[Mostly Weekly ~240]

Storie, storie, storie


A cura di Antonio Dini
Numero 240 ~ 8 ottobre 2023

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Benvenuti su Mostly Weekly, la newsletter settimanale che esce quando è pronta.

Questa settimana, come anticipato un po' di tempo fa, arriva qualche cambiamento. Sia per questioni mie di tempo e organizzazione, sia per non rimanere sepolto nella solita routine produttiva. Il risultato? Storie storie storie. Che ne pensate?

Intanto che pensate qualcosa, vi ricordo anche che Mostly Weekly è aperta a tutti. Tuttavia, per sostenerla, visto che ho dei costi vivi e le donazioni su PayPal (opens new window) attualmente latitano (il momento è duro per tutti, lo so) sto progettando una cosa. Dare la possibilità a un privato o un'azienda di sponsorizzare un numero di Mostly Weekly. Cifre ragionevoli e tutto regolarmente fatturato, ovviamente. Se siete interessati, scrivetemi rispondendo a questa email.

Invece, se morsi dai sensi di colpa volete fare una donazione su PayPal (opens new window), beh, potete sempre farla, mica ve lo vieta nessuno.

Intanto, buona lettura.


QUOTE
–- Anonimo



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Storie di premi

Due brevi riflessioni subito dopo l'assegnazione dei premi più importanti del mondo: i Nobel. Per quanto riguarda quello per la letteratura a Jon Fosse (opens new window), c'è da riconoscere ancora una volta il talento dell'Accademia di Svezia per riconoscere il talento là dove la maggior parte dei lettori ignora anche l'esistenza dell'autore, anche se ci sono editori (opens new window) (originale (opens new window)) capaci di entrare in sintonia con "un gruppo di persone svedesi borghesi e di mezza età".

Per quanto riguarda invece i premi scientifici (fisica, medicina eccetera) la riflessione è questa: visto il rapporto tra ricerca e industria e visto anche che la ricerca è uno sport di squadra, non più l'opera struggente di un solitario genio (o di una coppia di geni), i premi Nobel hanno ancora senso? (opens new window)

Se pensate che l'orrore sia nell'opera di H.P. Lovecraft, dovreste leggere qualcosa della vita (opens new window) dell'autore americano morto a 43 anni. Era profondamente e visceralmente antisemita, misogino, xenofobo e omofobo. Non ha mai lavorato, tranne alcune commissioni sporadiche e sottopagate. In vita non è riuscito a pubblicare un solo libro. Morì in miseria, un assoluto sconosciuto che era riuscito a pubblicare solo una cinquantina di racconti su riviste marginali. Infatti, negli ultimi anni ha praticamente abbandonato la letteratura, convinto che non valesse assolutamente nulla come scrittore. In realtà, la sua vera ossessione erano le lettere. Ne ha scritte 75mila, alcune lunghissime: a noi ne rimangono 15mila, che bastano e avanzano direi.

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Mambo della bici
Mambo della bici ~ Foto © Antonio Dini

Storie di padri e di figli

Ci sono anche le storie che non raccontiamo, quelle che sono invisibili, in negativo. L'abbiamo fatto tutti: abbiamo nascosto il nostro vero io per conformarci all'idea di comportamento accettabile di qualcun altro. John Paul Scotto lo ha fatto a scuola, dopo che gli era stato detto di stare zitto perché parlava ad alta voce durante lezione di fatti e cifre del baseball. L'ha fatto anche a casa, sgridato dal padre che gli imponeva il silenzio. Scotto fa un ottimo lavoro ricordandoci il potere che i genitori hanno su di noi, un potere che persiste fino all'età adulta, che ci piaccia o no; come una parola tagliente o un commento sprezzante possono sminuirci, riducendoci a quel bambino spaventato deciso a evitare il più possibile di essere notato e i suoi genitori. "Avevo imparato come fare a non farlo arrabbiare: non lamentarmi. Non parlargli quando era concentrato su un compito. Essere dove lui voleva che io fossi nel momento preciso in cui lo voleva. Fate subito quello che mi diceva di fare", scrive (opens new window). La cosa bella del saggio di Scotto (opens new window) è un'epifania che vale la pena di esaminare più a fondo. La rabbia del padre e il suo bisogno di mantenere l'ordine - anche a scapito dello spirito del figlio - non sono dovuti al fatto che i due sono così diversi come esseri umani, ma perché sono molto simili (opens new window).


Storie di tram

C'era una volta il tram. Perché li abbiamo fatti fuori dalle nostre città? Negli Usa ogni tanto il problema torna, da noi è seppellito sotto i sigilli del ruolo dell'industria automobilistica nel nostro Paese (e in molti altri paesi europei). Ecco alcune cose che non sapevo.

Nel 1920 la rete di linee interurbane dei tram negli Stati Uniti era così densa che un passeggero poteva viaggiare su tram interconnessi da Waterville, nel Maine, a Sheboygan, nel Wisconsin: un viaggio di mille miglia circa fatto tutto esclusivamente con carrozze elettriche. Non treni (che peraltro negli Usa erano prevalentemente a vapore o diesel) ma tram elettrici.

I binari, e spesso anche i fili, passavano nelle foreste e nei terreni agricoli, rendendo le ferrovie di fatto autostrade interurbane; dopo il tramonto in campagna, i contadini segnalavano ai conducenti dei veicoli elettrici extraurbani di fermarsi bruciando uno straccio accanto ai binari. I tram urbani e interurbani divennero la modalità di trasporto dominante in Nord America, trasportando 11 miliardi di passeggeri all'anno sino alla fine della Prima Guerra Mondiale.

E poi che cosa successe? Negli anni Venti le automobili iniziarono a intasare le strade e le autostrade: senza corsie riservate (non erano treni, ricordate?) i tram cittadini e interurbani, da veloci ed efficienti, divennero i mezzi più lenti in circolazione. Però resistevano. La vera "spinta" per uscire dal mercato e dalle strade gliela hanno data quelli del settore automobilistico, che hanno affrettato i tempi della decadenza in maniera tutt'altro che subdola ma comunque molto efficiente. C'è anche una teoria che lo spiega: è "la teoria Roger Rabbit (opens new window)", secondo la quale GM, Firestone e altri grandi cospiratori avrebbero causato lo smantellamento dei binari. Come?

Anche il documentario Who Killed the Electric Car (opens new window) (quello che spiega che le auto elettriche erano state fatte e poi disfatte a metà anni Novanta) contiene un capitolo (opens new window) su questo argomento. Ecco la strategia negli Usa per far fuori i tram. I produttori di autobus, le aziende produttrici di pneumatici e le compagnie petrolifere americane si unirono per comprare le linee di trasporto elettrico, cioè i tram dalle amministrazioni locali per aiutarle "a risparmiare denaro". Le linee dei tram venivano gestite per un anno o due, poi si dichiarava che le tratte non erano redditizie e si mettevano in circolazione come alternativa autobus sgangherati e puzzolenti che non piacevano a nessuno. Intanto, l'azienda di autobus comprava i nuovi modelli, la benzina, i pneumatici e tutto il resto solo dalle aziende del monopolio, e il gioco era fatto.

In Italia sono sicuro che è andata in maniera completamente diversa.


Storie di parole giapponesi

Il dizionario tematico della lingua giapponese da questa settimana per un po' diventa carsico: sto lavorando a una versione estesa delle parole uscite finora da pubblicare verso Natale e non ho abbastanza tempo per fare contemporaneamente anche nuove voci. Quindi, se ne sentite la mancanza, potete sempre rileggere alcuni dei vecchi numeri nell'archivio della newsletter (opens new window).


Storie di spie

È uscito una nuova edizione italiana di un libro di James Bond, Al servizio di Sua Maestà (opens new window), scritto ovviamente da Ian Fleming. È la meritevole opera che sta da tempo facendo Adelphi, un libro alla volta (opens new window). Le traduzioni sono eccezionali e la resa notevole, perché Fleming (massacrato da una precedente edizione italiana) in realtà era uno scrittore notevole. Ma il suo personaggio viene "letto" poco e "visto" molto. Perché stiamo parlando di un enorme personaggio cinematografico, anche se parecchio discontinuo. E giudicato in maniera difforme a seconda dell'interprete. Il peggiore, secondo alcuni, è Pierce Brosnan. Che secondo me è un attore grandioso (il suo Remington Steele* in "onda" su Pluto, è fantastico). La spiegazione di questo giudizio? È la scala di incredulità richiesta da ogni film.

Andiamo con ordine. James Bond è un agente dei servizi segreti autorizzato a usare la forza letale se necessario. È una finzione, ma parliamo comunque degli anni Cinquanta-Sessanta: la gente aveva fatto la guerra e scoperto il ruolo delle spie "dal vivo". Ora, per la maggior parte del tempo, Sean Connery si è comportato davvero come un agente dei servizi segreti "classico", usando sotterfugi e abilità investigativa per far progredire la trama, anche se spesso veniva catturato da cattivi che avevano l'inspiegabile bisogno di raccontargli i loro piani nefasti, permettendogli in seguito di sventare il loro progetto ovviamente molto più malvagio di quanto sarebbe lecito aspettarsi (conquistare il mondo, di solito). La ragione del successo è questa e ovviamente il comportarsi come un animale con ogni donna che incontrava, sia che fosse dalla sua parte sia che fosse una scagnozza del cattivo (e a prescindere dagli orientamenti sessuali di quest'ultima).

Passaggio di testimone. Roger Moore era assolutamente camp nel ruolo di Bond e si comportava nel modo più ridicolo: praticamente gridava "Sono una spia!" a chiunque lo guardasse. Le acrobazie e i gadget diventavano sempre più incredibili. Al limite dell'insostenibile.

Ora, Dalton e Brosnan erano presumibilmente più orientati all'azione. Si cimentavano in azioni fuori scala, e la quantità di cose degne della massima incredulità che producevano era spettacolare. Inseguire un cattivo in un carro armato per il centro di Mosca, per l'amor del cielo!

Solo con Craig il livello di "realtà" è stato riportato a un livello più normale per i film di azione. Anzi, l'ha portato all'estremo, arrivando al massimo di realismo simbolico concesso a un film: la fine catartica del personaggio. Invece, i film di Brosnan avevano trame ridicole, dialoghi stentati, cattivi monodimensionali ed erano difficili da prendere sul serio come comportamento "realistico" di un agente di intelligence professionista.

Storie di sponsorizzazioni

I film di James Bond sono un monumento al product placement, il business di chi trova il modo di infilare marchi e prodotti dentro i film. È un lavoro vero, ci sono aziende dedicate solo a questo, e genera parte del fatturato di chi fa i film. Bond è famoso per molti gadget, per le auto, per i posti esclusivi che frequenta, per i cibi e i vini, ma soprattutto è famoso per gli orologi. A partire dal Rolex Submariner del James Bond interpretato da Sean Connery.

Questa attività commerciale però non era presente nei libri. Il personaggio letterario di Bond era particolarmente disinvolto nei confronti dei suoi orologi e dei suoi gadget in generale. Fleming fa solo un fugace accenno a Rolex nei suoi romanzi: in Al servizio segreto di Sua Maestà, ad esempio, Bond fa l'inventario delle armi a sua disposizione, tra cui "un pesante Rolex Oyster Perpetual su un braccialetto di metallo espandibile", che usa come efficace tirapugni.

Dopo aver distrutto l'orologio contro la mascella di uno scagnozzo ed essere fuggito, decide di sostituirlo "non appena i negozi apriranno dopo il giorno di Santo Stefano. Un altro Rolex? Probabilmente sì. Erano pesanti, ma funzionavano. E almeno si poteva vedere l'ora al buio con quei grandi numeri al fosforo".

Un orologio, sia per Bond che per Fleming, era solo un pezzo di equipaggiamento e poco più. È stato solo quando è passato al grande schermo che è nata l'associazione tra il marchio e la superspia. L'orologio di Bond più comunemente accettato, il Submariner, è apparso per la prima volta nel suo debutto cinematografico Dr. No. Poi ci sono stati altri marchi, altri orologi (opens new window), altri Bond cinematografici.

Tuttavia, se è vero che Fleming (che personalmente indossava un Rolex Explorer del 1963, la referenza 1016 che è stata prodotta sostanzialmente invariata sino al 1989) non faceva consapevolmente product placement nei suoi libri, la stessa cosa non si può dire per alcune case editrici nei confronti di alcuni autori. Addirittura, non la casa editrice dell'edizione originale, quanto quella della traduzione.

Come racconta Neil Gaiman (opens new window), uno dei più amati autori di fantasy umoristica, Terry Pratchett, a un certo punto ha abbandonato il suo editore tedesco proprio per questo motivo: "Poche storie di traduzioni possono essere peggiori di quella di Terry Pratchett, che scopre la presenza di pubblicità di zuppe scritte nel testo dei suoi romanzi dal suo editore tedesco".

Esatto: l'editore tedesco inseriva qua e là dei capoversi in cui i personaggi si rilassavano scaldandosi una buona zuppa Maggi e gustandosela con trasporto. Pratchett stesso spiegò (opens new window) che l'editore tedesco Heyne non solo lo faceva spesso, ma non smise mai né promise di non farlo più neanche quando scoperto. C'è un motivo: per decenni questa delle pubblicità inserite nelle traduzioni è stata una delle strategie utilizzate dall'editore per garantire che i titoli di genere pulp si ripagassero "da soli" dei costi di acquisizione. Altro che manomissioni in nome della cancel culture.


Storie di vita dopo la morte

La domanda è molto semplice e nient'affatto originale. C'è vita dopo la morte? Anche nelle moderne società laiche persiste la convinzione che la morte possa non essere la fine di qualcosa che assomiglia a un'esperienza umana cosciente. Che cosa ha mantenuto viva l'idea di una "vita dopo la morte" nel corso della storia umana? Con idee che vengono dalla frontiera della psicologia evolutiva, della filosofia e una sana dose di umorismo distaccato, questo cortometraggio della BBC Reel (opens new window) si propone di capire perché, a partire dalla giovane età, sembriamo essere così desiderosi di proiettare la coscienza oltre la sua apparente fine. Inoltre, il video indaga se l'idea contemporanea che potremmo potenzialmente caricare i nostri "sé" per diventare immortali sia basata sulla scienza o sia solo un'altra espressione del nostro desiderio, quello sì apparentemente immortale, di sopravvivere alla morte.


Storie per Tsundoku

Anziché un libro, un racconto: Long Distance (opens new window) di Alejandro Zambra, tradotto in inglese da Megan McDowell. Più storia di così...

Come si cambia idea (opens new window) di David McRaney affronta un problema molto semplice: quali sono le circostanze in cui le menti possono cambiare. Ce ne sono e questo libro, che è pur sempre scritto da un giornalista, le mette assieme partendo dai risultati provenienti da studi di psicologia e neuroscienze. Credenze, opinioni e persuasione, spiegate bene.

Neuromante (opens new window). Il libro di esordio di William Gibson, del 1984, è un romanzo considerato quasi profetico. Tradurlo oggi significa confrontarsi con la storia di un futuro non ancora compiuto, sospeso tra città-babele, cyberspazio, macchine senzienti. Qui si parla della traduzione (opens new window).

A volte ritornano (opens new window): ricordate il ministro dell'economia greco? Era Yanis Varoufakis sull'estremismo, Starmer e la tirannia delle grandi tecnologie: "Il capitalismo è morto. Ora abbiamo qualcosa di molto peggiore". Le virgolette sono la parte più allegra dell'intervista fatta dal Guardian. Dietro c'è ovviamente un libro appena uscito: Technofeudalism: What Killed Capitalism (opens new window).


Storie di coffee break e di backup

Mostly Weekly è una newsletter libera e gratuita per tutti. Se volete supportare il tempo che passo a raccogliere e scrivere le notizie, potete fare una piccola donazione su PayPal (opens new window) in modalità amici e parenti (che detto così sembra quasi un "in alto le mani, questa è una rapina", però vabbè ci siamo capiti). Tuttavia, ci sono anche altri modi per darci una mano (a parte le sponsorizzazioni di cui scrivevo al principio). E farlo aumentando la sicurezza.

In una fase delle nostre vite dove i dati digitali sono diventati straordinariamente importanti, consiglio di fare backup. Come vi ho già scritto in passato, utilizzo il servizio di backup online BackBlaze (opens new window). Non ci sono sponsorizzazioni occulte: lo pago tutti i mesi, lo consiglio vivamente a tutti e suggerisco di usarlo magari con il mio referral (opens new window), se volete, perché è una situazione win-win: prendete mesi gratuiti voi e io.

Più in generale, a prescindere da BackBlaze, organizzatevi una strategia di backup sia online che offline, perché da un lato avere solo un disco in casa non basta, mentre dall'altro tenere tutti i propri dati nei servizi di condivisione cloud è concettualmente sbagliato. Google Drive, iCloud e gli altri non sono dei backup: se i dati vengono cancellati o l'account viene rubato o chiuso (può succedere), si perde tutto. Un backup, invece, è un backup. Meglio averlo.


Storie di treni

Quest'estate ho fatto la spola tra New York City e Washington DC. In treno. È costoso e relativamente comodo. Però ha un suo fascino. Non solo per me, apparentemente. Infatti, non sono l'unico a sentirlo. Nel 2014, la National Rail Passenger Corporation, meglio conosciuta come Amtrak, ha messo a segno uno degli epici colpi di marketing della storia delle ferrovie statunitensi (e non ce ne sono stati molti negli ultimi tempi) annunciando l'Amtrak Residency for Writers (opens new window) (Residenza Amtrak per scrittori), che prevedeva l'invio di 24 scrittori in viaggi attraverso il Paese, con pasti e letti gratuiti, per scrivere il Grande Romanzo Americano. L'annuncio di questo perfetto connubio tra due dinosauri amati - i treni e l'editoria! - ha infiammato Twitter, come se si saputo che Panasonic e Oldsmobile si erano alleate per lanciare una nuova linea di fax a benzina. Il risultato? Un surreale viaggio in treno tra Chicago e New Orleans (opens new window) che dimostra che Amtrak ha ancora molto da offrire. (Esclusa la velocità e il cibo).


Amori sul naviglio
Amori sul naviglio ~ Foto © Antonio Dini

Storie della coda lunga

C'era quel vecchio film, Cocoon, che raccontava storie di alieni e di ringiovanimenti miracolosi in un ospizio. E c'era un attore caratterista, Wilford Brimley, che interpretava la parte di un vecchio e che è un po' il simbolo di come cambi l'idea di "vecchio" con il tempo. Perché all'epoca aveva 52 anni. E sembra il padre ad esempio di Paul Rudd, attore prima comico e poi di film di supereroi che è stato votato l'uomo più sexy del mondo e che ha compiuto 52 anni ma sembra un trentenne o al massimo un quarantenne. Partendo da tutto questo Sarah Rose Siskind fa un ragionamento simpatico (opens new window) sul fatto che oltre alla durata della vita (lifespan) e alla durata della salute nella vita (healthspan) bisognerebbe fare una valutazione sulla durata della bellezza (hotspan), che a quanto pare si sta allungando notevolmente. A me viene sempre in mente la vecchia battuta: "I sessantenni di oggi sono come i quarantenni di venti anni fa (opens new window). Nel senso che sono proprio loro".




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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