[Mostly Weekly ~220]
Camminare la noia, assaggiare un vicolo, ballare un'intervista
A cura di Antonio Dini
Numero 220 ~ 21 maggio 2023
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The most reliable way to predict the future is to create it
— Abraham Lincoln
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Editoriale
Lo so che probabilmente è un caso di attenzione selettiva, la mia. Però continuo a trovare, ogni qualche mese, qualche grande giornale internazionale che pubblica un articolo sulla magia del camminare. Questa volta è il turno del New York Times, secondo il quale qualunque sia il problema, probabilmente lo potete risolvere camminando (opens new window). Questi articoli a onor del vero spesso virano verso il mistico: le citazioni di poeti morti e di paradisi perduti sono all'ordine del giorno. Tuttavia, la vera domanda è un'altra: perché camminare ci aiuta a pensare? Certo, l'endorfina, ok, siamo tutti d'accordo (tutti voi piccoli chimici, perlomeno). Ma c'è altro.
Camminare è una forma di autoipnosi. Il ritmo costante dei piedi sul terreno, il ritmo del mondo che passa. È il momento in cui ci si schioda finalmente dal telefono. Almeno, per lo più ci si schioda dal telefono. Camminare ci allontana dalle distrazioni.
Soprattutto, camminare costringe costringe a essere presenti e persino, udite udite, ad annoiarci. È fondamentale annoiarci. La noia è la fonte di molte soluzioni, di molta salvezza, di molta vita. La noia fa entrare il cervello in modalità di elaborazione, in background o meno, e trasforma le cose che abbiamo in testa. Non volersi mai annoiare è come non voler mai dormire o non voler mai bere: semplicemente, non va bene.
Ricapitolando. Quando camminiamo siamo ipnotizzati dal movimento, siamo presenti e ci annoiamo. Ecco perché è così bello andare a camminare. Anche la corsa è un modo per arrivarci, badate bene, e porta a uno stato ancora più profondo di tutte queste cose. O almeno così mi dicono. Però la corsa richiede un'attrezzatura, un po' di pianificazione, una struttura fisica e un'età compatibili. La corsa in ogni caso può causare degli infortuni. Camminare invece è semplicemente naturale e accade, non richiede altro. Il biglietto di ingresso per farsi una camminata è a costo zero e a rischio molto basso. Cavolo, non bisogna neanche cambiarsi. Quand'è l'ultima volta che avete camminato per un'ora nella vostra città?
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Importante
Eight Things to Know about Large Language Models (opens new window) (link è al pdf) è un articolo di "literature review", vale a dire non fa ricerca originale ma serve per fare il punto della situazione. E lo fa in maniera estremamente chiara e comprensibile. Secondo me, se volete leggere con calma qualcosa di utile, questa domenica, avete trovato le dieci pagine che fanno per voi. Qui un bigino (opens new window) per chi va di fretta o non riesce a leggere più di un tweet (ma cosa ci fate qui, allora?).
Traduco l'abstract: "Negli ultimi mesi l'ampia diffusione pubblica dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ha suscitato un'ondata di attenzione e impegno da parte di sostenitori, responsabili politici e studiosi di molti settori. Questa attenzione è una risposta tempestiva alle molte questioni urgenti che questa tecnologia solleva, ma a volte può sfuggire a considerazioni importanti. Il presente documento esamina le prove relative a otto punti potenzialmente sorprendenti:
- Gli LLM diventano prevedibilmente più capaci con l'aumento degli investimenti, anche senza innovazioni mirate.
- Molti importanti comportamenti degli LLM emergono in modo imprevedibile come sottoprodotto dell'aumento degli investimenti.
- Gli LLM sembrano spesso apprendere e utilizzare rappresentazioni del mondo esterno.
- Non esistono tecniche affidabili per guidare il comportamento degli LLM.
- Gli esperti non sono ancora in grado di interpretare il funzionamento interno degli LLM.
- Le prestazioni umane in un compito non sono un limite superiore per le prestazioni di un LLM.
- Gli LLM non devono necessariamente esprimere i valori dei loro creatori né quelli codificati nei testi presti dal web.
- Le brevi interazioni con gli LLM sono spesso fuorvianti".
Se poi non ne sapete proprio niente di AI, potete magari farlo precedere dalla lettura di questo articolo di Ted Chiang per il New Yorker su cos'è ChatGPT (opens new window) (archivio (opens new window)).
Ah, un'altra cosa, quasi dimenticavo. I modelli linguistici di grandi dimensioni sanno dire molte cose ma vanno in difficoltà in un caso specifico: quando devono definire qualcosa in negativo (opens new window). Il concetto di negazione per loro è veramente difficile da digerire, e non sappiamo perché. Tenendo comunque sempre a mente, come dice Allyson Ettinger, linguista computazionale dell'Università di Chicago, che "l'attività di predire qualcosa non è equivalente a quella di capirla".
L'ultima cosa utile da leggere (per questa volta) è questa (opens new window). Debora Montoli si occupa per lavoro di organizzazione del lavoro e della vita (Fai spazio con Debora (opens new window)), ma questa ha messo insieme una serie di idee e strategie per i caregiver, le persone che si prendono cura di altre persone. Può essere estremamente utile.
Yamato
Yokochō (横小町)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è yokochō, che significa "vicolo stretto". Anzi, per essere più precisi: yo (横): significa "orizzontale" o "attraverso" e indica che il vicolo si estende lateralmente rispetto alla strada principale. Ko (小): significa "piccolo" o "stretto" e ci dice che il vicolo è di dimensioni anguste. Infine, chō (町) come sappiamo significa "città" o "quartiere" e specifica che il vicolo è situato all'interno di una zona urbana. Per far prima yokochō si può anche scrivere 横丁 e vuol dire la stessa cosa: "angusto vicolo cittadino" o, come preferiscono tradurre gli inglesi, side alley, il nostro "vicolo laterale", che però in italiano sposta un po' il significato perché gira attorno non tanto alla posizione spaziale, quando al significato storico e culturale del vicolo. Essere portati da qualcuno in un vicolo laterale non è una bella cosa. Neanche se è un caruggio, come dicevano fino a un po' di tempo fa a Genova, mentre cambia un po' se si va a Venezia e ti portano in una calle.
Capite, quindi, perché la parola yokochō è intrigante e giocare con un dizionario tematico è ancora più divertente che non passare le giornate a imparare una lingua in maniera tradizionale?
Mettiamo un po' di ordine. Il termine giapponese yokochō si riferisce a un vicolo stretto o a una stradina fiancheggiata da piccoli negozi e ristoranti. Gli yokochō si trovano tipicamente nei quartieri più vecchi delle città giapponesi e sono spesso luoghi di ritrovo popolari per la gente del posto e per i turisti. La storia degli yokochō può essere fatta risalire al periodo Edo (1603-1868), quando furono originariamente sviluppati come aree residenziali per le classi inferiori della città. Gli yokochō erano spesso situati all'ombra di grandi templi e santuari e costituivano un luogo di socializzazione e di svago per le persone.
Con il tempo cambiano un po' di cose. Nel periodo Meiji (1868-1912), gli yokochō iniziarono a trasformarsi nelle aree commerciali ben più vivaci che vediamo oggi. Ciò è dovuto in parte all'afflusso di nuovi residenti nelle città e allo sviluppo di tecnologie come l'elettricità e l'illuminazione a gas. Oggi gli yokochō sono diventati una parte importante della cultura giapponese. Sono uno dei luoghi dove le persone possono andare a inebriarsi con una varietà di cibi e bevande notevole e alquanto gustosa, oltre a sperimentare l'atmosfera unica di questi quartieri tradizionali.
Gli attuali yokochō per me sono uno dei primi esempi di "gentrificazione stradale", se mi passate il termine. Un po' come ha fatto Renzo Piano e il comune di Genova con i vicoli del porto vecchio di Genova o come hanno fatto nelle strade di New York City che sono state pedonalizzate e riempite di tavolini per i turisti (la stessa coda è accaduta da noi durante il covid, almeno nelle grandi città italiane).
Quando si va a spasso per le città del Giappone, passeggiare per gli yokochō è un gran modo per vedere una cultura locale al tempo stesso genuina e messa in vetrina: si assaggiano cibi caratteristici ma senza le complessità culturali di andarli a mangiare nei locali (bettole o gran ristoranti) giapponesi tradizionali, che sono piuttosto complicati da gestire perché l'unica lingua ammessa e l'unica cultura accettata sono quelle giapponesi.
Posti dove fare una sbronza di yokochō? A Tokyo basta andare ad Asakusa nella Nakamise, la via dello shopping lunga appena 250 metri proprio davanti al tempio Senso-ji, uno dei templi buddisti più antichi e important. Oppure allo Shinjuku Golden Gai, la piccola Brera di Tokyo, che negli anni Cinquanta era frequentata da scrittori, artisti e intellettuali e oggi è una sorta di nostalgico quartierino dei micro-bar. A Osaka invece c'è Dotombori, la principale attrazione della città, spettacolare per quantitativo di bar, ristoranti e teatri, luci al neon e completamente pedonalizzata. E a Sapporto, nell'Hokkaido, c'è Ichibangai, il grande complesso commerciale nel centro della città, che in realtà è una galassia di piccoli centri commerciali collegati da un susseguirsi di vicoli e stradine che sono appunto il sale e il sapore del vicolo giapponese.
A me "vicolo" fa automaticamente venire in mente i Dire Straits e l'espressione italiana equivalente, cioè "essere messi alle strette". Mark Knopfler ha scelto gli "stretti perigliosi" come nome della band all'inizio degli anni Settanta, quando sono finiti in una pensione per marinai di Sausalito che si chiamava così e che trasmetteva, secondo lui, quel senso di difficoltà e urgenza che provava quando doveva scrivere musica e canzoni. "Dire Straits" può essere interpretato come una metafora per indicare una situazione di estrema difficoltà, crisi o pericolo imminente, come il nostro "essere messi alle strette", che gioca sempre sull'idea che siamo stati messi in una situazione in cui abbiamo poche o nessuna opzioni disponibili e ci trova in una situazione da cui è difficile uscire.
Tuttavia, l'immagine di essere intrappolati o limitati, senza vie d'uscita facili o alternative, non c'è in yokochō. Anzi, se una volta erano vicoli e stradine popolari, adesso gli yokochō sono noti soprattutto per l'atmosfera vivace e la varietà di cibo e articoli disponibili per i visitatori.
Per qualche singolare motivo in giapponese non esiste (o non sono riuscito a trovare) l'equivalente dell'espressione "essere messi alle strette" (o "Dire Straits", se è per questo). Tuttavia, ci sono altre frasi che esprimono un concetto simile di difficoltà o pressione.
Ad esempio, pinchii (ピンチ, che è un prestito dall'inglese to pinch, "dare un pizzicotto") indicare quando ci si trova in una situazione di emergenza o di estrema pressione o davanti a un'insidia. Fa un po' ridere, ma quello è il "momento-pizzicotto".
Ikigomi (行き込み) è una locuzione (composta da "andare" e "affollato") che indica una situazione caotica o congestionata in cui le persone si trovano in uno spazio angusto o stretto. Non è necessariamente un omento di difficoltà o crisi, ma è comunque una situazione alquanto scomoda e anche un po' stretta. Ad esempio, una folla particolarmente densa in una stazione ferroviaria, un mercato molto affollato o una strada congestionata. Un flusso di persone molto intenso. Che, per dirlo esplicitamente un giapponese, vuol dire che è una situazione da claustrofobia mortale per un europeo che non abbia un dottorato in speleologia.
Infine, il concetto di konji (困事, composta da "essere in difficoltà" e da "situazione, affare") descrive una situazione di difficoltà o un problema in generale. È un concetto monco, se lo diciamo così però. Perché, mentre letteralmente indica la difficoltà, konji elide un termine-chiave che genera il significato completo: la persona in una situazione di difficoltà, o comunque in che è vittima di un inconveniente, cerca di trovare una soluzione. Il termine konji, insomma, non indica un problema, ma la ricerca di una soluzione. Una bella attitudine, direi.
Italiana
Un po' di tempo fa Luca Sofri, fondatore e direttore del Post, raccontava sulla rivista dell'Ordine dei giornalisti (opens new window) a Francesco Gaeta (opens new window), ex del Sole 24 Ore, come il giornale digitale abbia superato i 60 mila abbonamenti grazie al tono confidenziale di una chiacchierata tra persone che «fanno qualcosa insieme». I lettori come complici, insomma. Il Post pratica quello che si chiama Explanatory journalism (opens new window), sottoinsieme dell'Analytic Journalism (opens new window) (che comprende anche il giornalismo investigativo (opens new window) vero e proprio) e che usa un approccio all'opposto del Narrative Journalism (opens new window) (quello di A sangue freddo (opens new window) di Truman Capote, per intenderci).
Per intendersi, ecco un articolo del Post che non è una inchiesta bensì una forma di giornalismo analitico del tipo "spiegato bene": qual è il legame tra il cambiamento climatico e le alluvioni in Emilia-Romagna (opens new window).
Questo approccio evita il trucchetto di molto giornalismo quotidiano nostrano ma anche internazionale, che sembra rispondere a domande più complesse facendo sistematicamente ricorso agli esperti, cioè ai Pundit (opens new window), come si dice in inglese.
Lo dico in inglese solo per lasciare una traccia delle varie pagine di Wikipedia in quella lingua, che sono molto interessanti: questa settimana poco tempo per fare io stesso una sintesi, sorry.
Intanto, sul fronte della vita e non dei media, al via (forse) i licei del Made in Italy Ecco come saranno fatti (opens new window).
Siamo nei giorni del Salone del libro di Torino. Si parla tanto di libri. Ci si lamenta della crisi. Però va notato che, nonostante l'aumento del prezzo della carta (opens new window), l'editoria sta meglio oggi di cinque anni fa (opens new window).
Multimedia
Lo sapevate che Jack Lemmon era un notevolissimo pianista autodidatta (opens new window)? L'attore americano non ha mai preso una lezione di pianoforte e ha imparato da solo, allenandosi per anni e arrivando anche a comporre canzoni e piccole suonate.
A Milano c'è Piano City (opens new window), la manifestazione che porta la musica (non necessariamente centrata sul pianoforte) per le strade della città e non solo. Sono andato a sentire Frida Bollani Magoni e Paolo Jannacci (opens new window). Non c'è gara: cercatevi cose come questa (opens new window) della giovanissima Frida Bollani Magoni
Ho recensito l'album di Remo Anzovino dal punto di vista tecnico (opens new window). Si chiama Don't forget to Fly (opens new window) ed è molto bello. Ieri lo ha suonato per la prima volta dal vivo anche lui a Piano City (opens new window).
Tutta un'altra musica. All'inizio del XX secolo il petrolio portò una grande ricchezza alla Nazione Osage, che da un giorno all'altro divenne uno dei gruppi di persone più ricchi negli Usa. La ricchezza di questi nativi americani attirò immediatamente gli intrusi bianchi, che manipolarono, estorsero e rubarono quanto più denaro possibile agli Osage prima di ricorrere all'omicidio. Basato su una storia vera e raccontato attraverso l'improbabile storia d'amore di Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) e Mollie Kyle (Lily Gladstone), Killers of the Flower Moon (opens new window) è un'epica saga criminale western, una specie di Tex Willer al cubo, interpretato tra gli altri da Robert De Niro. Tratto dal romanzo di David Grann, è stato diretto e sceneggiato da Martin Scorsese. Arriva a ottobre su Apple Tv+.
Se interessa, questa settimana sono stato ospite della rubrica In altre parole (opens new window) del Canale 2 della Radio Svizzera Italiana. Potete ascoltare i cinque, brevi interventi a tema innovazione, in questa pagina (più passa il tempo e più dovete cercarli) (opens new window). Mi ha guidato in queste cinque chiacchierate la bravissima Natascha Fioretti.
Ah, quasi dimenticavo: è uscito un nuovo titolo della saga di Zelda, la principessa della Nintendo e del suo prode cavaliere Link. Attualmente incarnati nella Nintendo Switch con il nome di Tears of the Kingdom (opens new window). Sappiate che si può scrivere di Zelda e si può scrivere di Zelda. MA SI PUÒ ANCHE SCRIVERE DI ZELDA (opens new window), tutto maiuscolo perché è un articolo wow! Avercene.
Tsundoku
Metto insieme qui un bel blocco, se volete andare a curiosare.
Tre volte l’anno la rivista online fiorentina di critica letteraria L’Indiscreto (opens new window) stila, grazie a un pool di “grandi lettori” composto da critici/e, librerie, riviste letterarie, editor, traduttori/trici, giornalisti/e culturali, scrittrici e scrittori, delle classifiche librarie alternative a quelle di vendita, sulla base di una valutazione qualitativa da parte degli addetti ai lavori. Qui c'è la Classifica di Qualità di maggio 2023 (opens new window), riferita alle opere italiane uscite tra il 9 febbraio e il 1° maggio 2023. Sono una tonnellata di libri: enjoy.
Coffee break
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Al-Khwarizmi
Combattendo il buco dell'ozono, ci siamo salvati per caso da un'altra, completamente imprevista (opens new window) cosa. Con il Protocollo di Montreal, infatti, la vita sulla Terra ha schivato un colpo che non sapevamo nemmeno fosse diretto verso di noi ma che sarebbe stato mortale.
Solito articolo ricorrente (opens new window), sempre con il Nokia 3310 nuova o vecchia versione, che propugna l'idea che la generazione xyz compra i dumb phone per ridurre le distrazioni. Se all'inizio poteva avere senso (ci sono passato anche io), adesso comincio a pensare che sia più una forma di pigrizia dei giornalisti. O forse mi sono fulminato io il cervello? Intanto, se interessa, il minimalismo su Mac è fatto così.
Una lista di tutti gli aggiornamenti di macOS (opens new window): quando sono usciti e cosa facevano. Può servire a sei persone in tutto, ma per loro è fondamentale.
Un altro matto che ha messo assieme tutte le scorciatoie per raggiungibili con il tasto Option su Mac. Da notare che l'opera struggente del solitario genio è pubblicata con Notion (opens new window), vale a dire che il signore "pensa in pubblico". (C'è anche il pdf (opens new window)). Invece, qui c'è un articolo sulla gente che si organizza tutta la vita con Notion (opens new window) che continua a tornarmi fuori tra le migliaia di tab di Safari e che è ora di (ri)condividere e fare fuori.
La coda lunga
L'intervista: quando si fa il giornalista e si scrive è uno degli articoli più complessi. Ci sono moltissimi modi per fare una intervista, in parte legato al tipo di testata, in parte al format editoriale e in parte a quel che può fare chi scrive (e quello che dice chi viene intervistato, in parte). Ne metto qui due a confronto: la mia fatta a uno dei massimi futuristi viventi, Sohail Inayatullah (opens new window), e quella che lui ha fatto (divisa in due parti: la prima (opens new window) e la seconda (opens new window)) a ChatGPT.
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.
“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”
– G.K. Chesterton
END
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