[Mostly Weekly ~131]
Tag sbagliate, orologi e livelle
A cura di Antonio Dini
Numero 131 ~ 05 settembre 2021
Buona domenica! La villeggiatura è finita, la stagione lavorativa è ricominciata con la grazia di un Frecciarossa sparato in soggiorno. E sì, vi ricordate bene: sono proprio Antonio Dini, il tizio della newsletter che esce ogni domenica quando è pronta, a cui a un certo punto voi vi siete iscritti.
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Intanto, buona lettura
GIT PURR! Se volete imparare i comandi di Git spiegati con i gattini, questi fumetti (opens new window) fanno per voi (anche se già li sapete)
Love is hard to find, hard to keep, and hard to forget
— Alysha Speer
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Editorialogica
'A livella
Un anno sfortunato?
Una decina di giorni fa è morto Charlie Watts, batterista dei Rolling Stones. Figura epica, è l'ennesimo musicista internazionale famoso che muore. Negli ultimi mesi sono scomparse tantissime celebrities, le persone più o meno "note" che sono in qualche modo parte della nostra vita, quelle che ricordiamo. Se andate su Wikipedia, c'è una pagina per i morti dell'anno (qui il 2021 (opens new window)) che viene popolata automaticamente partendo dalle pagine delle biografie man mano che viene scritto che qualcuno è morto. "La lista – scrive Wikipedia – contiene solo le 1.410 persone che sono citate nell'enciclopedia e per le quali è stato implementato correttamente il template Bio. Pagina aggiornata al 4 set 2021". "Solo" 1.410 persone? Perché muore così tanta gente famosa? Cosa succede?
In realtà, il problema è noto. Se ne è occupato qualche anno fa anche il Guardian che aveva cercato delle spiegazioni (opens new window) al crescente numero di persone celebri (opens new window) che stanno morendo negli ultimi tempi. La spiegazione più semplice e logica è che con i mezzi di comunicazione di massa dell'industria culturale come il cinema, la televisione e il mondo discografico, è aumentato in maniera notevole il numero di persone note o famose. Inoltre, grazie alla globalizzazione, sono diventate famose ovunque. Questo vuol dire che è semplicemente aumentato il numero di persone appartenenti al sotto-insieme delle celebrità che muoiono, ma la durata della vita resta la stessa. Aiuta molto il fatto che la prima massiccia ondata di "celebrità" nasca con la musica rock, la cui composizione demografica sta arrivando adesso attorno ai 70-80 anni.
È vero che le persone anziane hanno un'aspettativa di vita assoluta più lunga dei giovani, ma qui siamo arrivati all'altro lato della curva e vediamo in azione un altro principio distributivo, chiamato "'a livella (opens new window)". Ci sono più celebrità e stanno diventando sufficientemente vecchie da morire in buon numero. Come prima o poi accade a tutti noi, del resto.
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Infotech
Avere i titoli giusti
Il titolo di un articolo, mi insegnavano più di vent'anni fa alla scuola di giornalismo della Cattolica di Milano, è spesso l'unica cosa che il lettore legge. Deve contenere la notizia e al tempo stesso essere strutturato in maniera tale da invogliare il lettore a proseguire con la lettura dell'articolo. Ma deve contenere la notizia: è un elemento fondamentale per consentire lo "sfoglio" di uno o più giornali; cioè, l'attività con la quale si girano le pagine e, leggendo appunto i titoli, ci si fa un'idea delle notizie di quel giorno. È la differenza che passa tra un telegiornale di un'ora e un radiogiornale di 90 secondi. Beh, questa cosa con Internet è diventata molto differente e in buona parte si è persa.
In Italia, ma non solo, premiano i titoli acchiappaclick, quelli che il lettore clicca perché lo invogliano senza dirgli però la cosa ("Queste dodici storie di salvataggi impossibili di cagnolini e gattini conquisteranno il vostro cuore", mette come esempio (opens new window) Wikipedia). Un altro esempio di clickbait, come viene chiamato in inglese, è la parte che viaggia di più di Medium: un catalogo di titoli acchiappaclick senza fine in cui si promettono meraviglie e viaggi esclusivi nel paese del balocchi.
Non c'è solo questo. L'altro lato della medaglia è pompare i titoli in maniera che funzionino con Google. Un clickbait per un solo lettore, che poi non è neanche una persona. E qui ci si perde, perché per fare SEO, Search Engine Optimization, si stravolge completamente qualsiasi equilibrio del titolo tra contenuto informativo e capacità di attrarre il lettore. Per trovare un nuovo equilibrio sostenibile la radio pubblica americana NPR (che è piccola, non è una struttura come la nostra Rai, ed è orientata alla qualità) ha realizzato una guida stampabile intitolata Write digital headlines both readers and Google will love (opens new window). Una buona lettura anche per chi non fa il giornalista ma vuole capire come funziona la titolazione fatta bene.
Ah, una nota: in teoria nelle testate giornalistiche il titolo lo fa chi si occupa di gestire il backend, la "macchina" o "cucina" redazionale, non chi scrive l'articolo. Online purtroppo non è sempre così. Qui su Mostly Weekly sono un "one man band" e ahimè, temo si veda.
Yamato
Kutsushita (くつした)
I calzini (くつした, kutsushita) in Giappone hanno un ruolo parzialmente diverso che da noi. Questo perché una delle caratteristiche della cultura giapponese è il rapporto con gli spazi esterni e interni, pubblici e privati, impuri e puri. Mi spiego meglio: gli spazi hanno livelli di purezza diversi e richiedono un approccio differente da parte delle persone e in particolare dei loro piedi.
La soglia, il divisore tra uno spazio interno e uno esterno, pubblico e privato, è il luogo dove ci si tolgono le scarpe e si indossano le ciabatte. O si cammina a piedi nudi sui tatami (畳), la pavimentazione tradizionale modulare composta da pannelli con un telaio di legno e un rivestimento di paglia intrecciata e pressata. I giapponesi, tra l'altro, distinguono due tipi di stanze: le washitsu (和室, letteralmente "stanze giapponesi") che usano i tatami, e le yōshitsu (洋室? le "stanze occidentali") costruite con un qualunque altro tipo di pavimento.
Ci si toglie le scarpe per entrare in una casa privata ma anche per visitare un tempio, entrare in un ristorante tradizionale, in un bagno pubblico (sentō, 銭湯, letteralmente "bagno a pagamento"), in una stazione termale (onsen, 温泉) o una locanda tradizionale (ryokan, 旅館). Ci si tolgono le stanze all'ingresso e si possono usare le ciabatte, che sono di utilizzo pubblico. E che non conviene utilizzare a piedi nudi per motivi igienici: ecco quindi l'importanza del calzino come forma accettabile di calzatura che protegge dall'ambiente.
Attenzione: per entrare in bagno ci sono delle ciabatte apposite, che vanno usate solo là. Non sbagliate e se posso darvi un consiglio, cercate di avere su dei calzini quando le usate. Ma è come il consiglio di non andare in bagno in aereo senza scarpe: inutile perché tanto già lo sapete e mica lo fate, vero?
Opinioni altrui
Ho trovato su Telegram questa traduzione fatta da Rachele Zinzocchi (opens new window) dell'ultimo intervento di Pavel Durov, fondatore e guida di Telegram. Durov e il fratello hanno una vita particolare, per usare un eufemismo, e stanno combattendo una battaglia, o almeno così dicono, molto particolare contro i social tradizionali e l'impatto che hanno sulle persone. Ve la metto qui e vale una lettura, secondo me:
«La mente è il nostro strumento più potente. Non c'è niente che non possa fare. Secondo numerosi studi, genera attivamente nuove idee anche quando non ci si riposa o non si fa nulla. Spesso possiamo trovare soluzioni a problemi difficili semplicemente dopo una notte di sonno completo.
Proprio come il nostro stato fisico dipende da ciò che nutriamo per il nostro corpo, il nostro stato mentale dipende dalla qualità delle informazioni che forniamo al nostro cervello. Se nutriamo il nostro cervello con dati reali che gli permettono di risolvere problemi fondamentali, elaborerà questi dati in background e troverà soluzioni inaspettate.
È un peccato che la maggior parte delle persone preferisca alimentare le loro menti non con fatti reali che possono farci cambiare il mondo, ma con serie Netflix casuali o video Tiktok. Ad un livello profondo, il nostro cervello non può distinguere la finzione dalla realtà, così l'abbondanza di intrattenimento digitale mantiene la nostra mente subcosciente occupata producendo le soluzioni ai problemi che non esistono.
Per essere creativi e produttivi, dobbiamo prima togliere dalla nostra mente il fango appiccicoso di contenuti irrilevanti con cui "algoritmi di raccomandazione" ci inondano su base giornaliera. Se vogliamo reclamare la nostra libertà creativa, dobbiamo prima riprendere il controllo delle nostre menti».
Multimedia
Ebbene sì, stanno tornando gli Abba. Il gruppo svedese (Mamma mia!) ha registrato un nuovo album, intitolato Voyage (ci sono già le prime due canzoni: la ballata I Still Have Faith in You e Don’t Shut Me Down) e un tour particolare. Infatti, sul palco non ci saranno Agnetha Fältskog, Benny Andersson, Anni-Frid Lyngstad e Björn Ulvaeus, bensì i loro avatar. L’Abba Voyage Tour prenderà il via il prossimo 27 maggio 2022 nell’Abba Arena, uno spazio iper-tecnologico costruito per l’occasione nel Queen Elizabeth Olympic Park di Londra che ospiterà fino a tremila persone. La cosa divertente e inquietante è che, mentre gli "Abbatar" si esibiranno in pubblico con la band di dieci elementi, i quattro musicisti ormai settantenni (hanno 71, 74, 75 e 76 anni) potranno sedersi assieme al pubblico e assistere allo spettacolo.
È un piccolo fenomeno ma anche una specie di grande illusione. Ancora non ho capito se ho voglia, comunque la notizia è questa: gli Oliver Onions, cioè i due fratelli Guido e Maurizio De Angelis (74 e 77 anni) hanno inciso un disco che è una raccolta di una decina tra i brani più famosi incisi nuovamente ahimè con nuovi arrangiamenti. Il disco si intitola Future Memorabilia! ed è una goccia della loro produzione sterminata, in corso di ristampa da quasi vent'anni oltretutto. I due hanno infatti inciso 84 colonne sonore (ma in tutto sono state 116) e 90 album in studio (da cui sono stati tratti 69 singoli), 14 raccolte e un unico album dal vivo, più tutte le canzoni scritte per altri artisti. La produzione, che spazia dalle sigle per cartoni animati alle colonne sonore di film italiani e non (epica la collaborazione con il duo Bud Spencer e Terence Hill che li ha resi famosi in tutto il mondo). A causa della loro produzione musicale gigantesca molti brani venivano pubblicati con vari pseudonimi e hanno letteralmente invaso i mercati europei e americani. Si sono rimessi anche loro a fare tour musicali e stanno riconquistando uno spazio prima impensabile.
L'ex poeta residente di Mostly, Roberto R. Corsi, mi segnala che ieri era il compleanno di Anton Bruckner: il 4 settembre 1824 è infatti nato ad Ansfelden il compositore austriaco che è famoso, oltre che per la nota querelle con il tedesco Johannes Brahms, per le sue notevoli sinfonie. Scrive a proposito di Bruckner il critico di Apple Music: "Un compositore austriaco di musica orchestrale, da camera, per tastiera, vocale sacra e diverse sinfonie, che è stato influenzato da Wagner. Bruckner era un uomo profondamente religioso. Spesso frainteso e sottostimato durante la sua vita, questo compositore misterioso, schivo e reticente ma di gusti semplici e rustici è stato però capace di stupire il pubblico con la sua abilità di improvvisazione all'organo. Ha creato nove sinfonie di forma ed espressione assolutamente uniche che parlano di un timore reverenziale della natura. Il loro fluido sviluppo conduce nelle zone immaginarie più inaspettate, con materiale tematico spesso tratto dalle danze e dalle melodie popolari della sua terra natale, a volte riapparendo improvvisamente in sembianze travestite e metamorfiche". Ho scritto (opens new window) dello stato di crisi essenziale in cui versa la possibilità di fruire la musica classica: il fatto interpretativo è per sua natura frammentato mentre la struttura con la quale vengono organizzati i metadati dei brani è totalmente incompatibile. Non c'è un vero punto di incontro. Auguri Bruckner, le prossime generazioni che ti ascolteranno al di fuori dei conservatori e delle sale da concerto ti mescoleranno all'impossibile, in un unico gigantesco frittomisto di tutto, chiamato playlist.
Tsundoku
Non ci avrei scommesso una lira, ma Dante (opens new window) di Alessandro Barbero mi sta piacendo. Dopo ritorno a leggere altre cose di Vasco Pratolini, ma questo saggio divulgativo filologicamente corretto ma non eccessivamente pesante devo dire che non è male.
Ho letto Cryptonomicon (opens new window) di Neal Stephenson una vita fa: il monumentale libro per nerd scritto dall'autore che citavo due settimane fa (opens new window) riguardo a un altro suo libro, cioè In the beginnig was the command line (opens new window) è in realtà un autore più coerente di quanto non sapessi. Il succitato Cryptonomicon (opens new window) appartiene allo stesso universo fantastico in cui sono ambientati vari altri suoi libri, incluso quelli del Ciclo Barocco (opens new window) che, mi vergogno fino un certo punto a dire, sono comprati e impilati da anni ma non letti. Perfettamente Tsundoku (opens new window) (積ん読), no?
Stephen King, che in vecchiaia è diventato un personaggio che somiglia sempre più a Alfred Hitchcock, continua a tirare fuori libri e gestire curatele come se non ci fosse un domani. In questo caso Odio volare (opens new window) è un'idea divertente. Lo spiega lui stesso: "Allora, eravamo seduti a cena prima della proiezione de La Torre Nera a Bangor, e sapevamo che molte persone sarebbero arrivate in aereo per partecipare all'evento. Io ho confessato che odio volare e la conversazione si è concentrata su storie di aerei, alcune spaventose, altre divertenti. Ho notato che non era mai stata pubblicata una raccolta di racconti horror sul volo, anche se me ne erano venuti in mente diversi sul tema. Qualcuno avrebbe dovuto farla. Bev Vincent, che è un incredibile pozzo di scienza, ha accettato di curarla con me e ora eccola qui. Bev e io pensiamo che sia una lettura ideale da aereo, specialmente durante gli atterraggi turbolenti".
Vi ricordate che sul numero 126 (opens new window) di Mostly Weekly avevo segnalato in questa stessa rubrica il libro di Chiara Valerio La matematica è politica. Beh, non a tutti è piaciuto come spiegano qui (opens new window) e come racconta in video lo youtuber di turno (opens new window).
Coffee break
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Al-Khwarizmi
Offuscare le parole
In questo thread (opens new window) su Twitter (alcuni di voi odiano leggerli, lo so) Brendan Dolan-Gavitt (@moyix) mostra il lavoro che ha fatto per deoffuscare il dizionario di parole vietate dal generatore smart di codice di GitHub, CoPilot. È un lavorone soprattutto perché mette a nudo le possibili tecniche di attacco e mostra tempi e qualità dei risultati. Le parole vietate, conservate solo come hash, sono parolacce, in apparenza, ma non sempre è così. Sono "parole sensibili", dentro c'è Siria, Israele, ma anche pezzetti di formula che bloccano brani altrimenti copiati pari pari (per via dell'addestramento della rete neurale dietro CoPilot) e via dicendo. Prendete popcorn e una buona bibita, mettetevi sul divano e leggetevi il thread. C'è da imparare sia come si pensa in modo creativo sia su strumenti e approcci interessanti.
To-Do
Come tutti, o forse dovrei dire come molti che leggono questa parte di Mostly Weekly, sono passato attraverso un buon numero di soluzioni per organizzarmi quando lavoro e nella vita privata: software, app, metodi, tecniche, fogli di carta, post-it, GitHub (opens new window) e varie altre. Ditene una e io quasi sicuramente l'ho almeno provata (e sicuramente scartata). Beh, questo giovane lavora con passione per reinventare la sua personale ruota: TODO per progetti personali (opens new window), perché i to-do non vanno condivisi con gli altri (quello sarebbe uno strumento di collaborazione) ma devono essere il proprio breviario e la propria bussola. Comunque, il giovane ha fatto tutto con un foglio di testo semplice, svincolato da qualsiasi software specifico, e spiega bene e sinteticamente come funziona il suo approccio minimalista ma completo e visivamente gratificante. Adatto solo a chi fa un lavoro strutturato e non ai flâneur del digitale.
Una modesta proposta
CasiOak
Il CasiOak, l'orologio digitale Casio totalmente non-smart che sto usando questa estate, è un piccolo orologio banale ma molto interessante. Il nome "vero" è Casio G-Shock GA-2100 e ne esistono ovviamente un certo numero di varianti. È un G-Shock (ho i polsi grossi, è perfetto) con le lancette e un quadrante "all black" sorprendentemente pulito, nonché una forma della cassa ottagonale che ricorda fortemente un Royal Oak di Audermas Piguet, un orologio di haute couture che costa 25mila euro. Il Casio invece ne costa una cinquantina e ovviamente su Internet si trovano anche tutti gli accessori per customizzarlo: si smonta un pezzo di scocca, si sostituisce con uno in plastica argentata con viti a vista (finte) e diventa veramente una specie di strana variante del Royal Oak: un CasiOak, appunto. Nell'uso normale di orologio completamente in resina (cassa e bracciale) è straordinariamente leggero anche rispetto a tutti gli smartwatch che ho provato e all'Apple Watch. Non è radiocontrollato, non ha la ricarica solare. Non ha niente. Ti dice solo l'ora (evviva!) con le grosse lancette bianche, e i secondi te li devi leggere nel minuscolo display che indica anche la data. Insomma, è un orologio. Nient'altro che un orologio. Non ti ascolta, non ti conta i passi, non ci puoi parlare, non puoi fare tap, non lo devi ricaricare tutte le sere. Sapete cosa? Ci voleva.
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.
“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”
– G.K. Chesterton
END
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