+

L'idea platonica dell'auto elettrica

Dodici giorni di test sulla Tesla Model 3 per scoprire cosa succede a guidare una full electric con tutta la famiglia a bordo


(pubblicato ad agosto 2019)


La Tesla Model 3 non è solo una macchina elettrica. È anche l’idea platonica di una macchina elettrica. L’idealtipo al quale guardare per capire come è fatto e a che punto è il nostro futuro. Perché, tra le altre cose, è già arrivato. Annoiati profondamente dalle prove viste finora, con giornalisti e videoblogger che vanno su pista, avanti e indietro, a forte velocità in scenari fortemente irreali, ho deciso di fare in maniera diversa.

Questa estate ho caricato la mia famiglia sulla Model 3 e per dieci giorni sono andato a spasso in Toscana, in Versilia e fino a Lucca, in Casentino: su e giù fra il Falterona, le sorgenti dell’Arno, il laghetto degli idoli (la Lourdes degli Etruschi per virtù curative della acque), Camaldoli, la Verna, Stia, Poppi, Bibbiena. E poi giù fino ad Arezzo, Anghiari, Sansepolcro, il lago di Massaciuccoli. E poi indietro e su, il passo della Consuma, la Firenze-Bologna e l’autostrada per il Brennero fino al Lago di Garda (la famiglia si ferma là) e di nuovo Milano a riportare la macchina.

L’obiettivo è provare l’esperienza dell’idea platonica di elettrico in uno scenario reale: due bambini piccoli e la dolce metà, seggiolone, alzatina, borse termiche, palloni, racchette da tennis, valigiate di cose da portarsi dietro, Xamamina sempre a portata perché i piccoli non amano viaggiare in auto, soprattutto su strade di montagna. Ma l’obiettivo è anche capire il conflitto in corso in uno dei settori più importanti dell’economia attuale: termico contro elettrico, colossi dell’automotive contro Elon Musk, la disruption che sta rivoltando come un calzino un settore estremamente conservatore, competitivo e profittevole (per chi sopravvive). Musk colpisce al cuore anche l’industria petrolifera, costringendo il ”big oil“ a ripensare il suo business stradale, ma anche offrendo inedite opportunità alle compagnie elettriche per entrare nel settore delle reti di rifornimento. E soprattutto, cambia radicalmente l’automobile, non solo per via del suo motore ma anche per l’aggiunta del software smart che la rende parzialmente autonoma, capace di guidare (poco) da sola. Insomma, ce ne sono di cose.

Prendiamo l’auto in prova pochi giorni prima di Ferragosto. Appena mia figlia di tre anni e mezzo la vede, è subito amore: blu oceano, con gli interni bianchi – poltrone e plancia – e un enorme seggiolone tutto per lei nel posto centrale posteriore. Mentre la sistemo l’ha già battezzata: Carlotta16. Mio figlio maggiore, sei anni e mezzo, vorrebbe cambiare ma lei resiste: la Tesla Model 3 è femmina e a lei piace così. La madre è d’accordo, e io cosa potrei obiettare?

La rivoluzione marcia su quattro ruote elettriche. L’auto è minimalista, la plancia è condensata in un enorme schermo touch da quindici pollici, non c’è nient’altro a parte il volante e la pedaliera. È il minimalismo di Apple e la Model 3 sembra un iPad con quattro ruote. L’americana Tesla è la punta “automotive” delle aziende hi-tech della Silicon Valley che hanno stravolto o vorrebbero stravolgere le nostre vite e il mondo così come lo conoscevamo. Sono le aziende che seguono il ”paradosso dell’innovatore“ di Clayton M. Christensen: bisogna stravolgere tutto, anche se stessi, altrimenti si resta schiacciati dall’avversario che ancora deve nascere. Con l’ideologia del digitale e la sua applicazione tecnica hanno fatto saltare i settori tradizionali dell’economia: la nuova regola è che il primo vince tutto. È così per il retail con Amazon, per la telefonia con Apple, per le relazioni sociali con Facebook e un po’ per tutto con Google.

Dietro Tesla (chiamata così in onore del serbo Nikola, inventore dell’alimentazione a corrente alternata) c’è Elon Musk, che è un personaggio pittoresco (Robert Downey Jr ha detto di essersi ispirato a lui per la caratterizzazione di Tony Stark/Iron Man) ma capace di realizzare le sue ”visioni“ a costo di inventarsi un’altra realtà. Per l’auto elettrica il ”master plan” è semplice: investendo sull’azienda di Martin Eberhard e Marc Tarpenning, nata nel 2003, Musk ha cominciato vendendo auto elettriche sportive e molto costose ai ricconi per finanziare berline sportive e molto costose. Le quali, a loro volta, hanno finanziato le berline per la famiglia dai prezzi accessibili (la Model 3 e la prossima Model Y) e la creazione di una rete di produzione e distribuzione di energia a zero emissioni. Il frutto maturo della rivoluzione è la Tesla Model 3, la berlina che è arrivata questa primavera in Italia e che negli Usa in un anno ha battuto tutte le avversarie del suo segmento D: Audi, Bmw, Mercedes per dirne tre.

Musk non è solo: con lui ci sono i politici di mezzo mondo che cercano di imporre per decreto l’abbattimento delle emissioni. Ma l’effetto non cambia: è Tesla l’azienda che ha costretto il comparto automobilistico a lasciare il lucroso settore dei veicoli a trazione termica, cioè le auto tradizionali, rivoltare a suon di miliardi le sue fabbriche per costruire veicoli che siano elettrici e verdi. C’erano già le elettriche e le prime ibride, ma erano delle foglie di fico: adempimenti normativi sopportati come un’ulteriore tassa da pagare per continuare a far soldi con diesel e benzina. Adesso c’è competizione.

La Model 3, anzi Carlotta16, è un bolide quattroporte da 1,9 tonnellate per via delle batterie da 75 kWh messe sul pianale che le danno però una stabilità incredibile. Ha due bagagliai perché i motori elettrici (che sono due, in questa versione, uno davanti e uno dietro) sono sull’asse delle ruote. Fa 230 chilometri all’ora, fa 0-100 in quattro secondi, ha una coppia istantanea con guizzi e ripresa da supercar, una potenza stimata di 350 cavalli e un’autonomia di 500 chilometri. Guidarla è molto divertente e riposante. L’impostazione minimalista è meravigliosa, ma forse perché sono un utente Apple di lungo corso.

La Model 3 porta però con sé l’ansia da rifornimento, la paura che non funzioni a dovere, il timore che sia una macchina “mal fatta”, l’ansia di una sterzata e navigazione assistita (l’autopilota) potenzialmente pericolosa o quantomeno incompleta. In Italia è arrivata a primavera a partire da 48mila euro (il modello utilizzato è full optional e ne costa poco meno di 60mila). Alti rispetto al prezzo promesso di 35mila dollari/euro, che però sta arrivando con le versioni ad autonomia ridotta. Perché il costo delle batterie incide moltissimo. La promessa è una macchina potente, smart e meccanicamente molto più semplice delle auto tradizionali (grazie all’elettrico) e che quindi può andare per 500mila chilometri senza tagliandi o particolari manutenzioni. Costa meno rifornirla (un pieno al Supercharger sono una ventina di euro) e costa molto meno mantenerla. Almeno, così ci dicono. In Italia ne hanno vendute un migliaio prima dell’estate e l’entusiasmo tra i tifosi è altissimo.

Il mio obiettivo è più semplice: capire se Carlotta16 sa fare quel che deve: portare a giro in modo confortevole una famiglia media italiana.

La prima a passare è quella che gli americani chiamano “range anxiety“, ansia da ricarica: l’auto fa quasi 500 chilometri con una ricarica completa, e l’Italia ho scoperto essere punteggiata di paline di ricarica. Non c’è paesino o agriturismo che non ne abbia un paio, sono persino più degli autovelox che i comuni Toscani disseminano sulle strade statali come i cacciatori le trappole nelle foreste. Casomai il problema è che le paline sono tante e di aziende diverse, ognuna che richiede il suo modo. Alle colonnine ufficiali di Tesla infatti non servono applicazioni, tessere o smartphone: agganci e vai, pagamento incluso perché sei già registrato con Tesla. È la vera forza dell’ecosistema. Gli altri? Beh, qualcuno ci prova anche a farti sottoscrivere online un contratto per la corrente a casa, perché le paline sono gestite di solito dalle utility regionali e nazionali. È un business nascente per loro. In Gran Bretagna ci sono già più distributori elettrici che pompe tradizionali. Tesla ha deciso di integrare verticalmente anche questo settore e si è costruita la sua rete di 1.500 Supercharger, punti di ricarica (31 in Italia con altri 24 in costruzione) con una dozzina di postazioni per auto ciascuno.

Facciamo l’A1 da Milano a Parma e da là svoltiamo per la Cisa, che ci porta a La Spezia, e poco dopo a Forte dei Marmi per la prima ricarica. La guida della Model 3 porta con sé varie sensazioni: la prima però non è tanto il silenzio quasi irreale (il motore elettrico non emette praticamente suoni ma comunque si avverte il rotolamento dei pneumatici) ma la totale assenza di vibrazioni. L’auto è sempre accesa ma non lo è mai. Come osserva la mia compagna, in questo modo è più difficile che i bambini si addormentino: è un paradosso ma le vibrazioni del termico cullano, l’elettrico no. In compenso si ascoltano benissimo canzoni e audiolibri da viaggio: contribuisce anche il sistema di intrattenimento sonoro di Carlotta16, davvero notevole. I figli sono completamente conquistati dalla macchina. I due, che hanno fama di avere ”lo stomaco debole” (come il papà), si trasformano in scafati automobilisti: nessun problema, né in piano né in montagna.

Io prendo confidenza con le particolarità della guida: il cambio automatico in realtà non ha marce ma un unico rapporto con una coppia enorme che arriva subito, appena si accelera. La macchina è molto divertente e veloce, ha delle accelerazioni sorprendenti e permette di entrare in autostrada o fare sorpassi in maniera molto facile. E poi la frenata rigenerativa, che rallenta la macchina non appena si alza il piede dall’acceleratore. È strana ma ci si abitua subito, anche perché consente di guidare in pratica con un pedale solo. In caso di ostacoli improvvisi, Carlotta16 frena da sola. Lo fanno anche altre, ma la Model 3 ha più sensori ed è più morbida.

Poi c’è “l’autopilota”, che è in realtà un sistema di sterzatura assistita con annesso navigatore. È un optional costoso, con molti limiti: la Model 3 però ha una pletora di sensori e telecamere che la rendono più sicura e aggiornabile come un iPad con quattro ruote: scarichi la nuova versione del sistema operativo e la macchina diventa un po’ più intelligente. Per adesso però la Cisa si è rifiutata di farla, restituendomi sempre il controllo in curva. Sulle altre strade guida come una giovincella con la P attaccata dietro: centrale nella corsia, non anticipa mai le curve e anzi tende un po’ ad allargare. Promosso ma solo perché siamo in Italia: su autostrade più “facili” come le highway americane pare abbia altre capacità. Geniale comunque l’interazione: Carlotta16 “scruta” la strada e se vede che quello davanti va piano ti suggerisce il sorpasso in condizioni di sicurezza: basta muovere la freccia dalla parte giusta e l’auto esegue. Idem per le uscite. Non in città: per adesso infatti l’auto non riconosce la segnaletica e in sostanza non si ferma agli stop o ai semafori. Con un aggiornamento futuro dice che lo farà.

La Model 3 non è un’auto “che si guida da sola”. Anzi, Musk è chiaro: vi sto vendendo le ultime auto che potete guidare voi, non le prime che si guidano da sole. Il futuro sarà di veicoli autonomi con una vita loro, e noi passeremo da un’economia del possesso a una dell’accesso. Pay-per-use dell’auto e tutte queste cose qui. Solo che, nel frattempo, Musk le auto elettriche ce le vendere davvero. Carlotta16 è una signora macchina, ben assemblata, che sostituisce la berlina di famiglia in tutto e per tutto, con un doppio bagagliaio molto più capiente della media. La maggior parte delle case automobilistiche tradizionali, invece, finora hanno costruito ibride ed elettriche senza passione, quasi monche. E non hanno reti di distribuzione.

Dopo la Versilia, stop al Supercharger di Firenze, nascosto nel cortile posteriore di un hotel di lusso all’uscita dell’autostrada. Facciamo amicizia con un francese in camicia e cravatta nonostante i 36 gradi, che corre a parlarci: è di Tolosa ma vive a Hong Kong, è in giro con la macchina del padre uguale alla nostra ed ha l’ansia di capire se anche non arriviamo ai 516 chilometri di autonomia stimata con il massimo della carica. È un problema comune a molti ”teslari“ online e offline: spaccare il capello in quattro. In realtà non bisogna guardare la stima dell’autonomia in chilometri, che in quanto stima è opinabile, ma la percentuale di carica, che è una misura e quindi oggettiva. Perché la seconda grande differenza di un’auto elettrica rispetto a quelle con motore tradizionale è l’estrema variabilità dei consumi. Impatta la temperatura delle batterie, lo stile di guida, le condizioni meteo, le impostazioni software. Ci sono interi canali YouTube dedicati a consigli su come fare hyperdriving, consumando il meno possibile. Il numero magico è il rapporto Watt-ora consumati al chilometro. A fine viaggio mi appunto: abbiamo fatto 1.741 chilometri consumando in tutto 271 kWh con una media di poco meno di 156 Watt-ora per chilometro. In rete mi dicono che è buono, ma si può fare molto meglio.

In Casentino Carlotta16 pennella i tornanti grazie a un assetto molto stabile, merito del pianale carico di batterie. Il peso è tutto in basso e lo sterzo preciso, sportivo, la risposta dei due motori brillante. L’avvocato Carlo Beni nella sua ”Guida illustrata del Casentino” pubblicata a Firenze nel 1881 ricordava che per andare da Pontassieve a Stia una vettura con un cavallo costa lire 12, e bisogna pagare il vitto del vetturino: ci voleva una giornata. Carlotta16 ci mette meno di mezz’ora e alla fine consuma il 5% della batteria: quel che serve a salire al passo della Consuma (1047 metri) viene restituito scendendo nella valle del Casentino e io non tocco neanche i freni: è lei che rallenta e rigenera. Teniamo i finestrini aperti, per la mia compagna è come andare in bici nel bosco.

Ad Anghiari un giorno siamo parcheggiati a lisca di pesce: faccio uscire l’auto chiamandola dal telefonino. Viene avanti da sola, lentamente, circospetta ma sicura. Sembra un felino di quasi due tonnellate. Un signore su un piccolo SUV rimane a bocca aperta. Da buon Toscano quel che esclama qui non si può riferire. È sempre così, però. Ovunque ci fermiamo c’è chi si avvicina per guardare la macchina e chiedere qualcosa. E se non ci siamo, si avvicinano lo stesso: si vede dalle registrazioni della “modalità sentinella” che permette di scaricare su una chiavetta i filmati che immortalano quelli che si avvicinano troppo (e volendo fa anche da dash-cam quando si viaggia). Chissà cosa ne pensa la Gdpr.

Il rientro è sul lago di Garda, dai miei suoceri: sull’autostrada del Brennero verso Verona, mentre berline di tutte le taglie con targhe tedesche e italiane passano ben sopra i 130 regolamentari. Carlotta16 le guarda con superiorità: nelle riprese e negli allunghi le può battere praticamente tutte. Bruciamo una Giulia Quadrifoglio che ci resta male, vedo il guidatore stupito sparire nello specchietto retrovisore. Lo spunto di Carlotta16 è imbattibile ma la famiglia che dormicchia ascoltando una lunghissima storia di Geronimo Stilton (e il codice della strada) suggeriscono velocità di crociera convenzionali. Tornato a Milano, piove. Città deserta, faccio vedere l’auto a un amico, così Carlotta16 si parcheggia da sola (si mette po’ larga, la ragazza). E poi arriva il momento del commiato. La riconsegno e torno al lago con la Panda di mia suocera. Bellissima macchina la Panda, per carità. Però non si può fare proprio nulla, a parte guidare.


(pubblicato ad agosto 2019)


Ci sono alcuni articoli che, per motivi diversi, richiedono più lavoro. Di solito per me è sufficiente una seconda stesura. In questo caso ho voluto lavorarci di più. Per completezza, oltre al dietro le quinte e a questa che è la versione definitiva, pubblico qui la prima versione lunga e la seconda versione intermedia di questa storia. Dicono tutte la stessa cosa quasi con le stesse parole. Più o meno.