[Mostly Weekly ~127]

Adelante, adelante


A cura di Antonio Dini
Numero 127 ~ 8 agosto 2021

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So plant your own gardens and decorate your own soul, instead of waiting for someone to bring you flowers
— Jorge Luis Borges



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Editorialogica

Tieni la tua internet lontana dalle mie cose
Una nota sulla Internet of Things. Ma siamo sicuri di averne davvero bisogno? Capisco che sia bello avere tutto connesso, ma ha senso? Qualche giorno fa ho visto la pubblicità di un ventilatore "smart" in cui gli astuti ingegneri cinesi hanno messo il controllo vocale, il wifi e chissà cos'altro. Serve parlare con il proprio ventilatore? O con il tostapane? C'è chi pensa di no (opens new window). Così come c'è chi crede (opens new window) che dovremmo ripensare alla nostra relazione con i social media e "scollarli" dalle nostre dita e dai nostri occhi. C'è chi ritiene che potremmo vivere diversamente, insomma.

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E chi si muove
E chi si muove ~ Foto © Antonio Dini

Importantologica

Dopo l'iPhone, il metaverso
Nell'ultimo mezzo secolo l'industria informatica è andata avanti in una serie di passaggi generazionali regolari. Ogni 15 anni circa è sempre nato un nuovo ecosistema basato su un tipo particolare di prodotto: abbiamo avuto i mainframe, poi i PC, poi il web e poi gli smartphone. Ognuno di questi ha seguito una curva a "S": all'inizio erano piccoli e non molto utili, sono diventati molto più grandi e molto potenti, e poi sono maturati e sono diventati noiosi, proprio mentre stava arrivando la curva successiva.

Dove sono ora gli smartphone? Proprio qui, in pieno plateau: il prossimo iPhone sarà annunciato tra poche settimane e andrà bene, sarà fantastico, ma non così interessante come il primo.

Gli smartphone di oggi sono noiosi. Per questo, negli ultimi anni, in molti si sono chiesti cosa verrà dopo. La risposta? Non lo sappiamo. Forze il metaverso sul quale Mark Zuckerberg ha deciso di scommettere Facebook (opens new window)? Qui una raccolta di possibili interpretazione del termine metaverso (opens new window) ma io (e non solo io) continuo a pensare che Zuckerberg abbia qualcosa d'altro in mente.

Zuckerberg è stato bravissimo ad agganciare la transizione tra il web e i telefonini, a trasformare Facebook da prodotto tipicamente per Pc in una app perfetta per gli smartphone. E adesso penso che lui abbia puntato il suo prossimo nemico, Epic Games, e soprattutto il metaverso emergente di quell'azienda: Fortnite. Varrà un pacco di miliardi, secondo alcuni (opens new window), e inghiottirà tutti i marchi e tutti i personaggi del pianeta, trasformandosi in una piattaforma epica (e non è l'unica azienda a provarci (opens new window): vedi alla voce Nintendo, ad esempio).

È esattamente il posto dove vuole andare Facebook: non i videogiochi, sia chiaro. Zuckerberg vuole inghiottire tutti i marchi e tutti i personaggi del pianeta. È questo quel che succederà dopo l'iPhone? La realtà aumentata che si sposa con il metaverso? Secondo Matthew Ball (venture capitalist, tifoso del concetto di metavaerso come prossima vacca da mungere e l'autore della sovrastante raccolta di interpretazioni possibili del termine) la risposta è semplice: (opens new window).

Zuckerberg, Ball, Tim Sweeney (il ceo di Epic Games) non sono da soli. A uno Zuckerberg che dice (opens new window): "Penso che nei prossimi cinque anni circa passeremo dall'essere percepiti dalla gente principalmente come una azienda di social media a una azienda del metaverso", risponde un Satya Nadella (ceo di Microsoft) che dice di voler costruire (opens new window) un Enterprise Metaverse, cioè (opens new window) "un nuovo livello dello stack dell'infrastruttura" dove "il mondo digitale e quello fisico convergono".

C'è tuttavia un problema nascosto in profondità, sotto l'opportunità commerciale e il marketing che si sta strutturando per renderla palatabile. Un vero e proprio "peccato originale" che non ammette redenzione: il metaverso, come lo immaginano Zuckerberg e gli altri, è una visione bislacca e per niente positiva del mondo (opens new window), costruita da un mix di fantasie giovanili, opportunità di mercato percepite e distopie manifeste. Non va bene il framing, l'idea stessa di metaverso come cornice che definisca lo spazio del discorso, la narrazione dominante (così come il framing attuale dei social è estremamente tossico, vedi la nostra incapacità di andare oltre come società e istituzioni).

Quello che voglio dire è che progettare il futuro a forma di metaverso, sapendo che l'idea è già connotata negativamente e decisamente marcia se tolta dal contesto della fantascienza e messa al posto della società contemporanea, secondo me non è una saggia idea. Soprattutto, dopo non ci possiamo lamentare se viene fuori un nuovo mostro della rete paragonabile all'attuale struttura dei social, che tritano le relazioni sociali e l'energia delle persone per produrre enegagement e monetizzare gli utenti.

Al prossimo fine esegeta del tempo presente toccherà di trovare una nuova immagine che vada oltre quella di "capitalismo della sorveglianza (opens new window)". Non ho personalmente l'energia per scrivere un libro di 700 pagine sull'argomento, ma il "capitalismo onirico" o, parafrasando Dylan Dog, il "capitalismo dell'incubo" mi pare una definizione plausibile. E dovrebbe farci riflettere sul fatto che i mattoni fondanti l'idea di metaverso sono una serie di distopie: il nostro mondo è in rovina e la maggior parte delle persone vive vite precarie in estrema povertà. Il metaverso stesso è un luogo che crea dipendenza, violento e un abilitatore del nostro impulsi peggiori. E non si riesce più neanche a decidere se il metaverso è così attraente perché il mondo reale è diventato così tremendo, oppure il contrario, se il mondo è tremendo, devastato e violento perché il metaverso invece è così bello e attraente.


Yamatologica

Hashi (箸)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è per un utensile vecchio di almeno tre millenni: le bacchette per mangiare, che in giapponese si chiamano o-hashi (お箸) ma nelle confezioni usa e getta (giapponesi) compare molto spesso il nome o-temoto (おてもと), che invece è una locuzione: o è il prefisso che si usa per cortesia, te indica la mano e moto l'area sotto o attorno a qualcosa. Non è finita qui. Le bacchette che si adoperano in cucina per preparare il cibo (spostare, mescolare e via dicendo) si chiamano ryoribashi (料理箸 o りょうりばし, "cucinando") mentre si chiamano saibashi (菜箸 o さいばし) invece quelle che vengono usate per servire il cibo cotto dal piatto di portata a quello dei singoli commensali.

C'è poi la peculiarità dei tipi di bacchette in Asia in generale (sono nate in Cina, a quanto pare) e quelle giapponesi in particolare, che sono appuntite, fatte di legno o bambù, laccate (nuribashi) e prodotte in città diverse con tecniche diverse, cambiate nel corso dei secoli, usando inserti di madreperla e conchiglie di molluschi vari. L'altro pezzo che va sempre (o dovrebbe sempre esserci) sulla tavola quando ci sono le bacchette si chiama hashioki (箸置き) ed è il poggia-bacchette. Infatti, le bacchette non devono mai essere poggiate interamente sul tavolo: le loro punte invece devono poggiare sull'hashioki, che non è sporco come il legno o la tovaglia sottostante.

Roland Barthes nel suo libro L'impero dei segni fa una osservazione interessante: in Giappone è bandito dalla tavola tutto quelo che riguarda il cibo e ha a che fare con la violenza, come tagliare e infilzare. Quelle cose sono lasciate alla cucina mentre le bacchette servono solo a prelevare piccole quantità di cibo che è già stato diviso o, al massimo, a separare il cibo che arriva intero quando è morbido, come il pesce o il tofu, per ricavarne delle razioni più piccole. Le bacchette, scrive Barthes, sono come i becchi di piccoli uccelli.

Tre o quattro regole per essere educati a tavola: le bacchette usa e getta si staccano rivolgendo la punta verso di sé, non verso gli altri. Se rimangono schegge di legno, si strofinano con garbo per farle cadere ma non sul proprio piatto (di lato, in grembo). Impugnate le bacchette, si tiene ferma quella bassa con pollice e anulare, e si muove quella alta con l'indice, il medio e il pollice, in modo tale da formare una piccola pinza che prende il cibo con la punta. Quando si prende il cibo, va portato dal vassoio al piatto e dal piatto alla bocca, mai direttamente. Le bacchette si appoggiano solo sul poggia-bacchette o sull'orlo della ciotola, parallele e mai incrociate. Non si infilza il cibo, non lo si dilania, non si fanno gli spiedini (usare una sola bacchetta per infilzare il cibo e portarlo alla bocca) e non si lasciano le bacchette infilate dentro la ciotola del riso perché porta sfortuna (a meno che non stiate allestendo l'altarino per una cerimonia funebre, allora va bene).


Variologica ed eventualogica

Amanda Cox
Devo premettere che la cronaca nera mi affascina ancora meno dei conflitti in Medio Oriente, e quindi non ho seguito se non qualche pezzettino all'inizio. La vicenda è quella dell'omicidio di Meredith Kercher da parte di un certo Rudy Guede del quale venne accusata, arrestata, processata, detenuta e poi assolta Amanda Cox. Adesso il regista Tom McCarthy ha girato un film con Matt Damon intitolato Stillwater "ispirato" dalla saga di Amanda Cox. L'assassina, la criminale, la peccatrice: si parlava anche di orge, cose zozze di cui i nostri giornali e telegiornali si sono nutriti letteralmente per anni, assieme a quelli del "delitto di Cogne" cioè relativi alla uccisione di Samuele Lorenzi, tre anni, da parte della madre Annamaria Franzoni. Adesso Amanda Cox ha scritto un articolo su Medium (opens new window) con il quale dice la sua (a partire dal fatto che sia stata assolta), in una asimmetria informativa pazzesca e in un mondo in cui è diventata un oggetto da sfruttare. La dinamica di potere della situazione che la coinvolge modella la storia e rende Cox un oggetto da cui trarre guadagno. È una cosa semplicemente ignobile, considerando anche che tocca per molti versi sia il giornalismo in generale che l'Italia in particolare.

Batterie
Perché Elon Musk ha scommesso sui produttori di batterie asiatici? La risposta è semplice: ha studiato il mercato delle batterie e, nonostante altri ritengano che il futuro sia l'idrogeno, lui ritiene di no e che l'opportunità che stava per aprirsi in questo settore, soprattutto grazie alla diminuzione dei costi e alla capacità produttiva asiatica, avrebbero fatto il resto. Aveva anche ritenuto che non ci sarebbero state innovazioni importanti nelle attuali tecnologie e chimiche usate per le batterie. A quanto pare aveva decisamente ragione (opens new window), almeno nel medio periodo (gli ultimi dieci anni, e il meglio deve ancora arrivare).


Multimediologica

Consideratela una cosa multimediale, perché dentro c'è il video con la musichetta: la colonna sonora di Monkey Island (opens new window), eccola qua, reincarnata in maniera piuttosto avventurosa.

Perché non vi andate a rivedere La decima vittima? Non credo possa essere meglio del suo trailer (opens new window), tuttavia il film di Elio Petri con Marcello Mastroianni, Ursula Andress ed Elsa Martinelli è una perla dimenticata. Il film addirittura anticipa la fantascienza alla UFO di Gerry e Sylvia Anderson (e un tocco di James Bond) perché è del 1965, quattro anni prima dell'arrivo del Comandante Stryker. Mastroianni con capello corto e biondissimo al limite del giallo è uno spettacolo. Che gli Anderson si siano ispirati al lavoro di Petri?

Per un caso fortunato sono arrivato sulla registrazione Youtube (opens new window) di un incontro live tra tre autrici, Michela Murgia Teresa Ciabatti e Chiara Valerio. Bisogna avere la predisposizione giusta ma sono stati i 45 minuti più interessanti delle ultime settimane: "Sembrava bellezza è il titolo dell'ultimo romanzo di Teresa Ciabatti, ma potrebbe essere serenamente il titolo delle nostre adolescenze, trappole della memoria dalle quali in fondo non si esce mai del tutto".


Tsundokulogica

Sto leggendo gli ultimi due libri di Roberto Calasso, cioè Memè Scianca (opens new window) e Bobi (opens new window). Anzi, il primo l'ho finito e sono quasi alla fine del secondo (sono brevi). Sono ricordi, frammenti, tesserine di un mosaico più ampio, parte del quale già pubblicato da Adelphi, che è la storia e la vita di Calasso stesso. Narcisismo o corpo trasformato in opera d'arte?

Sto leggendo Meglio ladro che fotografo (opens new window) di Ando Gilardi, che è un libro leggero, piccolo, di qualche anno fa, scoperto grazie a un suggerimento di lettura ultraterreno dell'amico Leo e alla raccomandazione del bravissimo collega foto-amatore Michele Smargiassi (opens new window). Il libro è del 2007, il tema che sta sotto al tutto è il passaggio dall'analogico al digitale, e per adesso è una sorpresa dopo l'altra. Avercene, di libri così sulla fotografia e non solo.

Ho letto L'uomo tra le nuvole (opens new window) di Marco Ciardi, che è un fiorentino come me, professore di storia della scienza e delle tecnologie nella città gigliata (come scrivevano i giornalisti di una volta quando volevano evitare le ripetizioni). Il suo è un piccolo giallo che funziona: un'indagine a metà fra la storia della scienza (opens new window) e il fumetto (opens new window), con sorprese una via l'altra. La brevità è un suo altro grande pregio (è una novellette più che un romanzo) perché in quest'epoca di spezzatino dell'attenzione viene più facile leggere un fumetto (immagini facili con poco testo attorno) che non un libro. Gli editori ne stanno prendendo atto con il graphic novel.

Sto leggendo Il pianeta scomparso (opens new window) di Marcello Toninelli, che è un fumettista di chiarissima fama (dieci anni di Zagor (opens new window), i volumi su Dante (opens new window), i Promessi sposi (opens new window) e mille altre cose) che qui è al suo secondo romanzo (ecco il primo (opens new window)). Si fa fatica a trovarlo, ci pensa mamma Amazon e poco più. Le premesse sono ottime: è una bella storia di fantascienza classica in cui c'è tanta fantasia e la regia di un autore del fumetto popolare, abituato a tenere alta la tensione e cambiare scena velocemente. Il passo mi piace, vediamo come evolve.

Sto leggendo Il porto proibito (opens new window) di Teresa Radice e Stefano Turconi, coppia sia nel lavoro che nella vita con un passato disneyiano che si ritrova nel tratto ma non certo nella maturità della storia. Questo graphic novel è una storia di mare, di fantasia, di paura, di amore, di sentimenti delicati, di sconvolgimenti che si susseguono in un'epoca finemente ricostruita non solo nel disegno ma anche nella storia e nelle piccole cose interstiziali (un canto, un luogo, un'atmosfera, un gergo) che costruiscono la trama di cui è fatta la tela alla base di questo racconto. Mi sta piacendo molto molto.


Algoritmologica

Ken Thompson vs. Kubernetes
(spoiler: vince Ken Thompson)
Come sapete amo le cose semplici. Ho finalmente costruito il mio sito (opens new window) (grazie Carlo!) ma è ancora fin troppo complicato per me: in futuro vorrei semplificare l'infrastruttura tecnologica che lo tiene in piedi e aver capito cosa voglio farci e come usarlo mi aiuterà molto per il refactoring, spero; il mio problema è che ci sono un sacco di cose che non so fare e sono troppo vecchio per impararle (opens new window). Tuttavia, il mondo va sparato come un missile nella direzione opposta. La complessificazione. Prendete ad esempio Kubernetes: è complicato. Molto complicato. Complicato in maniera a tratti grottesca. Evade addirittura alcuni dei principi di base di come funziona e si programma un sistema operativo. E questo non va bene.

Attenzione, non credo che tutti debbano essere esperti di programmazione di basso livello. Tuttavia, penso che ci sia un fenomeno in cui gli ingegneri complicano eccessivamente i sistemi perché non comprendono i fondamenti del sistema operativo. Ken Thompson, uno dei padri di Unix, aveva una opinione diversa che è alla base del ragionamento di questo articolo (opens new window).

La premessa è una lama che entra senza trovare ostacoli: stiamo andando verso un sistema operativo di rete, che permetta di distribuire in rete i calcoli, i servizi, i dati, le applicazioni. Questo sistema operativo che ancora non esiste sta a Kubernetes (opens new window) come Unix stava a Multics (opens new window). Cioè, in futuro utilizzeremo un sistema operativo distribuito progettato tenendo conto del principio Perlis-Thompson che sostiene che "un sistema operativo è esponenzialmente complicato da nozioni che si inventa da solo". E Kubernetes è stato bravissimo a inventarsele e complicarsi la vita da solo, così come hanno fatto prima di lui ad esempio Windows XP e altri.

La Cloud Native Foundation ha un diagramma, una lista multidimensionale di quello che ruota attorno a Kubernetes: è questa (opens new window) e fa paura. Kubernetes è a rischio di collassare sotto il peso della sua stessa complessità, proprio come è successo ai sistemi operativi di Microsoft negli anni Novanta-Duemila. Al contrario, se Ken Thompson, uno dei padri di Unix, avesse progettato Kubernetes, lo avrebbe fatto in un altro modo. Sarebbe più facile da usare e più facile costruirci sopra software. Il diagramma sarebbe più piccolo e più comprensibile.

L'autore dell'articolo conclude: "Suggerisco il meme "Ken Thompson vs. Kubernetes" per ricordarlo. Ken Thompson avrebbe progettato qualcosa di più semplice, con un valore duraturo". E cita un post di quasi venti anni fa del blog di Joel Spolsky (aka "Joel on Software"), Fire and Motion (opens new window), che è un classico da leggere e rileggere. E che fa pensare all'autore dell'articolo e a me (che lo avevo letto ai tempi) che è clamoroso quanto manchino dei blog di qualità, capaci di orientare e influenzare e far maturare le persone: c'è di più in quel post che in un mese su Facebook e Twitter combinati, alla faccia dei gattini cinesi. Maledetti social.

Coffee break
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Y U No Host
Che senso ha uscire dalle grandi piattaforme e tenere online le proprie cose utilizzando il proprio hardware o una rete di amici collegati? Poco, se non per dimostrare un punto di maturità, sperimentare e poi magari anche essere resilienti. Solo che è molto, molto complicato. Non è necessario essere dei geni dell'informatica, ma neanche degli utonti della domenica. Guardando questo post (opens new window) ho cominciato a cercare risorse, una delle quali, sviluppata da volontari, è forse la più utile di tutte, a partire dalla sua promessa:

With YunoHost (opens new window), you can easily manage a server for your friends, association or enterprise.

Partendo da questo ci si può chiedere quali e quanti cose si possono fare. e non sono poche, in realtà. Oltretutto, in Europa (e quindi in Italia) è anche più facile perché abbiamo costi di connessione più bassi e fornitori di servizi di connettività meno ladri che negli Stati Uniti. C'è anche chi sta meglio: in Francia ci sono dei fornitori di connettività associativi (tipo cooperativa ma nel senso aperto della parola, non con la struttura legale) e comunque è un esercizio di democrazia, di decenza, di libertà e di capacità di imparare cose nuove che possono sempre tornare utili. E quindi, perché no?

Excel
Il settore finanziario sta cercando di emanciparsi da Excel. Il foglio di calcolo di Microsoft è una specie di droga, viene usato ovunque ma non è adatto alla gestione di contabilità complesse, big data e analisi strutturate. E introduce un sacco di errori perché ci sono troppi passaggi che vengono programmati di volta in volta, insieme a lunghissimi data-entry proni a sbagli di qualsiasi tipo. L'anno scorso il brusco passaggio al lavoro a distanza a causa della pandemia ha costretto i responsabili finanziari di moltissime aziende a gestire le finanze aziendali e chiudere i libri da remoto. Questo passaggio tra le altre cose ha evidenziato le carenze nell'uso di Excel, secondo Glenn Hafler, preside della società di consulenza Hackett Group. E ha mostrato "le vulnerabilità che i team finanziari hanno a causa della loro dipendenza da Excel”, ha detto Hafler. Un articolo del Wall Street Journal (opens new window) che è uno spasso leggere, se non amate Excel.

Mac-assed Mac app
Una "Mac-assed Mac app" (opens new window) è un software che è stato sviluppato per sfruttare quello che c'è di buono e di unico nel sistema operativo del Mac e nelle sottostanti librerie e framework. È il contrario di una app che gira su Electron, per dire. Un buon esempio è questo iniziale tentativo di realizzare una app per leggere HackerNews (opens new window).


Stay Hungry, Stay Foolish
Stay Hungry, Stay Foolish ~ Foto © Antonio Dini

L'ultima bustina (di Minerva)

Rimettere al suo posto il posto di lavoro
C'è una guerra che si sta cominciando a combattere in maniera tutt'altro che strisciante. È la guerra tra chi vuole restare a casa e chi invece vuole che si torni tutti in ufficio. È una guerra che coinvolge persone e aziende diverse, e sta scalando in parti diverse del mondo. Certo, noi guardiamo soprattutto all'America in questa newsletter, ma i messaggi vengono da tutte le parti del mondo. Comunque, questo autore che aveva già inquadrato a suo tempo il problema (opens new window), adesso spiega che lo scontro è entrato nel vivo e che si tratta di una vera e propria guerra culturale (opens new window). Una guerra in cui nessuna delle due parti contrapposte ha ragione, intendiamoci, perché nessuno è in buona fede: il lavoro è uno scontro, come mi insegnava trent'anni fa Gino Giugni, padre degli scudi sul diritto sindacale in Italia. E lo sciopero deve fare male. Ci penso ogni venerdì che l'ATM sciopera (di tutti i giorni della settimana, maledetti). Ok, non c'entra niente (direttamente) ma è per far capire che alcune forme di relazioni sono conflittuali. Il problema è più alla radice è uscire dall'idea del consenso e della pacificazione come negazione delle opinioni e posizioni diverse, e tornare a sopportare il conflitto, lo scontro, le opinioni inconciliabili. Il conflitto è normale, probabilmente inevitabile e spesso inconciliabile. È la violenza quella da evitare, possibilmente con un metodo e delle regole condivise. Nel mondo del lavoro a distanza sì-no causato dalla pandemia, direi che siamo molto lontani dall'averne.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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