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Il metodo Doonesbury, tra fumetto e "New Journalism"


Mike Doonesbury

L’informazione USA e il “Mike Doonesbury journalism”


(Pubblicato a maggio 2009, questo breve saggio sul rapporto tra giornalismo e il lavoro di Garry B. Trudeau è uno degli scritti che fanno parte dell'introduzione al volume "Doonesbury. L’integrale 1970-1972". Intanto, sul mio blog (opens new window) da parecchi anni ormai escono le sunday pages di Doonesbury)


«E ficcati bene in testa che qualsiasi cosa dirai potrà essere usata contro di te su Doonesbury», dice il politico più anziano a quello giovane mentre salgono le scale del Campidoglio di Washington.

Il cartoon pubblicato nel 2000 sul settimanale-culto del giornalismo americano, il New Yorker, è uno dei più importanti riconoscimenti “ufficiosi” del ruolo di Doonsbury nella politica e nella società americana. Per quanto non sia la prima citazione che il New Yorker ha fatto della striscia quotidiana di Garry B. Trudeau (ce ne sono altre quattro precedenti, tutte negli anni Novanta: un altro cartoon e tre brevi articoli nella sezione degli editoriali iniziali “The talk of the town”), la vignetta firmata da Booth è infatti una sorta di presa di coscienza esplicita del ruolo che la creazione di Trudeau svolge nel costume degli Stati Uniti.

Doonesbury è una fonte di informazione alternativa e spesso più divertente rispetto a quelle tradizionali. E il suo ruolo è cruciale in un settore come quello del giornalismo politico americano: governato da pesi e contrappesi in perenne e delicato equilibrio, il giornalismo trova in Doonesbury un soggetto difficilmente assimilabile. Perché la striscia rappresenta in qualche misura la materializzazione dell’incubo di qualsiasi establishment: è l’avventura di un solo uomo, della sua sensibilità, del suo spirito e delle sue idiosincrasie distillate al tavolo da disegno, ma è anche il megafono che risuona attraverso il meccanismo della syndication su centinaia di giornali locali americani per un totale straordinario di più di 1.400 pubblicazioni quotidiane in tutto il mondo.

Anzi, Doonesbury è in qualche misura l’idea stessa che definisce la moderna syndication di daily strip statunitensi. La Universal Press Syndicate che lo distribuisce, cioè la più grande società al mondo di questo tipo, è stata fondata nel 1970 da John McMeel e Jim Andrews, due ex allievi dell’università della Notre Dame nell’Indiana, proprio per colpa di Trudeau. O meglio, per merito di una sua striscia pubblicata a partire dal settembre del 1968 sul giornale universitario di Yale e intitolata “Bull Tales”, che ha ispirato i due giovani imprenditori spingendoli a fondare la loro società e a chiedere a Trudeau (passato a scrivere Doonesbury a tempo pieno dopo la fine degli studi) di farsi distribuire da loro.

La particolare struttura dei quotidiani statunitensi, articolati in catene di testate locali con pochi giornali che possano definirsi a pieno titolo nazionali (bisogna aspettare il 1982 perché il gruppo Gannett lanci Usa Today, il primo quotidiano presente in tutti e 50 gli Stati dell’Unione, dove spesso si trovavano solo testate locali), favorisce per più di un secolo la distribuzione dei contenuti nella forma della syndication: dagli articoli delle grandi agenzie d’informazione sino a quelli che vengono passati trasversalmente fra testate sorelle dello stesso gruppo. La possibilità di distribuire in syndication anche alcuni dei contenuti d’intrattenimento, come la pagina delle strisce quotidiane, diventa uno degli sbocchi classici per la vita di un cartoonist, e aziende come la King Features Syndicate del gruppo Hearst acquistano rapidamente un ruolo centrale nell’aggregare centinaia di autori diversi e ridistribuirli a centinaia e, in alcuni casi, migliaia di testate negli Usa e all’estero.

Nella carriera di un giornalista statunitense, l’università rappresenta dall’inizio del Novecento il punto di partenza: si studia giornalismo e soprattutto lo si può praticare nelle testate degli atenei grandi e piccoli. Il primo impegno editoriale dell’allora matricola universitaria Garry Trudeau (che è nato a New York il 21 luglio del 1948 ed è a pieno titolo un perfetto rappresentante della generazione dei baby boomer) segue esattamente la stessa strada, solo sul versante del cartoon. Il primo lavoro di Trudeau non fu un “pre-Doonsbury” ma in qualche misura è stato invece un “ur-Doonesbury”. Non un precursore ma un seme mitologico da cui è generata la pianta quasi quarantennale.

Lo Yale Daily News, il giornale universitario dell’università frequentata da Trudeau, come in parallelo spesso accade ai cronisti che studiano giornalismo nelle università americane, è stato infatti la palestra in cui l’autore si è fatto le ossa. Su quel giornale ha potuto mettere a fuoco temi, stile grafico, passo narrativo ed esplorare il mondo della serialità quotidiana: prima quattro riquadri ripetuti cinque volte la settimana sullo Yale Daily News, poi quattro riquadri ripetuti sei volte la settimana più una tavola domenicale in tutto il Paese grazie alla neonata syndication che proprio con Doonesbury ha cominciato a costruire il suo mercato nazionale e poi internazionale.

Il riconoscimento al lavoro giornalistico di Trudeau è però arrivato ben prima del cartoon do Booth pubblicato dal New Yorker: nel 1975 la striscia ha vinto il premio Pulitzer nella sezione “editorial cartooning” grazie alle decine di tavole dedicate allo scandalo del Watergate che pochi mesi più tardi sarebbe costato la presidenza a Richard Nixon. Il Pulitzer a un cartoon pubblicato in un giornale non era affatto una novità, dato che quella specifica categoria del premio venne fondata nel 1922, cioè ben 53 anni prima. La novità stava nell’assegnarlo a una strip comica, che veniva stampata nel dorso del giornale dedicato ai fumetti e non in quello degli editoriali e delle opinioni, che nei giornali statunitensi vengono tenuti anche redazionalmente separati dalle pagine delle notizie. Nonostante il primato del riconoscimento di tale ruolo, neanche in questo Trudeau era un innovatore assoluto.

Tuttavia, è stato il simbolo di un cambiamento profondo su due piani diversi. Da un lato, il riconoscimento implicito che l’intrattenimento e l’informazione all’inizio degli anni Settanta avevano raggiunto una commistione profonda, contaminandosi a vicenda. Dall’altro, che l’aria nuova che si respirava nell’informazione americana con il cosiddetto “"New Journalism"” stava rappresentando il catalizzatore del giornalismo stesso.

Secondo Tom Wolfe, l’aedo del "New Journalism", le caratteristiche di questo movimento di stile oltre che di sostanza che nasce a cavallo tra gli anni Sessanta e Sessanta sono quattro, e sono tutte prese a prestito dalla letteratura. La prima è di raccontare le storie usando quanto più possibile la forma narrativa. La seconda è di riportare i dialoghi nella loro completezza. La terza è di adottare un punto di vista particolare di uno dei personaggi coinvolti nella vicenda. La quarta, infine, è di registrare tutti i più minuti particolari della giornata raccontata, dell’ambiente che circonda il testimone, per inquadrare le caratteristiche sociali oltre che psicologiche del personaggio. Tuttavia, il New Jorunalism non può e non deve essere definito “fiction”, in quanto mantiene gli elementi strutturali caratteristici del giornalismo d’informazione: aderenza ai fatti, accuratezza, presenza di testimoni e fonti di informazione, anche se mediate dal punto di vista dell’autore.

Il "New Journalism" ha anche la caratteristica dell’ampiezza dei testi. E quindi trova posto tipicamente al di fuori dei fogli della stampa e invece costruisce la sua profondità e il suo campo d’azione all’interno dei magazine (come il New Yorker, il New York Magazine, l’Atlantic Monthly, Rolling Stone, Esquire e pochi altri) che consentono la pubblicazione di articoli più lunghi, fino ad arrivare alla creazione di veri e propri libri-reportage, narrazioni definite da Truman Capote come delle Non-fiction novels. Anzi, l’autore di Colazione da Tiffany (1958) è anche quello che, con il suo romanzo-verità A sangue freddo (1966) inspirato da poche righe di cronaca pubblicate il 16 novembre 1959 a pagina 39 del New York Times dà il via a molti elementi del "New Journalism".

Arrivare da qui ai cartoon realizzati da Doonesbury è meno complesso di quel che sembra. E la strada non è quella della critica sociale fatta attraverso una narrazione allusiva, com’è il caso di Al Capp con Li’l Abner (1934) e poi di Walt Kelly con Pogo (1948), entrambi precursori tematici di Trudeau. La contaminazione è invece più diretta: è l’aria nuova che il "New Journalism" introduce nella società Usa a partire dagli anni Sessanta, gli anni della formazione universitaria di Trudeau, nelle aule dell’accademia americana intorno alle quali nasce anche la contestazione. È la società che vede lo scontro frontale fra la televisione, che acquista un ruolo dominante nella vita degli americani, e in cui vengono assassinati J.F. Kennedy (1963), Martin Luther King (1968) e Robert Kennedy (1968), facendo entrare in maniera drammatica la politica nella vita quotidiana di una nazione sempre più globalizzata e mostrando l’inadeguatezza dei vecchi mezzi d’informazione nel raccontare in modo esauriente il cambiamento in corso, con le tensioni sociali che esso comporta.

Nelle pagine dei “vecchi” giornali, schiacciati dalla televisione e dalla radio, non riescono a entrare in maniera esauriente il movimento dei diritti civili, quello del femminismo e quello dei gay, il riconoscimento dei diritti dei portatori di handicap e il nascente desiderio della privacy nella società americana. L’inadeguatezza è palpabile e lo sfogo della pressione generazionale resa difficoltosa dal giornalismo “ufficiale”. La presenza di Doonesbury, ogni giorno pubblicato nella pagina dei cartoon degli altrimenti austeri e sordi quotidiani locali americani, diventa così già di per se stesso una forma di rottura che fa entrare aria nuova nelle pagine di grande formato, anche se dalla porta di servizio dell’intrattenimento “leggero” per ragazzi.

Se, come diceva Arthur Miller, la stampa è la nazione che parla a se stessa, Doonesbury diventa così quella parte della nazione che siede ancora al tavolo dei ragazzi, tagliata fuori dai discorsi conviviali degli adulti ma più che mai decisa a farsi ascoltare, mentre gli adulti stanno lentamente perdendo il tema della discussione centrale. Lucrezio duemila anni prima di Doonesbury scelse la poesia per addolcire con del miele il bordo della tazza che conteneva l’amara medicina della filosofia. Trudeau sceglie invece il sorriso e la battuta per portare avanti una narrazione insieme intima ma sempre pubblica, in cui l’opinione dei protagonisti delle sue strisce oltre a far divertire informa e forma l’opinione, mescolando gli elementi di stile del "New Journalism" con i tratti caratteristici del cartoon.

I primi tre anni di Doonesbury, anzi due anni e poco più di due mesi per un totale di 770 strip a partire dal 26 ottobre 1970, sono anni giornalisticamente e stilisticamente sorprendenti. Trudeau non è ancora un autore completamente maturo ma è tutt’altro che ingenuo. Nonostante debba ancora schierare tutti i suoi personaggi – tra le assenze di questi primi anni spicca quella di Duke, nato come caricatura di Hunter S. Thompson (altro protagonista del "New Journalism" e poi della variante più spiccatamente soggettiva e lisergica di questo, il "Gonzo Journalism") dopo alcuni mesi, e JJ la futura ex-moglie di Mike Doonesbury nonché figlia di Joanie Caucus – ha già capito come fare satira politica e giornalismo di commento e poi d’inchiesta. Così come la televisione ha reinventato il modo di narrare le notizie, alleggerendo il bisogno di documentazione che non sia quella video, così la striscia quotidiana non deve necessariamente rappresentare la realtà ma, più semplicemente, far entrare la realtà all’interno del suo microcosmo. Michael Doonesbury e Mark Slackmeyer attraversano Washington e la cronaca americana in uno dei primi raid simbolici della striscia “alla ricerca dell’America”, incontrando Henry Kissinger su una panchina vicino al Lincoln Memorial e andando poi a visitare il potere politico “in casa sua” nelle forme di un senatore al lavoro sulle nuove legislazioni. Oppure, la storica striscia che introduce nella mattutina preghiera laica del borghese americano, cioè la lettura del suo quotidiano locale specchio di un interesse limitato per quanto accade al di là dell’orizzonte della sua comunità, la marijuana, rappresentata e fumata in una società che si rifiutava di prenderne in considerazione l’esistenza stessa.

I tre anni di strip qui pubblicate sono quelli in cui negli Usa ancora non si è consumato il Watergate, lo scandalo partito dall’arresto casuale il 17 giugno del 1972 di alcuni uomini che nottetempo si erano introdotti nel complesso del partito democratico a Washington e che rappresentavano la punta dell’iceberg della presidenza Nixon, costellata di abusi, illegalità e violazioni (dallo spionaggio al sabotaggio vero e proprio) condotte dallo staff e dalla squadra di persone che facevano riferimento a lui. Le inchieste della stampa americana (e alcune straordinarie strip di Trudeau) misero alla luce la fitta trama di connivenze e di complicità ai più alti livelli, portando alle dimissioni di Richard Nixon dalla Casa Bianca il 9 agosto del 1974. Tuttavia, il periodo compreso tra la fine del 1970 e tutto il 1972 non è per questo privo di avvenimenti di rilievo. Sono innanzitutto gli anni del Vietnam (o seconda guerra dell’Indocina), il conflitto iniziato negli anni Cinquanta e che con il presidente democratico Kennedy (eletto nel 1963) ebbe una escalation drammatica e che venne portato avanti dal suo successore Lyndon Johnson sino a fornire uno dei principali strumenti della piattaforma di Nixon nella campagna elettorale del 1968, la “pace onorevole” che rappresentava per gli elettori americani il sogno del ritorno agli affari interni americani, senza più tragedie per una guerra lunga e non comprensibile. L’uscita degli americani dal Vietnam, dopo una lunghissima contestazione iniziata in patria nel 1962, avvenne fra il 1973 e il 1975, con la caduta di Saigon nel luglio di quell’anno.

Le pagine dei giornali fra il 1970 e il 1972 erano tuttavia popolate da fatti di cronaca, storie della sempre più complessa società americana e internazionale: dalla presa del potere di Pinochet in Cile alla crisi del Medio Oriente, dai conflitti che attraversano i Paesi africani sino al suicidio di Yukio Mishima in Giappone. Il terrorismo in Europa (dall’Italia alla Spagna e alla Francia sino all’Irlanda e alla Gran Bretagna) mentre la Torre nord del complesso newyorchese del World Trade Center viene completata e diventa la costruzione più alta del mondo. È anche il periodo in cui gli Usa terminano l’embargo alla Cina (riconosciuta poco prima dal Canada come Stato sovrano e che diventa membro del consiglio permanente di sicurezza dell’Onu), l’età del voto negli Usa scende dai 21 ai 18 anni, si sussegue il maggior numero di missioni spaziali americane e russe, apre il Walt Disney World in Florida e la Gran Bretagna entra nella Comunità europea. D. B. Cooper, dopo una rocambolesca rapina-dirottamento di un aereo della Northwest Orient Airlines, si paracaduta sopra lo stato di Washington con 200 mila dollari e scompare nel nulla, creando uno dei più persistenti miti dell’immaginario collettivo statunitense. Mentre Pablo Neruda vince il Nobel per la letteratura e Willy Brandt quello per la Pace, Nixon firma l’avvio del programma di navette spaziali della Nasa chiamate Space Shuttle. Viene anche “scoperto” nell’isola di Guam il soldato giapponese Shoichi Yokoi, convinto che la Seconda guerra mondiale non sia ancora finita. Nella Stone Mountain in Georgia sono completate le gigantesche sculture dei tre presidenti americani Jefferson Davis, Robert E. Lee, e Stonewall Jackson, esce Il Padrino di Francis Ford Coppola e viene commercializzata la prima console per videogiochi, Magnavox Odyssey. Mentre Nixon e Breshnev firmano il primo accordo per limitare la proliferazione dei missili atomici, Salt I, Bobby Fischer sconfigge Boris Spassky a Reykjavík e diventa il primo americano campione del mondo di scacchi. Alle elezioni del novembre 1972 Nixon sconfigge George McGovern e inizia il suo secondo mandato, l’indice di Borsa Dow Jones supera per la prima volta i mille punti e il neo-eletto primo ministro australiano Edward Gough Whitlam, il primo laburista da 23 anni, come primo atto formale ritira le truppe australiane dal Vietnam. L’astronauta americano Eugene Cernan è l’ultimo uomo a camminare sulla superficie della Luna, durante la missione Apollo 17.

La principale capacità giornalistica e di artista-intellettuale popolare e al tempo stesso engagé di Doonesbury è già delineata fin dai primissimi anni. Non sta nel reportage o nell’inchiesta sulla falsariga del Washington Post (che pure, più avanti, Trudeau non mancherà di frequentare, seppure in maniera episodica) e neanche nel peso delle opinioni che orientano gli elettori. Il genio anche giornalistico, di un giornalismo che potremmo definire "MD-journalism" dalle iniziali del protagonista della striscia, sta piuttosto nell’aver iniziato a tendere una fitta trama di relazioni e storie tra i suoi personaggi – il folto cast di regolari è composto attualmente da 24 volti immortalati sul sito ufficiale Doonesubury.com, ma in realtà è molto più grande – che hanno disegnato una storia coerente capace di scorrere a tratti in parallelo e a tratti di sovrapporsi a quella della politica e del costume americano.

Attenzione, perché è un esercizio simile ma in parte molto più complesso (e di lunga durata) di quello del "New Journalism". Le vicende personali e pubbliche di Mike Doonesbury e gli altri sono sempre in sottile equilibrio fra tre diversi punti di attrazione: la vita privata, il fatto pubblico e il personaggio o atto-simbolo. Per quest’ultimo aspetto, nella strategia narrativa di Trudeau compaiono infatti spesso personaggi o comportamenti che assumono un forte significato simbolico, quasi astratto. Ma, e qui c’è la capacità più profonda di Trudeau, sia graficamente che stilisticamente e narrativamente l’autore riesce sempre a tenere insieme il tutto. Il simbolo non diventa mai la fine della piccola storia personale. È anche il motivo per il quale la striscia quotidiana di Trudeau merita senza dubbio, almeno da un punto di vista giornalistico, di rimanere – come accade nella maggior parte delle pubblicazioni in America – nella pagina dei fumetti e non in quella degli editoriali.

La tessitura di Trudeau è iniziata praticamente fin dai primi mesi di pubblicazione di Doonesbury e dimostra la maturità dell’autore e il fatto che sin dal principio il suo lavoro si è caratterizzato con anni giornalisticamente e stilisticamente sorprendenti. La capacità di legare il piccolo al grande, il pubblico al privato, e di affrescare una cronaca quotidiana che è anche commento, battaglia politica ed ideale, denuncia e rappresentazione per il pubblico del significato degli eventi in corso, si completa lentamente e acquista esplicita coscienza di sé più avanti, con lo iato durato 22 mesi tra il gennaio del 1983 l’ottobre del 1984.

Il rapporto con il potere politico, comunque, rimane il tema centrale e caratterizzante. Trudeau è un figlio di Yale, appartiene a un ceto sociale che in America esprime capitani d’industria ma soprattutto l’élite di governo: senatori, deputati, presidenti. E quest’aria è quella che viene respirata fin dal principio il giovane nipote del dottor Edward Livingston Trudeau, medico illustre che nell’Ottocento costruì sanatori per combattere la tubercolosi. L’autore di Doonesbury riesce così a non rinnegare completamente la sua appartenenza a un gruppo affatto particolare di americani per censo ed educazione, seguendo tuttavia il suo talento e la passione per le arti grafiche. E, dalla sintesi di questi due mondi apparentemente in conflitto, offre una delle più vivaci reinterpretazioni del modo di fare giornalismo negli Usa.

In una fotografia che Trudeau tiene da venti anni sulla sua scrivania, l’autore è affiancato da Bush padre e figlio. La dedica affettuosa del 1987 scritta da Bush padre recita: “Garry – Two Bushes in the hand are worth one in the trust. We enjoyed the visit. Good Luck, George Bush”. Pochi anni dopo, quando Bush padre aveva iniziato a lavorare alla sua campagna elettorale come presidente degli Stati Uniti, l’amicizia verso Trudeau si sarebbe trasformata in feroce avversione, passata da generazione a generazione della famiglia Bush, da campagna elettorale a campagna elettorale, da presidenza a presidenza. Al di là degli attacchi di Trudeau ai politici e ai Bush in particolare (come a pochi altri leader americani, tra i quali Nixon e Kissinger), c’è da parte dei Bush – entrambi allievi come Trudeau di Yale – la stizza provocata dalla sensazione di trovarsi di fronte un “traditore della casta”, “uno come noi” che non rispetta le regole del gioco dell’establishment al quale di diritto sarebbe dovuto appartenere.

Una parte del timore provocato nell’establishment americano da Trudeau – che ha avuto la sensibilità anche linguistica nel corso degli anni di riuscire a rappresentare una vera e propria “commedia all’americana” di maschere, personaggi e caratteristi della cronaca di quel paese – è proprio quella del pericolo rappresentato da “uno di noi” passato “dall’altra parte”. È ben riassunta in un altro cartoon del New Yorker: due senatori guardano dalla finestra dell’ufficio di Washington il Campidoglio e uno dice all’altro, «Propongo le leggi. Faccio del mio meglio per favorire la governabilità. E cerco in ogni modo di non finire su “Doonesbury”»

È, in ultima analisi, lo stesso timore che la stampa intesa come cane da guardia al servizio del lettore dovrebbe esercitare nel potere politico ed economico.