[Mostly Weekly ~230]

Vestire alla marinara e perdere la propria lingua


A cura di Antonio Dini
Numero 230 ~ 30 luglio 2023

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Internet Archive rischia di scomparire (opens new window) (e con lui un pezzo di rete).

Intanto, MKBHD (Marques Brownlee) ha rovinato i video del settore tech (opens new window).

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BTW, grazie di cuore ai ragazzi che settimana scorsa hanno fatto delle super donazioni! You made my day!

Intanto, buona lettura.


Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza
– Totò intervistato da Oriana Fallaci



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Editoriale

Sono tornato dopo dieci giorni a Tokyo e due a Seoul. Ancora non ho avuto il tempo di mettermi con calma a organizzare i pensieri attorno soprattutto alla mega-città giapponese: una capitale enorme, con una popolazione estesa di 34 milioni di abitanti. Tokyo è di fatto una città non pianificata, persino non pianificabile. Tuttavia, come lasciar passare questo mini-saggio sui mini-veicoli di Tokyo? (opens new window) Una meraviglia, altro che.

In questi numeri e nei prossimi avete trovato e troverete più eco giapponesi del solito, come potete facilmente immaginare. Inoltre, nonostante abbia promesso a me (e ad altri) che le voci del dizionario tematico settimanale di giapponese sarebbero state più "contenute", per poi espandersi nella versione in volume a cui sto lavorando, questa volta ho un po' ecceduto. Ma so che mi perdonerete, giusto? È la nevrosi, dopotutto.

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A picture of me
A picture of me ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Wang Chuanfu è il Chairman di BYOD Auto, la più grande azienda produttrice di auto elettriche in Cina, e la quarta al mondo. Secondo lui (opens new window) siamo entrati in una fase di consolidamento del mercato cinese e di espansione tipo quello che successe in Giappone negli anni Ottanta (Toyota, Honda), solo molto più grande.

Tesla a quanto pare ha fatto delle schifezze sulla gestione dell'autonomia delle auto e sulla gestione dei reclami. Pare sia soprattutto Elon Musk. A questo punto, come dice John Gruber (opens new window), "comincio a notare uno schema con questo Musk". Se vero, per me è un colpo perché ho lodato le auto di Tesla in modo significativo. Per bere sino in fondo l'amara medicina, chi meglio di Cory Doctorow per aprire il terzo occhio sul Dieselgate di Tesla? (opens new window)

Mondiali di calcio femminili. La Campagna internazionale Clean Clothes, racconta Lettera22 (opens new window), scende in campo per far luce sulle responsabilità e lo sfruttamento nelle catene di fornitura dei più importanti marchi sportivi del mondo, che sono anche i principali sponsor della competizione in Oceania: Adidas e Nike.

Sapete perché le vostre vacanze, con i viaggi organizzati e tutto il resto, fanno sempre più schifo? C'è una spiegazione facile e ovvia (opens new window). L'omologazione e l'ottimizzazione infinita hanno trasformato il viaggio in uno sport molto poco divertente. Aspirare ad avere una vita da influencer (pardon, creator) su Instagram è semplicemente idiota. E, peggio ancora, vi rovina il gusto della vostra, di vita.

La storia degli internet cafe (opens new window), che hanno fatto parte della preadolescenza di internet. Io per un periodo ho dato una mano a due amici che ne avevano aperto uno a Firenze, piccolino, in via Guelfa. Ci siamo divertiti. Chissà chi se ne ricorda ancora.


Yamato

Gakuran (学ラン)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è gakuran (学ラン). È la parola che indica l'uniforme scolastica indossata dagli studenti delle scuole medie e superiori in Giappone. Ed è una parola con una storia interessante, a partire da com'è scritta e che per me è particolarmente simpatetica perché alle medie e all'inizio delle superiori avevo anche io la divisa (anche se non codificata in maniera così formale: era semplicemente uno spezzato con giacca e cravatta).

Gokuran, dicevamo. La prima metà, gaku (学) è un kanji che significa "studio" o "scuola". La seconda metà, ran (ラン) è scritta in katakana, l'alfabeto sillabico utilizzato dai giapponesi tra le altre cose per introdurre le parole straniere. In questo caso, ran è derivato dalla parola olandese lange jas, che significa "giacca lunga". In pratica, è il primo pezzetto di lange, con la "L" trasformata in "R" secondo le regole di pronuncia fonetica giapponesi. Si può indovinare già da qui chi sia stato d'ispirazione per la divisa scolastica.

L'uniforme 学ラン è caratterizzata da una giacca con colletto alto (spesso sotto c'è lo tsume-eri, 詰め襟, il colletto staccabile usato per rendere più formale e al tempo stesso pratica l'uniforme), bottoni dorati o argentati e pantaloni neri. È un vestito semplicemente iconico, il più noto della cultura scolastica giapponese, rappresentato da milioni di manga e anime, l'equivalente maschile della divisa che per le ragazze invece si chiama sailor fuku セーラー服 sērā fuku. Questa divisa venne disegnato dalla preside della Fukuoka Jo Gakuin University, la signora Elizabeth Lee, copiando le divise della marina britannica: è lo stesso concetto della nostra divisa femminile alla marinara. Di solito la sailor fuku consiste in una giacca e una gonna ed è ancora più iconica soprattutto perché la gonna è molto corta e negli occidentali questo provoca turbamenti degni di Nabokov.

Ne scrivo al presente perché la divisa gakuran è indossata ancora oggi in molte scuole giapponesi, ed è interessante perché la moda e l'abbigliamento sono una chiave di lettura della società straordinaria (come sanno molti sociologi e storici). Il punto chiave è storico: il periodo Meiji e il modo con il quale l'abbigliamento ha giocato un ruolo importante nella vita di un popolo.

Prima che arrivasse l'ondata dell'occidentalizzazione nel modo di vestire e di comportarsi, il Giappone usava l'abbigliamento come strumento per indicare lo status e la posizione delle persone. Un samurai andava in giro per le strade sterrate del paese con i capelli lunghi raccolti in una coda alta, una tunica e con due spade infilate nella cintura. Erano gli unici a poterlo fare e questo bastava per chiarire il loro status e il loro ruolo nella società.

Addirittura, il governo militare Tokugawa (1603-1868) aveva istituzionalizzato i modo con i quali le persone si dovevano vestire, indicando non solo i modelli di abbigliamento ma anche di materiali usati per i vestiti di ciascuna casta. I samurai, ad esempio, erano gli unici che potevano indossare abiti di seta. Tuttavia, pian piano le cose si erano fatte più complesse (come accade sempre nelle società) perché i mercanti che vivevano nelle città erano più ricchi dei samurai, anche se di classe inferiore, e avevano preso l'abitudine di foderare le loro vesti di cotone con interni di seta. Era una sovversione o solo narcisismo? Un mix di entrambe, probabilmente.

La vera rivoluzione avvenne nell'era Meiji. Dopo il 1868, infatti, il governo decise che gli uomini si sarebbero dovuti vestire all'occidentale nei vari ambiti: l'imperatore stesso si tagliò i capelli (che i maschi giapponesi portavano tradizionalmente lunghi e raccolti) per mostrare qual era la via da seguire. Era il 1870 e subito dopo la divinità-uomo indossò anche una divisa militare di derivazione occidentale, aprendo la via a una vera rivoluzione. Pubblicò infatti un Editto sul taglio dei capelli che obbligò tutti i samurai a tagliarsi la coda.

In maniera molto pragmatica, vennero suddivise le influenze occidentali: i militari adottarono delle uniforme su ispirazione occidentale: l'esercito imitando i francesi, la marina imitando gli inglesi. Intanto, i burocrati e i grand-commis si cominciarono a vestire all'occidentale. Nel primo decennio del XX secolo i governanti del Paese partecipavano a riunioni di alto livello, banchetti e balli di gala indossando abiti a tre pezzi e uniformi militari napoleoniche. Vennero seguiti rapidamente da tutti i funzionari pubblici, dai postini ai conduttori di treni sino ai poliziotti e agli impiegati comunali. È il motivo per cui nel nostro immaginario i giapponesi di una volta vestivano come dei lord, con un mischione di influenze (fondamentalmente britanniche e francesi) e di stili, ma sempre "over the top".

La nostra divisa maschile, la ‌gakuran, arriva proprio all'inizio, nel 1885, con la decisione dell'università Imperiale di Tokyo di vestire gli studenti con una giacca nera chiusa con colletto quadrato e pantaloni abbinati. Era nata la divisa più famosa al mondo tra i giovani, che in seguito avrebbe influenzato, grazie a manga e anime, l'immaginario del resto del mondo. Attenzione, però, perché visti da lontano gli abiti con il "colletto alla coreana" sono apparentemente tutti uguali. Ma non è così.

In Cina, per esempio, per gli studenti c'era la Zhongshan Zhuang (中山装). Nata durante la Repubblica di Cina (1912-1949) e, in particolare, durante la sua prima fase, era chiamata anche abito alla Sun Yat-sen perché ispirata dal famoso leader rivoluzionario cinese Sun Yat-sen, il fondatore della Repubblica. Ma in Cina c'era anche la "Samfu" (衫褲, sānpù), letteralmente "giacca e pantaloni". È l'uniforme da combattimento tradizionale cinese che viene indossata per le arti marziali (il kung fu, il tai chi e il wushu). Se avete presente qualche film di Bruce Lee, è quella.

La "Samfu" è composta da una giacca a maniche lunghe e pantaloni larghi, entrambi realizzati in un tessuto leggero e traspirante. La giacca ha un collo alto e una chiusura a bottoni, e i pantaloni hanno una cintura in vita. L'uniforme Samfu è tipicamente bianca, ma può essere anche di altri colori, come il nero o il blu scuro. A un certo punto (durante il periodo Edo) venne introdotta anche in Giappone, ma non è lei la "madre" delle ‌gakuran, come abbiamo visto.

Invece, la divisa scolastica arriva come conseguenza della corsa alla modernizzazione dopo 265 anni di "Paese chiuso": l'abbigliamento alla occidentale semplificata in maniera deterministica la vita e modernizza tutto. Gli uomini d'affari e i colletti bianchi, indossavano gli abiti interi e gli studenti indossavano le uniformi ‌gakuran*. Anzi, LA ‌gakuran, perché ne avevano una sola che andava bene per tutto l'anno, a prescindere dalla latitudine. La società giapponese si aspettava infatti che i giovani indossassero la gakuran fino al giorno della laurea, anche per eventi formali e colloqui di lavoro. La giacca e i pantaloni di lana abbinati e la camicia bianca button-up oppure con il colletto applicato erano quello che si dice un guardaroba per quattro stagioni. Quando faceva caldo, gli studenti potevano semplicemente togliere la giacca. Quando arrivava la primavera, la portavano in lavanderia e facevano la stessa cosa in autunno.

Cosa ci dice tutta questa lunga corsa attorno alla parola ‌gakuran, alla sua storia e al suo uso? Una cosa, molto semplice: sino al secondo Dopoguerra al Giappone mancava completamente una moda per i giovani soprattutto maschile. Nei negozi di abbigliamento, compresi i grandi magazzini all'occidentale (copiati dall'Inghilterra un secolo prima), si passava dalla parte per bambini a quella per adulti senza niente nel mezzo. Per questo, dopo la guerra e durante l'occupazione americana, il Giappone entrò in una nuova fase di trasformazione profonda a partire dall'abbigliamento giovanile, aggiungendo molte altre cose accanto alla ‌gakuran. Era inevitabile. È l'ametora (アメトラ), abbreviazione gergale di American traditional. Ma questa è anche un'altra storia.


Italiana

Lo avete probabilmente saputo: Alain Elkann ci ha regalato un meraviglioso articolo (opens new window) che più che un'etnografia da poltrona (di prima classe in treno) è forse uno dei più riusciti esempi di confessione psicanalitica mascherata e neanche tanto involontaria. Il primo bersaglio, cioè creare dibattito e quindi engagement, è stato centrato: una piccola parte della rete si è scatenata contro quella che è evidentemente una trollata di prima grandezza. La famosa "polemica estiva" che ogni grande giornale sogna e persegue per "scatenare il dibattito". Ma da ogni cosa c'è un'occasione per imparare qualcos'altro di nuovo. L'indiscreto regala un articolo dei suoi (opens new window) che fa pelo e contropelo al padre di uno degli uomini più potenti d'Italia e al suo viaggio compiuto in business class su un treno Italo da Roma a Foggia ("Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così"). E lo fa in maniera tutt'altro che retorica: usa la logica e la cultura. Dimostrando che alla fine è tutto solo poesia, pura poesia. Una grande bellezza, una festa per gli occhi.

Al termine del loro percorso di studi presso AgroParisTech, una delle più prestigiose istituzioni di formazione agrotecnica d’Europa, i laureandi 2022 hanno tenuto il loro discorso di fronte alla platea radunata per il graduation day. Si è trattato di un discorso a più voci (opens new window), in cui gli studenti hanno preso una posizione comune che ha assunto la forma di un appello: biforquer, biforcare. Biforcare significa per loro prendere un’altra strada rispetto a quella per cui sono stati formati, “rifiutare la scelta che gli si offre”, per dirla con il linguaggio degli undercommons: negare l’esistenza di un solo modello di agricoltura per contribuire attivamente alla costruzione di un modello agricolo in cui la vita va di pari passo con il lavoro, l’attivismo, l’ecologia.

È morto, purtroppo, anche Marc Augé. Ne parla Gianfranco Marrone, lo scrittore (opens new window). “Non ho mai smesso di essere parigino”. Augé era famoso, al di là della sua dimensione accademica, per alcune ragioni: intellettuale francese (là dove il termine indica ancora una funzione sociale di sostanza) e interprete del presente con alcune fortunate intuizioni (opens new window): il non luogo e la surmodernità: "La società odierna è caratterizzata da una fluidità spaziale che rende labili i confini del vivere associato. L’uomo del nostro secolo, in quanto cittadino del mondo, ricerca la propria dimensione sociale in contesti connotati dalle medesime caratteristiche che gli trasmettano un senso di sicurezza e familiarità: i non luoghi". La sua biografia per Treccani (opens new window).

Un bel ritratto di Mario Dondero (opens new window), grande fotogiornalista morto nel 2015, in occasione della mostra a Milano, che chiude a settembre. «Non vorrei essere ricordato soltanto come fotografo. A me interessa essere ricordato come qualcuno che voleva bene alla gente».

Sono stato al concerto di Bruce Springsteen a Monza (opens new window). Non ero mai andato a un suo concerto ed ero curioso. Bello (opens new window), ma l'esperienza dell'organizzazione è stata tremenda. Singolare la cronaca locale: il Corriere (opens new window) non se n'è neanche accorto, il Giorno invece (opens new window) ne ha fatto un piccolo caso.


Multimedia

Punta tacco (opens new window) - Don Lurio e Lola Falana

L'Unica Chance (opens new window) - Adriano Celentano e Lola Falana

Hai visto mai (opens new window) - Gino Bramieri e Lola Falana

Stasera mi butto (opens new window) - Rocky Roberts e Lola Falana


Tsundoku

Wasteland (opens new window) di Oliver Franklin-Wallis, giornalista di GQ (che ne offre un estratto (opens new window)), racconta cosa succede agli abiti dismessi che doniamo in beneficienza: dove vanno a finire? Raramente addosso a qualcun altro.

Beirut. The Eras of Design (opens new window) è nato come catalogo di una mostra ma in realtà è uno straordinario libro di per sé. Nel tentativo di cogliere le dinamiche che hanno permesso al design di svilupparsi in Libano, racconta la storia di una trasformazione avvenuta negli ultimi venti anni nella più interessante, vitale e martoriata città a cavallo tra est e ovest.

La nuova architettura generata da Tokyo ottimizza delicatamente la città. Tokyo è una città che si sta costruendo da sola, non pianificata e impianificabile ma al tempo stesso molto pensata. Tokyo Metabolizing (opens new window) introduce la teoria urbana di Tokyo di Koh Kitayama e Yoshiharu Tsukamoto, utilizzando come esempi pratici le case unifamiliari e i condomini che Kitayama, Tsukamoto (Atelier Bow-Wow) e Ryue Nishizawa stanno realizzando a Tokyo. Prosegue il cammino (all'incontrario, perché questo viene prima) che avevo iniziato con Emergent Tokyo (opens new window). Un altro approfondimento (opens new window) sull'architettura e sull'urbanistica "metabolizzante".

Mi permettete di fare un atto di nepotismo al contrario? È per questo libro: Quanto resta della notte? (opens new window). Il titolo è la domanda che si fa anche l'autore, cioè mio padre (opens new window): "La parte dei miei studi degli ultimi dieci anni concernente l'enigma ancestrale del «rapporto Materia essente/non-Materia a-metafisica» detta però egualmente Essente [Fisica quantistica], chiama in causa - prima di tutto - l'Uomo. Se è vero che non sappiamo niente di un Essente Trascendente facitore Unico del Cosmo, è anche vero che sappiamo ancora meno, se possibile, dell'Uomo qualora fosse Facimento di quell'Ente. Eppure, questo Enigma è il palo centrale portante della Capanna dove abita la Conoscenza Totale: è, per esempio, in ebraico il la Beit Ha-Miqdash [il Tempio]. È anche il Centro della mia ricerca. [...] Non mi sono nemmeno provato a dare risposte, anche perché l'Uomo è capace di porre domande ma del tutto passivo quanto a risposte plausibili e sensate. È quell'Enigma esplorato in questo libro".

(Eh sì, scrivere libri a quanto pare è un vizio di famiglia)


Coffee break

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Alternanze e differenze

Ieri il cattivo era Mark Zuckerberg, oggi è diventato Elon Musk. Che senso ha? Ci dimentichiamo rapidamente cosa viene fatto realmente dai big del tech. E si fa anche di tutte le erbe un fascio: Facebook vale Microsoft vale Apple vale Amazon vale Google. Non è così. Ci sono delle differenze. Nell'introduzione al suo libro, The Power of One (opens new window), Frances Haugen non solo racconta la sua storia di ex impiegata di Facebook e whistleblower, ma trova anche il tempo per sottolineare che ci sono delle differenze, non tanto da un punto di vista etico ma proprio legato alla fisica dei diversi business, alle quali forse non pensiamo:

Una delle domande che mi sono state poste spesso dopo la pubblicazione del libro è stata: "Perché ci sono così pochi informatori in altre aziende tecnologiche, come ad esempio Apple?". La mia risposta: Apple non ha l'incentivo o la capacità di mentire al pubblico sulle dimensioni più significative della sua attività. Per quanto riguarda i prodotti fisici, come un telefono o un computer portatile Apple, chiunque può esaminare gli input fisici (come i metalli o altre risorse naturali) e chiedersi da dove provengano e quali siano le condizioni di estrazione, oppure monitorare i prodotti fisici e l'inquinamento generato per comprendere i danni sociali che l'azienda sta creando. Gli scienziati possono posizionare dei sensori all'esterno di una fabbrica Apple e monitorare le sostanze inquinanti che possono liberarsi in aria o riversarsi nei fiumi e negli oceani. Le persone possono smontare i prodotti Apple, e lo fanno, a poche ore dal loro rilascio e pubblicare video su YouTube che confermano i parametri di riferimento dichiarati da Apple, o verificare che le parti che Apple dice essere presenti ci siano effettivamente. Apple sa che se mente al pubblico verrà scoperta, e in fretta.

Facebook, invece, ha creato un social network che presenta un prodotto sostanzialmente diverso a ogni utente del mondo. Noi –e con noi intendo genitori, bambini, elettori, legislatori, imprese, consumatori, terroristi, trafficanti di sesso, tutti– siamo sempre stati limitati dalle nostre esperienze individuali nel cercare di valutare "Che cos'è Facebook, esattamente?". Non abbiamo avuto modo di dire quanto fossero rappresentative, diffuse o meno, le esperienze degli utenti e i problemi incontrati da ciascuno di noi. Di conseguenza, non è mai diventato rilevante quando gli attivisti si sono fatti avanti e hanno denunciato che Facebook permetteva lo sfruttamento minorile, il reclutamento di terroristi, un movimento neonazista, la violenza etnica progettata ed eseguita per essere trasmessa sui social media, o scatenava algoritmi che creavano disturbi alimentari o motivavano i suicidi. Facebook si limitava a sviare il discorso con differenti versioni dello stesso argomento: "Quello che state vedendo è marginale, un'anomalia. Il problema che avete riscontrato non è rappresentativo di ciò che è davvero Facebook".

Al-Khwarizmi

Gli effetti (opens new window) della grande muraglia di fuoco cinese sul traffico crittato e su internet (TLDR: brutti).

Gli scienziati di Google dietro ai Transformers (opens new window), cioè alla rivoluzione attuale del machine learning. È un pezzo di storia.

L'hanno già ripreso in parecchi ma vale sempre la pena: avete presente i cinema IMAX con l'esperienza audio e video più figa di tutte, con i 70 millimetri etc? Ecco, funziona tutto con i Palm Pilot. Solo che non ce ne sono più, e allora usano un emulatore (opens new window). Non è molto diverso da come fanno un sacco di altre aziende per portare avanti soluzioni anni degli Ottanta Novanta che nessuno sa o vuole aggiornare: si fa prima (e costa meno) a mettere fuori un emulatore (opens new window).

Sepolta per adesso nelle funzioni di accessibilità dell'iPhone (opens new window) c'è l'opzione per cominciare a trasformare le cuffie AirPods Pro in apparecchi acustici. Apple non ha le certificazioni (ma già ci sono in commercio apparecchi acustici di terze parti certificati MFI, Made for iPhone) però molto presto darà l'assalto anche a questo settore del mercato Salute e Benessere (perché l'udito ha un impatto enorme sulla vita e la salute delle persone (opens new window)), magari dopo aver potenziato ancora di più i sensori degli Apple Watch, che fino a ieri l'altro erano considerati come irrilevanti da medici e aziende produttrici di apparecchiature medicali, e oggi invece stanno dominando il mercato (con livelli differenti dagli apparecchi medicali ma anche con prezzo e penetrazione molto diversi).

Per me Call of Duty (il mega-franchise di Activision) è una narrazione interattiva (o una forma di intrattenimento videoludico o come venga indicato adesso dalla critica del settore) che è stata importante in un momento della mia vita. Sia la storia che la parte di multiplayer online. Adesso, salta fuori che Call of Duty: Modern Warfare 2 (opens new window) è stato inquinato da un malware per chi gioca online su Steam ed è stato bloccato. Peccato.


A picture of you
A picture of you ~ Foto © Antonio Dini

La coda lunga

Per motivi vari e contraddittori, o forse proprio slegati, quest'articolo di Ilaria Maria Sala (opens new window) mi risuona molto. Non tanto nel racconto delle lingue cinesi (che, per me che abito da più di vent'anni nella Chinatown di Milano sono ancora un grande mistero tutto sommato alieno) quanto nel ruolo che ha una lingua, ogni lingua, nel raccontarci e darci forma. Risuona con me, che da venticinque non abito più a Firenze, dove sono nato e cresciuto, l'idea che "la perdita di una lingua porta a mettere in discussione la propria identità, la propria storia e, a volte, la propria esistenza stessa. La perdita di un lessico personale, costruito attraverso anni di intimità con una madre, o quella che si compone con un affetto profondo, scuote in tutti questi modi, cauterizzando un tessuto vivo e gioioso che diventa solo dolore".




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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