la carrozzeria regga (quello chissà, solo il tempo ce lo dirà).

Sarà anche vero che quelli di Tesla non sanno fare “automobili”, ma Carlotta16 io la comprerei subito. Possibilmente blu con gli interni bianchi (e long range, grazie).

‌(pubblicato il 1 settembre 2019)