[Mostly Weekly ~205]

La calcolatrice dei creativi e gli acquerelli di Miyazaki


A cura di Antonio Dini
Numero 205 ~ 5 febbraio 2022

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‌Il tl;dr dell'AI: Summate (opens new window) fa degli ottimi riassunti, come questo (opens new window). E funziona anche in italiano (più o meno (opens new window)).

E se non ne aveste abbastanza, da questa settimana ho anche una rubrica fissa su Fumettologica: And So What (opens new window), che poi c'è un'intera pagina di Wikipedia (opens new window) su dischi e canzoni con quel titolo (io scelgo Miles Davis, e voi?).

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Intanto, buona lettura.


Money is like gasoline during a road trip. You don’t want to run out of gas on your trip, but you’re not doing a tour of gas stations
– Tim O’Reilly



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Editoriale

Un po' di tempo fa, durane una intervista, la persona con cui parlavo (opens new window) paragonava l'arrivo di ChatGPT e dei suoi fratelli a quello delle calcolatrici tascabili programmabili, che hanno rivoluzionato la scuola e il modo di lavorare in interi settori scientifici e tecnici. L'ha chiamata "la calcolatrice per i creativi". Siccome a me piace guardare il dito oltre che la Luna, mi sono messo a pensare. Lo sapete che prima del cellulare c’erano le calcolatrici elettroniche, vero? E che prima di loro, c'erano le calcolatrici meccaniche? Olivetti ci ha costruito una fortuna, diversificando l'attività Ottocentesca di produzione delle macchine per scrivere. E prima ancora, quando i disegni venivano fatti con i pennini a china su fogli di carta lucida (i miei genitori per quattro quinti della loro carriera di architetti), c’era il regolo calcolatore (opens new window). Quello con cui giocavo in studio dai miei e di cui parlavo su Weekly 201 (opens new window) segnalando l'opera struggente del solitario genio nostrano Giovanni Pastore.

Il regolo calcolatore è un calcolatore analogico meccanico manuale. Il suo principio di funzionamento si basa sui logaritmi, strumenti matematici sviluppati all’inizio del diciassettesimo secolo dal matematico scozzese John Napier. Esistono una varietà di regoli, ognuno cristallizzazione di alcuni algoritmi di calcolo. Ci sono quelli per ingegneri e architetti, ma ci sono ad esempio quelli aeronautici: lo E6B Flight Computer (opens new window) è stato, dagli anni Trenta sino agli anni Settanta, l'unico computer di bordo degli aerei di linea e militari. Ed era un regolo calcolatore: serviva a trovare la propria posizione ed effettuare conversioni di misure con rapidità. Era il figlio dei regoli calcolatori scientifici, astronomici e marittimi, che sono poi le prime generazioni di regoli. E quegli stessi strumenti di calcolo con cui poi si calcolavano le strutture o i risultati delle osservazioni celesti, servivano anche come calcolatore per gli astronauti delle missioni spaziali del Dopoguerra.

Ce ne sono di moltissimi tipi, come dicevo. Questa raccolta di materiale (opens new window) e soprattutto la simulazione di un Faber-Castell 2/83N a fine pagina aiuta a vederli, provarli e comprendere come funzionano.

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Music Wall
Music Wall ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Le pompe di calore sono una tecnologia decisamente antica: risale all'Ottocento nelle sue applicazioni pratiche. Sono basate su principi della fisica e meccanismi di funzionamento piuttosto noti e ben raffinati. Potrebbero risolvere il 90% dei nostri problemi (opens new window) di riscaldamento e raffrescamento nelle case e negli uffici. Abbattendo in maniera nettissima le emissioni di gas serra e i consumi da fonti di energia non rinnovabile.

Cose che da noi non possono succedere. Il Dipartimento di Stato americano (l'equivalente del nostro ministero dell'Interno) ha annunciato che lascia il Times New Roman (opens new window) e lo sostituisce in tutta la sua documentazione ufficiale con Calibri. Seguono tumulti e missive indignate. Tra l'altro, quelli che ne sanno, sostengono che i dirigenti del Dipartimento di Stato avrebbero casomai dovuto prendere il Caslon (opens new window), il font usato per stampare le prime duecento copie della Dichiarazione d'Indipendenza americana del 4 luglio 1776. I nostri dirigenti del ministero dell'Interno (e del resto della compagine governativa) probabilmente si accapiglierebbero solo per avere i posti giusti in tribuna all'Olimpico. "The Times (New Roman) are a-Changin" (giuro, è il titolo della circolare informativa del Dipartimento di Stato), ma non in Italia.

Tuttavia, vale anche la pena notare che negli Usa sono completamente fuori di testa (opens new window). Ma completamente.

La "regina del cielo", il Boeing 747, è ufficialmente arrivato a fine corsa. L'ultimo velivolo prodotto da Boeing è uscito dallo stabilimento di Everett (opens new window), nello stato di Washington, che era stato costruito nel 1969 apposta per produrre i giganti dell'aria. Qui il racconto di CBS News (opens new window) e qui un paio di cose che avevo scritto anche io (opens new window) ai tempi, perché l'uscita di scena del Jumbo Jet è come quella delle grandi dame di un tempo: lunghissima (opens new window). Il 747 è stato fondamentale: la "grande arma per la pace" di Juan Trippe, che come fondatore di Pan Am ne fu il vero ispiratore. A Boeing che diceva "Se lo comprate, lo costruiamo", Trippe rispose: "Se lo costruite, lo compriamo". Fin dall'entrata in servizio nel 1971 un Boeing 747 a pieno carico dimezzava il costo per passeggero. È stato certamente l'aereo del jet-set ma anche quello delle vacanze intercontinentali per tutti, e poi l'aereo dei presidenti americani, l'aereo capace di caricarsi sulle spalle lo Space Shuttle e portarla a spasso per i cieli, l'aereo che ha traversato più volte l'oceano Atlantico e il Pacifico. Continuerà a volare ancora per trenta o quarant'anni, ma di nuovi non ne faranno altri. Un lento viale del tramonto.

Astra Magazine ha chiuso l'edizione cartacea. Per fortuna Astra rimane online (per il momento), il che ci permette di leggere l'eccezionale approfondimento di Elif Batuman (opens new window) sul personaggio dei Peanuts, Pig-Pen. Attraverso Pig-Pen, Batuman esplora (qui il riassunto (opens new window)) ciò che Charles Schultz aveva da dire sui valori americani negli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare commentando il lato oscuro della società e delle relazioni che vi si creano. Pig-Pen, indossando con orgoglio il suo disordine, è forse il personaggio più autentico di tutti i Peanuts. Tutti, a quanto pare, hanno una versione sporca di se stessi: spettinata, non curata, malvestita. È la versione vera.

Il New York Times, tra gli altri, ci va giù duro (opens new window) con le trimestrali e i licenziamenti di quello che è diventato un muro compatto: i big del tech. Cioè Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft. La "banda dei cinque". Peccato che andrebbero fatte una serie di distinzioni. È vero che negli ultimi mesi, diverse aziende hanno dichiarato di essere alla ricerca di modi per tagliare i costi ed eliminare progetti che sono diventati dei buchi neri per il denaro: Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta hanno annunciato piani di licenziamento per oltre 10mila lavoratori. Tuttavia Apple, che ha la foto di copertina nell'articolo e sembra la più in difficoltà di tutte, è in condizioni molto diverse. Le altre aziende hanno licenziato migliaia di dipendenti e tagliato benefit e privilegi. Apple, nella peggiore delle ipotesi, ha tagliato qualche centinaio di posizioni nel settore retail (fisiologiche con un migliaio di negozi in tutto il mondo) e non ha tagliato benefit o forme di previdenza suppletiva. Il fatturato del primo trimestre di Apple è sceso del 5% rispetto all'anno precedente, ma l'azienda sostiene di aver subito un colpo dell'8% a causa del cambio sfavorevole del super-dollaro con le valute internazionali. La chiusura dell'enorme impianto Foxconn, responsabile dell'assemblaggio dei modelli di punta iPhone 14 Pro di Apple, è stata una grave battuta d'arresto, ma assolutamente diversa dai problemi di Amazon, Google, Microsoft o Meta. Ma apparentemente nulla può impedire al Times (e ai giornali nostrani (opens new window)) di presentare la "big tech" come un'unica narrazione monolitica o addirittura sparare sostanzialmente solo su Apple (opens new window). Fantastico.


Yamato

Shakashaka (シャカシャカ)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è una che ho incontrato veramente per caso, leggendo tutt'altro. È shakashaka (シャカシャカ), che vuol dire un po' di cose anche perché è un prestito dall'inglese e a sua volta è un'onomatopea e in realtà come tale è stata presa. È un po' complicato, mi avventuro in un territorio nuovo e impervio, spero di averlo preso bene. Ci provo, anche se so già che finirà tutto da un'altra parte (perché ho già scritto e riletto quel che ho scritto) ma comunque.

Dunque, stavo leggendo un articolo a proposito del museo dello Studio Ghibli di Tokyo, quello delle animazioni più spettacolari creato da Hayao Miyazaki (e poi non dimentichiamoci anche di Isao Takahata e Yasuyoshi Tokuma). Nell'articolo, suggeritomi da Eugenio, si parla del kit per gli acquerelli di Miyazaki che, prima ancora che scrittore e regista, è un disegnatore eccezionale e un artista visivo molto raffinato, con un controllo della tecnica degli acquerelli mostruoso, che usa come sua forma di espressione principale dal 1970.

Ebbene, il museo dello Studio Ghibli, che poi è una piccola Disneyland molto carina in cui sono stato una vita fa, al mini-store "Mama Aiuto" (giuro, si chiama così, Miyazaki adora l'Italia) vende lo Sketching Set, il set da disegno di Miyazaki. Il set è fatto mettendo assieme le stesse cose che usa lui, con un piccolo foglio di spiegazioni ovviamente a fumetti. Ora, non so se avete presente il mondo dei manga, ma c'è un feticismo sugli strumenti che si usano, che neanche gli appassionati di orologi o di chitarre elettriche. Si disquisisce non solo sulla marca dei pennelli ma anche sull'annata in cui sono stati fatti, perché le setole cambiano a seconda del periodo storico. E poi si parla per giorni e giorni delle chimiche dei colori. Si riempiono interi forum sul verso giusto della grana della carta. Queste cose, insomma.

Beh, quel vecchio furbacchione di Miyazaki va in un'altra direzione. Sostiene non solo di avere un'età avanzata e quindi di essere un vecchietto un po' duro di zucca, ma anche di fare sempre le stesse cose alla stessa maniera da sempre. E che il suo modo, con cui ha dipinto per cinquant'anni anni, è fatto sempre con gli stessi strumenti, che non smette mai di dire quanto siano facili ed economici. Certo, i pennelli e i colori che usa sono buoni, ma non eccelsi, e fanno il loro lavoro pur venendo usati con una certa disinvoltura (cioè sono attrezzi e come tali si usano). I peletti più lunghi del pennello li togli con l'accendino, per dire.

L'idea mi risuona: è l'immagine mentale che mi sono fatto è quella dei chitarristi rock e blues. Il suono di BB King, di Eric Clapton o di David Gilmour non è nella chitarra o nell'amplificatore ma nelle loro dita. La poesia non è nelle note ma nell'intenzione. La bellezza non è nell'altro corpo ma nei nostri occhi.

Una cosa particolare è che in questo kit non c'è la gomma per cancellare, perché gli schizzi a lapis ("2B va bene, ne basta uno") non prevedono cambiamenti di intenzione. Ogni linea fa parte del disegno, perché si disegna a mano libera e in modo "graffiante". La parola che mi ha colpito per il nostro dizionario è proprio quest'ultima, che nell'originale giapponese è scritta così: シャカシャカ, cioè shakashaka. Cosa vuol dire?

"Graffiante" è una interpretazione, perché shakashaka è il termine che si usa per indicare il sonaglio dei bambini (dal rumore "scuoti-scuoti", shake-shake in inglese, che il giapponese come sappiamo prende come si pronuncia e non come si scrive) sia alcune onomatopee simili sino al nome familiare delle tute da ginnastica in nylon, che fanno appunto un rumore tipo shk-shk-shk quando si cammina. Ma, nel contesto della frase del libretto di istruzioni del kit di Miyazaki, shakashaka ha un significato diverso: "Disegniamo! Prima parte, disegnate con il vostro lapis in maniera graffiante. Questa non è una prova, è la versione definitiva che si disegna a mano libera senza usare la gomma". (Poi si colora).

Ecco, lo shakashaka è in realtà il grattare, scivolando, della punta del lapis 2B, che nella scala della durezza dei lapis e delle matite è comunque quella con grafite morbida, che produce un tratto scuro, adatta al disegno a mano libera (quello senza righello, per intendersi) ma abbastanza versatile. Non graffia, ma scorre su una superficie ruvida (la carta da acquerello) e fa un rumorino piccolo piccolo: scricchiola o meglio gratta. Shk-shk-shk

Miyazaki fa un esercizio di minimalismo che con un oggetto e un aggettivo inquadra un intero universo: un solo lapis (2B) e solo di quel che serve (niente gomma, però serve l'appuntalapis) con un gesto libero che gratta sul foglio, shk-shk-shk. E poi si colorerà con i colori necessari e un pennello (anche quello uno solo), che non devono essere costosi ma scelti giusti. Dove? Su una carta robusta e ruvida, che si impregni bene di colore, usando una tavolozza da viaggio che non richiede di essere lavata perché c'è tutta una sapienza empirica su quanto colore metterci e lasciarci, e come dividerlo in zone (zona chiara, zona scura, zona nera, zona del blu, zona del verde/blu, zona del verde) per farlo bastare per un'intera vacanza. Ecco, con questa base puoi disegnare tutto, se ce l'hai dentro, cioè negli occhi e nelle mani.

Il minimalismo qui non serve per fare cose semplici (Miyazaki fa cose tutt'altro che semplici) ma sta tutto nell'usare strumenti semplici che servono a fare tutto il resto, dalle cose di base a quelle estremamente complesse. È un ragionamento che risuona da tempo in parti diverse del mondo e in modi diversi, se avete voglia di ascoltare: usare i vestiti che avete già comprato cinque anni fa, se non sono lisi, oppure la macchina fotografica digitale di dieci anni fa (se non è rotta) o il telefonino di cinque anni fa, se ancora funziona. Mangiate meno, e decisamente più verdure. Camminate di più. E in generale usare bene e a lungo delle cose economiche. Senza esagerare né da un lato né dall'altro.

Dove sta l'equilibrio? È complicato trovarlo, ma il modo c'è. Come si fa per le bacchette cinesi e giapponesi, che in giapponese si chiamano o-hashi (お箸) ma quelle usa-e-getta si chiamano o-temoto (おてもと) oppure waribashi (割り箸). Ne abbiamo già parlato in Weekly 127 (opens new window), ma aggiungo qui che le waribashi fatte di legno economico e da gettare dopo l'uso sono un'invenzione relativamente moderna (vennero usate per la prima volta in un ristorante giapponese nel diciottesimo secolo) e che solo i cinesi le lavano e le riciclano. Infatti, in Giappone c'è un'antica superstizione scintoista secondo la quale una cosa che è stato nella bocca di qualcun altro ha preso alcuni aspetti della sua personalità; di conseguenza non vuoi delle waribashi usate da altri, neanche se sono state lavate.

È il motivo per cui nel ristorante i due bastoncini arrivano attaccati: fa da prova che non sono già stati usati. Ecco, le bacchette non riciclatele (non siate cheap) o piuttosto, compratevi le vostre con relativa scatolina in un negozietto di quelli che vendono tutto a 100 yen (100円ショップ) e portatevele dietro. Le usate, le lavate, le asciugate, le mettete via e le usate anche la prossima volta. Per il resto, occhio a come e cosa consumate.

Torniamo agli acquerelli. I 24 colori inclusi nel set di Miyazaki sono stati scelti personalmente da lui stesso e riflettono la scelta dei colori utilizzati nel suo lavoro. Sono leggermente diversi dal set standard di 24 colori fornito da Holbein, che ha collaborato con lo Studio Ghibli per questo pacchetto (insieme a Mitsubishi Uni, Staedler, Tokyo Namura, Sakura e Fo-Homo). Come dice Miyazaki: "I tubetti di colore di Holbein hanno un prezzo ragionevole e poco poco colore dura molto; per questo li raccomando".

La prima parte del libretto del kit contiene istruzioni sull'uso dei colori ad acquerello, alcuni consigli utili e un'introduzione alla teoria di base dei colori (la miscelazione è un'abilità essenziale per fare gli acquerelli). Mi piace soprattutto questa parte, che sembra una lezione d'arte tenuta da Miyazaki stesso. Chi non lo vorrebbe come insegnante? La seconda parte è più centrata sulla tecnica utilizzata per usare gli acquerelli per gli storyboard e i fondali.

Tutto questo è in realtà un modo brillante per introdurre i bambini al mondo del disegno e della pittura. È anche una mossa molto intelligente a lungo termine: molti bambini che prendono e giocano con lo Sketching Set sogneranno di diventare artisti professionisti e resteranno vicini al disegno e all'arte per tutta la vita, anche se finiranno a fare tutt'altro. Sarebbe bello se questo kit fosse disponibile anche qui da noi in Italia: mi piace che abbia un senso, cioè un'intenzione, e non sia semplicemente un prodotto commerciale con dei colori messi dentro apparentemente senza motivo, alla rinfusa, con pennelli economici e lapis scadenti. Se lo Studio Ghibli lo esportasse, comprerei un kit per ciascuno dei miei figli e, ovviamente, anche uno per me.


Eventuali

Come va il giornalismo italiano? La rivoluzione digitale? Beh, la seconda è già avvenuta, ovviamente. Mentre il primo è in affanno, per così dire. Un intervento di Mario Tedeschini-Lalli, "antico giornalista" come si definisce, cerca di spiegare (opens new window) come è andata venticinque anni dopo e come potrebbe andare in futuro la trasformazione digitale del giornalismo.

Scattare una foto con un obiettivo da 28mm tenuto a distanza di braccio dal corpo dà una visuale analoga a scattare con un 35mm guardando nel mirino. Questo e altro in una specie di vlog-intervista di Samuel al suo amico David (opens new window). Questo genere delle lunghe chiacchierate mi sta appassionando (ne faccio anche io, bontà loro (opens new window)). E anche i ragionamenti: il 24mm è più una lunghezza focale da architettura/paesaggio; inoltre, 24mm è solitamente il punto in cui inizia la distorsione; ma il 35mm è probabilmente una delle migliori lunghezze focali, però se volete una foto più versatile e più impegnativa da comporre, il 28mm è il migliore: il 28mm offre una difficoltà maggiore nella composizione delle foto perché è possibile combinare scatti ampi/architettonici con scatti in stile street/urbano. Qualche bella foto di Hong Kong (opens new window), tutte fatte con la stessa macchinetta compatta, la leggendaria Ricoh GR (opens new window). E una comparazione tra macchine fotografiche daltoniche e non (opens new window), tutte Leica, per scoprire che in bianco e nero rende meglio la pellicola (pensa te).

Nei periodici femminili (per i quali ho scritto con grande soddisfazione professionale, aggiungo) si trovano molte cose interessanti. È un'agenda mentale molto diversa dal "generalista" che poi tendenzialmente è un "maschiettista". Ecco, quest'articolo sulle sette convinzioni sbagliate da trasformare in punti di forza non è male (opens new window). Ma guardate come si fanno le interviste (opens new window), santo cielo (ok, è tradotta, ma ci sta).

I contenitori del cibo cinese non sono quelli di carta che vediamo nei film americani, sono di plastica (qui nella Chinatown di Milano è pieno, peraltro). Questo e altro in un sapevatelo (opens new window) del Post (che sul titolo gioca anche con le scatole cinesi, rarità in un sito di titoli piatti e descrittivi).

A parte la rilevanza (locale) della storia del cane che insegue il cinghiale (e gli abbaia anche, ma va) la cosa surreale di quest'articolo (opens new window) è il gergo: "Nel breve video pubblicato, gli ungulati non hanno mai mostrato segni di aggressività nei confronti del cane". Gli ungulati, come no. Nel match tra blucerchiati e la compagine labronica. Odio dargli ragione ma alle volte ce l'ha proprio: una rosa è una rosa (opens new window).


Multimedia

Essere cresciuti negli anni Ottanta è stata una fortuna pazzesca. Sia in Italia che negli Usa. Guardare come Barry Bernson, un giornalista di NewsCenter5 di Chicago, racconta la grande esplosione dei videogame negli arcade, nel 1982: Video Game History: 1982 (opens new window). PacMan e Defender, soprattutto.

A 73 anni è morto Tom Verlaine, chitarrista e cantante dei Television. Due soli album ma importanti e non molto conosciuti, ma una sensibilità e gusto musicali incredibili soprattutto dal vivo (opens new window). Assieme a Blondie, Ramones e Talking Heads, è stato la chitarra di uno dei gruppi più importanti sulla scena della New York anni Settanta.

La versione di 2001 Odissea nello spazio (opens new window) diretta da George Lucas è meravigliosa. È venuta ancora meglio dello Star Wars (opens new window) di Stanley Kubrick (che era già una cosa notevole di suo).

È uscito il nuovo disco dei Måneskin, Rush! (opens new window), e ci sono alcune canzoni notevoli, come Gossip (opens new window) con Tom Morello (opens new window) dopo Iggy Pop. Il Post intanto spiega (opens new window), bontà sua, come mai il gruppo italiano abbia così tanto successo nel mondo ma faccia sostanzialmente schifo alla critica (opens new window) di tutto il pianeta.


Tsundoku

C'è tutta una scena di fotografi, soprattutto autori di street photography, che pubblicano delle piccole "zine" come progetto personale, a pagamento ma ovviamente il guadagno economico è irrilevante: è più per dimostrare l'impegno e ripagare le spese vive. Sono "zine" che vengono da tutto il mondo, Italia compresa e moltissime dal Giappone, vanno e vengono (nel senso che a volte mollano ma poi ritornano, forse) e alcune sono davvero molto carine. A me piace questa mini-serie (opens new window) di Juan Buhler, poi questo libro (opens new window) di Alexis Maryon su Port of Newhaven, nella costa meridionale dell'Inghilterra, e infine questa grossa raccolta (opens new window) di 300 pagine in formato B5 stampato su carta da giornale da Kid Richards (opens new window), che sembra uno dei libri autopubblicati da Daido Moriyama per documentare Shinjuku, le Hawaii o San Paolo. È fotografia sporca, di strada, che documenta il mondo in maniera espressiva: bozzetti che una volta si sarebbero fatti a carboncini su carta di risulta. Prevalentemente in bianco e nero o con colori desaturati, o virati o semplicemente impazziti. Sono cose interessanti. Ah, quasi dimenticavo: Matthew Fleming (opens new window) ha iniziato una serie di "zine" che ha chiamato "Journal" (opens new window): è uno stile fotografico da diario, editato molto bene, con un punto di vista forte che ferma su carta quello che l'autore vede camminando. Il secondo diario è stato scattato esclusivamente in Giappone, soprattutto a Tokyo. I due numeri sono comunque vicini, perché il fotografo ha un modo proprio di vedere che va oltre il posto in cui si trova: guarda gli oggetti simbolici trovati per strada, le linee diagonali e i segni visivamente interessanti.

È uscito Il mondo secondo Philip K. Dick (opens new window), una raccolta di scritti di Carlo Pagetti sull'autore di fantascienza americano di cui ha curato le edizioni pubblicate da Fanucci: queste sono sostanzialmente le sue introduzioni ai vari romanzi. Philip K. Dick morì prematuramente il 2 marzo 1982, alla vigilia dell'uscita nelle sale cinematografiche del film Blade Runner, tratto dal suo Do Androids Dream of Electric Sheep?. Nacque in quel momento il mito di uno scrittore che, fino ad allora, aveva condotto un'esistenza marginale e per molti aspetti problematica, tra droghe e inclinazioni misticheggianti ai limiti della paranoia. Non si può ignorare la connessione tra esperienza autobiografica e genesi delle opere, ma neppure dimenticare che, come narratore visionario, Dick trascende la sua biografia. Il lavoro critico compiuto da Carlo Pagetti nell'arco di quarant'anni sulle opere di Philip K. Dick – dai romanzi distopici e di fantascienza a quelli realistici, recuperati solo dopo la morte dello scrittore, fino alle raccolte di racconti – fa emergere proprio come lo "Shakespeare della fantascienza" abbia saputo costruire, libro dopo libro, un convincente discorso estetico che non riguarda solo la narrativa fantascientifica, ma l'arte del romanzo nell'epoca della postmodernità. Regalando ai lettori una serie ineguagliabile di mondi, dispersi nello spazio e nel tempo, nei quali si riverberano le idiosincrasie dell'uomo del Novecento e di tutta la sua (la nostra) epoca.

Giulio Iacchetti ha scritto un saggio interessante, Semplici formalità (opens new window), che ha come oggetto il quotidiano. Come flora e fauna dei nostri paesaggi domestici e urbani, esistono oggetti che ci sfilano sotto gli occhi ogni giorno: utili e umili, alcuni li troviamo ordinati nello stipetto del bagno o nella dispensa della cucina, altri sul tavolo di lavoro, per le strade oppure in giardino. Sono le semplici formalità, radiosi esempi di un design efficace senza compiacimenti stilistici né vanità. E proprio per questo iconici e senza tempo. Giulio Iacchetti ha scelto trentadue di questi oggetti minimi, per rendere loro giustizia e celebrarne la forma. Lo fa attraverso le immagini, con fotografie pensate come parte della loro identità e attraverso le parole, raccontando le storie e le curiosità che stanno dietro agli scacchi Staunton, all’Arbre Magique, alle pedine del Monopoli o allo stecco del gelato. Lo sguardo incantato del progettista si combina a quello divertito e brillante del fruitore, così che questi oggetti diventano di volta in volta protagonisti del suo vissuto quotidiano o dei suoi ricordi. Una dichiarazione d’amore e gratitudine a questi compagni familiari e gioiosi che con la loro perfetta semplicità hanno accompagnato nei decenni l’evoluzione delle abitudini di tutti noi.

Add editore ha tradotto in italiano "La città indelebile. Hong Kong tradita e ribelle (opens new window)", che è stato molto popolare in inglese perché racconta in modo efficace la rapidissima trasformazione di Hong Kong da luogo a metà, tra la Repubblica popolare cinese, l'Asia e l'occidente, in una nuova frontiera dell'autoritarismo di Pechino. L'ha scritto Louisa Lim, corrispondente di Npr e Bbc da Hong Kong. È un flusso di coscienza, i ricordi della giornalista si accavallano con la ricostruzione storica, e con la cronaca di quei mesi di proteste che hanno portato all'introduzione della Legge sulla sicurezza.


Coffee break

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Al-Khwarizmi

Cosa vuol dire programmare? E tutti lo posso fare? L'idea che si impari a scrivere codice come se si imparasse l'inglese ha senso? In realtà, dipende. Intanto, la programmazione è un sottoinsieme dell'informatica, quindi pensare che tutti debbano programmare ha relativamente poco senso: non è utile. È più utile capire cos'è e come funziona l'informatica, casomai. Comunque, se l'obiettivo è formare programmatori, no, non ha proprio senso che tutti imparino a programmare. Dopotutto, solo una piccola percentuale della popolazione ha le capacità mentali per eseguire una programmazione di livello superiore e non ha molto senso far fare percorsi di guerra mentale obbligatori a tutti per individuare e selezionare i migliori (a meno che non viviate in un romanzo di George Orwell, allora ha già più senso). Il che non vuol dire che invece imparare l'informatica e quindi un modo di pensare (l'approccio del pensiero computazionale) non abbia senso: anzi!

Invece, il punto che voglio approfondire qui è diverso. La domanda infatti diventa: che cos'è la "programmazione di livello superiore"?

La risposta è questa: è la programmazione difficile, quella impegnativa e complessa. Il tipo di programmazione che richiede anni di esperienza anche solo per essere compresa (opens new window), per non parlare poi della sua progettazione e della sua implementazione. Per capirci, proviamo a paragonare la programmazione ai lavori di falegnameria. La programmazione è un concetto piuttosto opaco e nebuloso per la maggior parte delle persone, perché manca una cultura informatica socializzata che permetta di capirlo. Ma tutti capiscono il bricolage, i lavori in legno. Sfruttiamo l'analogia, allora.

La programmazione è facile nello stesso senso in cui è facile lavorare il legno. Chiunque può prendere un pezzo di legno e segarlo a metà; è un po' come scrivere un programma "Hello World". Quasi tutti possono assemblare un tavolino Ikea; è un po' come costruire un sito web con i moderni sistemi "no-code".

Molte persone possono imparare a tagliare bene gli incastri a coda di rondine e forse anche a progettare e costruire un tavolino da caffè; è un po' come il coding che molti scienziati dei dati, artisti 3D, contabili e ingegneri civili potrebbero fare. Questo è già più difficile, molto più difficile in realtà, perché richiede competenze diverse, capacità di pensiero analitico e tanta matematica (quindi la predisposizione, il "fisico da atleta", per così dire, di una persona che ha un corso di studi o un'attitudine di un certo tipo: logico-analitica (opens new window)), e inoltre richiede un certo sforzo per imparare le diverse tecniche e molta pratica (opens new window) per perfezionarle (l'allenamento dell'atleta nello specifico settore).

Poi ci sono vari altri gradini e possibili esempi, ma è inutile farli: le analogie funzionano solo fino a un certo punto. Il concetto è che la curva della difficoltà è sempre più ripida. Fino a che, a un certo punto, non si arriva alla "programmazione di livello superiore". In termini di lavorazione del legno, si tratta di questo: un gigantesco, glorioso, bellissimo veliero per viaggiare negli oceani.

Un progetto enorme, costosissimo, che richiede un'attenta progettazione, la prototipazione, il collaudo, il coordinamento di decine di squadre di centinaia di artigiani che lavorano insieme allo scafo, agli alberi, al sartiame, ai cannoni, alle ancore. E su una nave moderna ci sono anche i macchinari termici, gli impianti, le tubature, la cablatura, l'impianto elettrico. Ci vuole un villaggio, a volte una cittadina intera, per popolare un cantiere navale, per formare le persone che sono in grado di lavorare in progetti di queste dimensioni. E per avere un cantiere si comincia dalle famiglie e dalle scuole: se siete mai andati a vedere le case e le scuole delle famiglie che vivono attorno a un cantiere, capite cosa voglio dire.

Un grande progetto software è molto, molto diverso da un armadio dell'Ikea. Magari siete bravi a montare il vostro mobile Ikea (io, modestamente, sto in un percentile alto anche se solo per librerie Besta e siti web statici, come penso dimostri casa mia e Mostly Here) ma costruire una nave è uno sport completamente diverso. E veniamo al secondo concetto: il "technical debt", che è in realtà molto legato alla comprensione della complessità di un progetto.

Il "technical debt", debito tecnologico ma preferisco tenerlo in inglese, è un concetto che ha a che fare con la comprensione della complessità del software di cui sopra. Non è il codice ingarbugliato (opens new window) scritto da gente poco competente, bensì quello che accade nei casi in cui si è deciso di adottare una strategia di progettazione che non è sostenibile a lungo termine (opens new window), ma che produce un beneficio a breve termine, come la realizzazione di un rilascio. Su un veliero, la decisione di tenere assieme una parte dello scafo con una tecnica che non regge nel medio periodo, ma che permette di arrivare più velocemente alla messa in opera di altre parti della nave.

Il punto è che il debito produce valore subito, ma poi deve essere ripagato il prima possibile. Ho visto progetti andare a sbattere contro l'iceberg del Titanic a velocità costante ma ineluttabile per l'accumulazione di debito tecnologico. È doloroso, oltretutto, perché quando cresce troppo il debito tecnologico il tempo di lavoro delle persone per ripagarlo semplicemente non c'è, così come non c'è abbastanza tempo per lavorare e ripagare i debiti di chi sta andando in bancarotta.

Per questo ho trovato affascinante la lettura di questo articolo di Alex Ewerlöf (opens new window) che, invece, racconta la storia di un progetto al quale ha partecipato che secondo me, come letteratura di genere, dà anche bene l'idea di cosa voglia dire lavorare nel software per aziende americane e non solo. L'idea del "Tech Debt Friday" è fantastica, tra l'altro. Ricordando sempre (vale anche per i soldi) che un cattivo debito toglie denaro dalle nostre tasche, mentre un buon debito li fa entrare. E poi, su un versante diverso, fa capire che non si può separare il codice di un progetto di grandi dimensioni dalla cultura di chi lo ha scritto.

Il codice è un manufatto culturale, dopotutto: è scritto da persone per essere letto da altre persone. La macchina lo esegue in maniera completamente diversa. Ma ce lo dimentichiamo: si scrive il codice, in questi progetti ma anche quando si monta il piccolo mobile Ikea, per gli altri (al limite per noi stessi del futuro), non per la macchina.

Infine, per chi vuole andare avanti su questa linea, nella vita si trovano un sacco di opportunità. Ad esempio, ci sono alcuni siti che, se vi connettete con una VPN, vi bloccano. Tipo i siti di streaming (Netflix & Co.) ma anche ChatGPT. Come si fa a bypassare il blocco se usate WireGuard o OpenVPN? Semplice, basta reindirizzare il singolo sito. Questa spiegazione per Linux è comunque interessante (opens new window) perché fa capire anche due o tre cose su come funzionano le VPN e in generale le connessioni. È il vostro mobiletto Ikea domenicale.


Little Shop
Little Shop ~ Foto © Antonio Dini

La coda lunga

Perché non impariamo a pensare meglio? Ci sono molti sistemi diversi per farlo. Una tecnica interessante passa attraverso il disegno. Questo articolo (opens new window) è utile perché in pratica spiega come disegnare le idee. Ora, non tutti pensiamo allo stesso modo. C'è chi ha bisogno di pensare "fuori da sé" e chi "dentro". Chi parlando, chi scrivendo, chi disegnando, chi stando sdraiato al buio in una stanza chiusa e chi sotto la doccia o facendo la corsetta mattutina. O forse c'è un mix di tutte queste cose dentro ognuno di noi. In ogni caso, a meno che non siate monaci tibetani con delle capacità di meditazioni profondissime, vale la pena entrare in questo ordine di idee. Se la vostra linea di lavoro o la vostra vita richiedono concentrazione e pensiero, cioè idee, meglio cercare di farlo meglio, no? Non è mai troppo tardi per sviluppare un po' di più il muscolo del cervello. Anche con un lapis. Anche con gli acquerelli di Miyazaki.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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