[Mostly Weekly ~219]

Altro che artista o Terminator, l'AI sarà la colla del metaverso (e delle altre tecnologie)


A cura di Antonio Dini
Numero 219 ~ 15 maggio 2023

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Intanto, buona lettura.

We started with nothing. So whenever you start with nothing, you can always shoot for the moon. You have nothing to lose
— Steve Jobs



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Editoriale

L'intelligenza artificiale si sta trasformando da un problema scientifico a un problema di progettazione di prodotti e di marketing, e questi ultimi sono aspetti su cui ad esempio Google ha maturato una grande esperienza. Per questo nell'ultima conferenza dell'azienda, che si è tenuta la scorsa settimana, è venuta giù una pioggia di annunci e novità, simmetrici a quelli fatti da Microsoft e che vengono echeggiati anche dalle cose che sta combinando Amazon.

Da un certo punto di vista, alcune delle cose che si fanno e si faranno con le AI sembreranno piuttosto banali. Ma a breve termine, è con cose così che l'IA inizierà a entrare nelle nostre vite, anzi, l'ha già fatto. È machine learning il sistema che riconosce i volti e mette a fuoco nelle macchine fotografiche e negli smartphone, ma nessuno lo chiama "intelligenza artificiale". Tutta la fotografia computazionale è basata sul machine learning. Per questo penso che presto non penseremo più all'AI, peraltro negata da chi la produce. Infatti, Google sta già sostenendo che, con una definizione più "alta" di intelligenza, che peraltro è storicamente mutevole, molti dei suoi nuovi prodotti non sono AI: cercare automaticamente una "bicicletta" dentro tutte le foto sul telefonino è ML ma non è, per Google, intelligenza artificiale.

Tuttavia, come ho scritto in un articolo sul disegno dei fumetti e l'intelligenza artificiale (Le intelligenze artificiali non ci rendono artisti (opens new window))

Il prossimo grande autore di fumetti potrebbe essere sicuramente qualcuno che fa tutto con l’intelligenza artificiale, testi e disegni. E diventerà un artista di rottura, un caposcuola. Statisticamente ci sta. Ma tutti gli altri non riusciranno a fare niente che valga la pena o che abbia senso leggere. A sfruttare davvero l’AI saranno i professionisti, quelli che sanno già scrivere e disegnare. L’AI si occuperà di fare i boilerplate al posto loro, mentre loro sapranno scegliere, rifare, modificare, aggiungere, togliere.

Così come l'avvento delle calcolatrici elettroniche prima e dei fogli di Excel dopo non ha lasciato i commercialisti senza lavoro (ma ha costretto i contabili a fare un upskill per imparare a usare i nuovi strumenti), l'AI modellerà funzioni e modi di lavoro che richiederanno comunque delle competenze complesse. Almeno, per un bel pezzo di futuro.

Nell'immediato, quel che vediamo non è una rivoluzione scientifica ma una lotta commerciale all'ultimo sangue. In definitiva, continuo a credere che l'opportunità dell'AI sarà molto più grande di una sola azienda. Ma in un momento in cui tutti questi modelli linguistici di grandi dimensioni stanno convergendo per diventare approssimativamente equivalenti dal punto di vista funzionale, nessuno vincerà la partita solo grazie alla tecnologia. C'è tanto marketing là fuori, perché ci sono grandi aziende che cercano di rimanere tali, e per farlo devono rendere rilevante la loro piattaforma e la loro strategia.

Una nota a margine: se ne parla poco ma in realtà sta andando rapidamente a maturazione l'idea di metaverso in forme diverse da quelle previste da Meta cioè da Mark Zuckerberg. Intanto, dalle parti di Google hanno mostrato una serie di sistemi di telepresenza che sono semplicemente straordinari per quanto sono realistici: una forma di videochiamata conveniente, comoda ed ergonomica che potremmo facilmente immaginare di fare per ore senza andare in zoom-fatigue. Poi vediamo cosa combinerà Apple alla WWDC il prossimo 5 giugno con il suo visore (che potrebbe essere un Oculus più costoso oppure qualcosa d'altro, veramente innovativo) e infine non confondiamo il desiderio di Zuckerberg di disintermediare il suo social dalle piattaforme su cui viene usato (i sistemi operativi altrui su cui gira l'app di Facebook) con gli avanzamenti che possiamo fare per avvicinare le persone che sono fisicamente in luoghi distanti. Qui l'AI ha un ruolo chiave perché consente di tenere assieme tecnologie che altrimenti non riescono a funzionare bene. In questo senso la pervasività delle AI è simile al ruolo che il Perl ha avuto nella nascita del primo web (opens new window): sarà la "colla" che tiene assieme tutta la baracca.

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Dai dai dai
Dai dai dai ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Il governo ha reso permanente la ricetta elettronica dei medici di base (opens new window). È un'ottima notizia, ovviamente, ma non dovrebbe neanche essere una notizia, avrebbe dovuto essere così da decenni. Il punto vero è che la pandemia ha dato una accelerata a una serie di processi che altrimenti non si sarebbero realizzati mai. La carta di identità elettronica (opens new window) come strumento di autenticazione digitale e il concorrente Spid sono ancora nel caos però.

Si parla tanto di smart working in opposizione (o in collegamento) a Silent Quitting e Great Resignation. Ma di cosa parliamo e cosa prevede? Lo smart working è una innovazione nell'organizzazione aziendale contemporanea soprattutto in Italia, ma l’innovazione dovrebbe avvenire in presenza di una cultura aziendale fondata su fiducia e motivazione (opens new window).

Tra l'altro, uno degli impatti positivi dello smart working è sull'inquinamento. In questa ricerca (opens new window) condotta da Enea in quattro città italiane salta fuori che lavorare da casa toglie un bel po' di chilometri al giorno per tante persone, e che questo ha un effetto positivo a cascata su altre cose, tra cui l'ambiente (e i tempi di vita, e le scelte consapevoli, e la famiglia, ecc).

Per farsi una risata: ho tutti i numeri di The Travel Almanac (opens new window), una rivista che non mi dispiace (poi è un semestrale: impegna poco) tranne il primo. Quello l'ho cercato qua e là ma senza fortuna. Fino a ieri: è saltato fuori un numero su eBay ma a 140 euro (opens new window). Scherziamo? Sono tentato di correre in soffitta a prendere gli scatoloni di riviste varie che ho accumulato per vent'anni e aprirmi un account da venditore professionale su ebay. Capace che guadagno di più facendo il giornalaio online che non il giornalista.


Yamato

Kame (カメ)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è il nome di un animale, anzi un rettile: la tartaruga, cioè kame (カメ). Anzi, la tartarughina, quella piccola che si alleva in casa, e che in giapponese si chiama kamachan.

Il giapponese è una di quelle lingue che non hanno suffissi per fare i diminutivi come in italiano, cioè i nostri -ina, -etta, -ona (quest'ultimo accrescitivo, in realtà). No, il giapponese utilizza due suffissi con un significato diverso: -chan e -kun, che sono suffissi "affettivi" che sono aggiunti ad esempio al nome proprio di una persona con la quale si ha amicizia fraterna o familiarità. Oppure, alla specie di un animale. Vengono infatti spesso usati per indicare qualcosa di carino o piccolo.

Questo per dire, quindi, che "tartarughina" si dice kame-chan (カメちゃん). La simpatica Testudinata è molto amata e molto popolare in Giappone. Viene spesso rappresentata nell'arte e nella cultura popolare ed è associata alla longevità, alla saggezza e alla perseveranza. Secondo la leggenda, la tartaruga ha il potere di portare felicità e buona fortuna, motivo per cui è spesso presente in oggetti di artigianato e decorazioni.

In passato, ahimè, le tartarughe erano considerate un alimento prelibato in buona parte del Giappone e venivano consumate come parte della cucina tradizionale. Tuttavia, oggi il consumo di tartarughe è molto limitato e in molti casi vietato per legge. Infatti, nel 1975 il Giappone ha aderito alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche a rischio di estinzione, che include anche molte specie di tartarughe. Ciò significa che il commercio internazionale di queste specie, incluso il loro utilizzo alimentare, è stato limitato e regolamentato. Inoltre, in Giappone alcune specie di tartarughe sono protette dalla legge per preservarne la popolazione, quindi è vietato prenderle e soprattutto mangiarle anche se non sono specie protette dalla Convenzione. Per loro fortuna, insomma, le tartarughe e le tartarughine d'acqua non sono (più) considerate un tipo di cibo.

La tartaruga più famosa in Giappone è senza dubbio Urashima Tarō no kame (浦島太郎の亀, scritto con il kanji), ovvero "la tartaruga di Urashima Taro". Si tratta di un animale fiabesco della mitologia giapponese, protagonista di una delle più celebri storie folcloristiche molto famose tra gli studiosi ma al giorno d'oggi molto, molto meno popolari. La storia è semplice e contiene due avvertimenti morali. Il primo è relativo alla gratitudine e il secondo all'avidità.

In breve, perché esistono varie versioni: il giovane pescatore Urashima Taro salva una tartaruga impigliata nella sua rete. Questa, riconoscente, lo porta in fondo al mare a incontrare la figlia del re del mare, la principessa Otohime. I due se la intendono subito, almeno per tre giorni, ma poi Urashima Taro viene preso dalla saudade giapponese e decide di tornare a casa. La principessa gli dona una scatola che però, come in tutte le fiabe che si rispettino, il giovane deve promettere di non aprire mai. Qui non è chiaro che senso abbia un regalo del genere se non creare una tensione narrativa, comunque il giovane incosciente acconsente e torna in superficie. I tre giorni sott'acqua però equivalgono a trecento anni in superficie, quindi tutto quello che Urashima Taro conosceva e amava ormai è scomparso. Disperato, il giovane pescatore tra tutte le cose che poteva fare decide di aprire la scatola e diventa improvvisamente vecchio.

La storia finisce così, con questo ammonimento morale sul non farsi prendere dall'avidità (ma è un po' pretestuoso, almeno nella versione che ho raccontato). Tuttavia, c'è di più. La saudade giapponese, soprattutto. Il termine, come ben sapete, è portoghese ed esprime un'idea di nostalgia profonda per un momento o un'esperienza passata che non si può più ripetere o recuperare. La nostalgia del vivere nella propria terra ora lontana, ad esempio.

Nonostante i contatti con i missionari portoghesi (e con i gesuiti, in particolare) non esiste una parola giapponese, neanche un prestito linguistico, per esprimere questo concetto che i napoletani indicherebbero come "'na malatìa". Tuttavia, la cultura giapponese ha un concetto simile che si chiama natsukashii (懐かしい) e che può essere tradotto come "nostalgico" o "sentimento della mancanza del passato".

Natsukashii, è delizioso perché tradotto letteralmente significa "doloroso al cuore" o "triste al petto" e si usa per descrivere una sensazione di malinconia o rimpianto per qualcosa che è stato perso o che non può essere più sperimentato, come un ricordo d'infanzia o un'esperienza gioiosa passata. Ci sono anche altre parole (che abbiamo già visto) per esprimere emozioni complesse e sottili, come ad esempio yūgen (幽玄), che si riferisce a una bellezza misteriosa e profonda che evoca sentimenti di tristezza e nostalgia, o wabi-sabi (侘寂), che si riferisce all'apprezzamento della bellezza nelle imperfezioni e nella transitorietà delle cose.

La nostra tartaruga-chan è però per me anche A'Tuin, tartaruga con una corazza spessa come un continente, saggia e vecchia di milioni di anni, portatrice non solo dei quattro elefanti che sorreggono a loro volta il Mondo Disco, ma anche della nostalgia dei romanzi di Terry Pratchett, che ci ha lasciato troppo presto. O almeno, è così per me ogni volta che penso a una tartaruga, in Giappone o altrove. Ci vorrebbe una parola per indicare anche questa sensazione, penso.


Italiana

Mentre noi siamo andati in corto circuito per la AI, la Cina sta portando la sua politica industriale nel metaverso (opens new window).

L'atomica, si o no? È un dibattito un po' sterile, in Italia. Se invece pensiamo alla bomba, che è tornata a essere una opzione un po' meno impossibile di prima grazie a Vladimir Putin, i temi si fanno più caldi. Vale la pena andare a rileggere quel che Alberto Moravia ne diceva, un eone fa, grazie a questo articolo di Paolo Pecere (opens new window).

Parlando di cose al limite dell'apocalisse, indagare l'intelligenza artificiale e la colonizzazione digitale dell'inconscio si pone proprio questa domanda: siamo all'apocalisse? (opens new window)

Un'amica mi ha fatto scoprire il Mindful eating, un approccio consapevole al cibo e all'atto del mangiare (opens new window). L'idea è interessante, anche perché al netto dell'aspetto più rituale-psicologico (opens new window), è in realtà uno strumento per entrare in contatto con se stessi, le risorse che consumiamo e in definitiva con l'ambiente.


Multimedia

Run, Melos! (opens new window) è un anime del 1992 diretto da Masaaki Ōsumi. La versione che ho trovato è sottotitolata in inglese ed è veramente molto godibile. È uno di quei film d'animazione che si sono ritagliati una loro piccola nicchia e sono stati in qualche modo anche sfortunati, perché è un film tutt'altro che mediocre. Da vedere.

Cose divertenti da fare nel fine settimana: installare MacOS sulla Wii di Nintendo (opens new window).

Una bella recensione video (opens new window) della nuova M11 Monochrom di Leica.

Il nuovo Walkman digitale di Sony, recensione di NW-A306 (opens new window) (con i nomi però ancora non ci siamo, direi).

Nebraska è un album molto particolare anche nell'enorme produzione di Bruce Springsteen. Qui il musicista ne parla e spiega un po' di cose (opens new window).

La leggenda del Casio F-91W (opens new window), l'orologio più singolare della storia degli orologi al quarzo o no, continua.

Matthew Scott, che è uno youtuber delle chitarre ma ha abbastanza onestà da aver creato delle vere emozioni, a un certo punto, torna a iterare come vuole l'algoritmo sul tema più cheap che si possa immaginare: trovare "la chitarra perfetta". È la Fender Esquire del 1965 con un solo pickup al ponte (opens new window). Qualcuno dovrebbe scrivere un libro sulla ricerca del Santo Graal su Internet, l'oggettificazione del feticismo e tutto quel che ne consegue. Comunque a me piace molto come suona lui.

Ogni tanto ci ritorno incantato: questo è il dietro le quinte (opens new window) del concerto che David Gilmour ha tenuto a Pompei nel 2016 (opens new window).


Tsundoku

Parliamo di Giulio Andreotti, il politico italiano del quale in questo momento mantiene una presenza in libreria sostanzialmente solo Solferino, la casa editrice bonsai del Corriere della Sera. Partendo dallo stimolo di quest'articolo del Post (opens new window) (e quest'altro, più strutturato (opens new window)), si possono leggere L’imputato imperfetto (opens new window) di Paolo Intoccia, che ripercorre le vicende giudiziarie del processo durato 11 anni e voluto fortissimamente da Gian Carlo Caselli, che ha affondato la sua eredità di magistrato nel tentativo di affondare Andreotti.

Poi c'è il libro di Massimo Franco che racconta la storia del politico longevo, geniale o mefistofelico, secondo i suoi detrattori. Si intitola C’era una volta Andreotti (opens new window) e ricostruisce la vita di una figura che è stata "Emblema e garante dello status quo nell’era della guerra fredda, ha rappresentato l’«uomo del Pur­gatorio» per antonomasia, in una nazione in bilico tra Paradiso occidentale e Inferno comunista. Ha permesso a un’Italia di specchiarsi per mezzo se­colo in lui, di sentirsi migliore, o forse solo di auto­assolversi. Le ha fornito la bussola: un pessimismo di fondo sulla natura umana, alleviato dall’ironia".

Giulio Andreotti però è stata anche autore di una attività pubblicistica enorme: buon affare per le case editrici che raccoglievano gli articoli dei giornali o altri suoi scritti per compulsare "libri di attualità" che in Italia, fra gli anni Sessanta e Novanta, andavano molto. Adesso siamo nella fase un po' stanca della memorialistica. Cominciando con questo memoir: I diari degli anni di piombo (opens new window) sono diari inediti, curati dai figli Serena e Stefano, e "documentano in presa diretta un’epoca ancora viva nella memoria di milioni di italiani".

Altra forma di memorialistica è quella delle lettere: l'epistolario, ovviamente con la moglie Livia, chiamata Liviuccia, è la chiave per entrare in un altro comparto della presunta mente di Andreotti: Cara Liviuccia (opens new window) sono le lettere, raccolte a cura dei figli, che coprono l’arco di due decenni e portano alla luce "una famiglia sempre gelosamente protetta dal leader democristiano, che concludeva le missive con la postilla «baci ai bambini»".

Infine, il libro più recente, appena uscito e che ha fatto partire tutto questo numero di Tsundoku: I diari segreti (opens new window): si tratta di diari inediti – che cominciano il 6 agosto 1979 e finiscono il 22 luglio 1989, quando l’autore assume la guida del suo sesto governo – che raccontano "la storia dall’interno non solo del nostro Paese in un periodo cruciale, ma anche degli Stati Uniti da Carter a Reagan, dell’URSS da Breznev a Gorbaciov, della rivoluzione iraniana, dell’eterno conflitto in Medio Oriente, della tormentata costruzione di un’unità europea. Allo stesso tempo, raccontano la vita quotidiana dell’uomo che per oltre mezzo secolo ha dominato la vita politica italiana". Solferino ha così tanta voglia di far cassa con questa raccolta che in realtà, come si sarà capito, fa parte di un vero e proprio piano editoriale costruito con la famiglia Andreotti, da titolari "segreti" con la speranza di incuriosire un pubblico distratto che non sa dell'esistenza delle pubblicazioni precedenti, e da anticipare anche l'indice dei nomi, che si scarica a parte, per solleticare curiosità e vanità perlomeno in ambiente romano.

Visto che ho passato del tempo a ravanare nel sito di Solferino, anche questo Mai in prima persona (opens new window) della giornalista Laura Laurenzi (opens new window) è curioso: lei è figlia d'arte (il padre Carlo (opens new window) è stato direttore e inviato di peso, oltre che Montanelliano doc), ha sposato un grande amico del padre, lo scrittore Enzo Bettiza (opens new window), costruendo una delle "power couple" del nostro mondo culturale romano più defilate ma efficienti, e ha avuto una carriera straordinaria con Repubblica, diventando una delle inviate di costume e società più importanti della fine del Novecento. Come il padre, che aveva scritto una quindicina di libri e un solo romanzo finalista peraltro al Campiello (Quell'antico amore (opens new window), "romanzo di amplessi e lacrime"), anche la figlia ha scritto una dozzina di libri "da giornalisti" e un solo romanzo che è pubblicato sempre da Solferino e si intitola La madre americana (opens new window). Per una coincidenza, la storia della madre di Laurenzi, che è la protagonista del suo "romanzo di formazione" di creative non fiction, memoir ambientato nella Roma del miracolo economico italiano, ha vinto il premio letterario Elba nel 2019. L'isola d'Elba è nota alla famiglia Laurenzi perché nell'isola toscana è cresciuto il padre Carlo, che era nato a Livorno ma era in buona sostanza elbano. L'Elba prima di tutto come appartenenza sentimentale, e poi come dimensione geografica.


Coffee break

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Al-Khwarizmi

John Gruber racconta perché si è trovato un bel po' di pubblicità (opens new window) (inutili) nell'iPhone: alla base c'è il fatto che usa due account Apple ID in parallelo: uno come identità principale e uno solo per l'App Store e gli acquisti (film, musica). È una nota secondaria rispetto al suo ragionamento (opens new window), ma visto che ci sono passato anche io (ho un Apple ID dall'inizio, quasi 25 anni fa, ma ne avevo fatto un altro Usa quando ha aperto solo in quel Paese l'app store), il modo con cui si risolve la cosa (cioè si tiene un solo account sul telefono e tutti gli altri apparecchi Apple) è creare una famiglia con se stessi e usare l'account principale con le app condivise dall'altro account (quello degli acquisti). L'unico lato negativo è che molte app si attivano con un acquisto in app che spesso non è usabile dagli account collegati in famiglia. Ma gli altri vantaggi sono davvero tanti.

Ho avuto (e continuo ad avere) problemi di spam con Gmail. Nel senso che le mie email finiscono nello spam. Ho spostato le mie attività di lavoro su un altro account e attivato il forward automatico della posta da Gmail verso l'altro account, ma Google si perde una mail ogni dieci (rimane nella vecchia casella). La luna di miele (durata quindici e più anni) con il mondo del cloud della grande G comincia a scricchiolare. Loro stessi secondo me un po' se ne rendono conto: ci sono novità che vengono da Google I/O anche per Gmail (opens new window), come la spunta blu per gli utenti verificati (oltre alle aziende, già identificate l'anno scorso).

Pesco da Things (opens new window) di Francesco Ronchi (con il quale mi scuso di non aver inserito subito l’attribuzione): Anthropic (opens new window), la società che sviluppa Claude (opens new window) (una AI generativa concorrente di ChatGPT) ha ampliato la finestra di contesto per il suo modello AI di punta (opens new window), passando da novemila token a centomila token. Claude è quindi ora in grado di analizzare e "ricordare" conversazioni e testi più lunghi (e per un periodo più lungo). Il modello aggiornato può recuperare informazioni specifiche su un set di documenti o un intero libro. Come paragone, persona media legge centomila token di testo in circa cinque ore, Claude può farlo in meno di un minuto mantenendone la piena “comprensione”. Questo apre a scenari e ambiti di applicazione inediti. Sempre come termine di confronto, ChatGPT v4 al momento arriva a ottomila token di memoria di contesto.


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Condividere ~ Foto © Antonio Dini

La coda lunga

«La forma di una città cambia più veloce di un cuore» diceva Baudelaire. E forse, tra tutte le città, Tokyo è quella che cambia più velocemente se è vero, come scrive Laura Imai Messina, che l'antica Edo «è in uno stato di infanzia perenne». Tra due mesi circa porto la mia trabahanza a Tokyo: se avete indicazioni, suggerimenti, posti e sconti, ma anche solo se siete da quelle parti e volete fare un saluto e bere una bibita ghiacciata (farà caldo), fatemi sapere!




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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