[Mostly Weekly ~197]

La notte che l'AI bruciò Cory Doctorow


A cura di Antonio Dini
Numero 197 ~ 11 dicembre 2022

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La storia incredibile (opens new window) nata in rete del falso film di Martin Scorsese con Robert De Niro: Goncharov, 1973.

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Intanto, buona lettura.


The three most harmful addictions are heroin, carbohydrates, and a monthly salary
–– Nassim Taleb



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Editoriale

Corey Doctorow è una specie di eroe alternativo, un attivista digitale come ce ne sono pochi. Perché è un attivista delle parole. Metà giornalista, metà scrittore, metà grafomane, è un personaggio particolare anche nella ristretta cerchia di quelli che scrivono tanto. Il New Yorker lo ha incontrato per tratteggiarne un profilo (opens new window). "La seconda volta che abbiamo parlato, Doctorow mi ha detto di avere otto libri in produzione. "Sono il tipo di persona che affronta l'ansia lavorando invece di non poter lavorare", ha spiegato, quando gli ho chiesto come stesse affrontando la pandemia in corso". Tra quando è stato intervistato e quando è stato pubblicato l'articolo due degli otto libri sono stati pubblicati e chissà quanti altri ne ha iniziati.

Tuttavia questo passaggio dell'intervista mi interessa per un altro motivo. Doctorow è una di quelle figure iperattive che è stato capace di creare un muro di contenuti (newsletter, libri, post, articoli, conferenze) in rete, saturando varie bolle social e diventato inevitabile per una serie molto ampia di profili di utenti. Una specie di culturista vecchia maniera, un attore-performer del cinema che fa i suoi stunt da solo.

L'esplosione delle nuove AI (opens new window), però, ha creato la possibilità di creare tonnellate (opens new window) di contenuti diversificati (opens new window) molto più velocemente e molto più diversificati. ChatGPT (opens new window) è come gli effetti speciali: è un anti-Doctorow, che potrebbe far scrivere di più, parlare di più, esprimersi di più anche il più introverso e meno dotato tra gli aspiranti scrittori online. E saturare l'atmosfera togliendo l'aria al Doctorow originale.

Però se pensate che questa sia la sola strada delle AI, vi sbagliate di grosso. C'è molto di più. Lo so che probabilmente questa settimana ne avrete le scatole piene, soprattutto se leggete i giornali italiani. Quindi, proviamo qualcosa di diverso, una variazione sul tema che magari è anche utile. Ecco una lista, perfettamente ChatGPT-style, di cose che hanno fatto con ChatGPT.

Non so se trovo più affascinante come funziona ChatGPT o la mente di chi sta provando a farci delle cose. Non a caso c'è chi studia come un matto (opens new window) per capire come potrebbe ad esempio scrivere delle vere poesie. Il mio unico commento per adesso è "wow". E poi penso: come farà Cory Doctorow, adesso, che non è più lui la tastiera più prolissa del web? Come hanno fatto gli attori del muto quando è arrivato il sonoro?

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Ramen invernale
Ramen invernale ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Raccolto in rete, non so se l'ha scritto una persona o una AI.

Sapete già cosa sto per dire, vero? AI. AI questo. AI quello. "Ehi, perché continui a parlare di AI?". Perché ci sono cose come ChatGPT, ecco perché. Questo treno non sta arrivando, è già qui. Ed ecco come prepararsi. Iniziate a pensare a quali sono i bisogni umani fondamentali delle persone per quanto riguarda la sicurezza e lo status. In altre parole, cosa li rende più sicuri e più desiderabili? Queste sono le attività più sicure e garantite per qualsiasi azienda, ma sono anche le opportunità più interessanti per una rapida disruption grazie alla nuova AI. Proponete le idee. Imparate a implementarle utilizzando gli strumenti OpenAI, Google e Meta. Imparate a conoscere le API. Diventare dei guru della scrittura di prompt. Concentratevi molto su ciò che le persone dovrebbero chiedere, non su ciò che chiedono. Non c'è modo di prepararsi a ciò che sta per accadere, ma questa forse è la maniera migliore. Preparate i giovani che conoscete. Ne hanno bisogno più di chiunque altro. Un'istruzione ampia. Capacità di pensiero critico. Concentrarsi sulle domande piuttosto che sulle risposte. E le competenze di codifica e di dati necessarie per utilizzare tutti gli strumenti di intelligenza artificiale in arrivo.

L'idea che tutto quello che leggete d'ora in poi è fatto mezzo da persone vere e mezzo da AI è la cosa più concreta che sappiamo che sta per succedere. Questo cambia tutto, detto con una certa enfasi. Poi magari no, però vedrete che il livello di "rumore" crescerà in maniera rapidissima.

Invece, le storie scritte dai giornalisti, soprattutto quando molto bravi come Steven Levy, sono un'altra cosa (opens new window). Questo racconto di quel che sta succedendo nell'ambito delle blockchain con la nascita dell'iPod delle cripto è notevole, così come il suo protagonista, Tony Fadell. Arriva il wallet Stax con schermo touch eInk fatto da Ledger. Grande come una carta di credito, sarà quello che rende le cripto popolari oltre che sicure? Non ci sono molti esempi a cui appigliarsi. Un'idea me la sono fatta, però. Se guardate la storia (opens new window) di come è andata con il Mini Disc di Sony (bellissimo micro documentario, tra l'altro) capirete che avere l'idea buona non basta, ci vuole anche molto altro. Lo Stax ce l'ha? Mmh.

Recentemente Microsoft ha preso in considerazione la costruzione di una "super app" che potrebbe combinare acquisti, messaggistica, ricerca web, feed di notizie e altri servizi in un'unica app per smartphone, in quello che sarebbe un ambizioso tentativo da parte del gigante del software di espandersi ulteriormente nei servizi per i consumatori. Questa è la storia (opens new window), per come la conosciamo. L'esempio ovviamente sono le super-app cinesi, che nascono e prosperano in una economia parzialmente capitalista: il governo cinese vuole che chiunque faccia business ma non possa crescere più di un certo livello. Economia di mercato inteso come le bancarelle e i negozi di strada. Un soffitto di cristallo che Microsoft vuol replicare anche da noi?

Sta arrivando il cibo "thaw and eat (opens new window)", cibo surgelato e ingegnerizzato in maniera tale che basta si sciolga naturalmente in frigo per essere pronto. Ci vogliono due o tre ore spostandolo dal freezer ma in questo modo non occorre dargli una bomba di microonde o scaldarlo a mille gradi in padella. Ve lo immaginate? Un piatto di pasta che da cubetto di ghiaccio lentamente diventa un gustoso primo che può essere mangiato senza bisogno di cottura. Le solite aziende dell'alimentazione "già pronta" si stanno tuffando a pesce perché "Thaw and eat" dal loro punto di vista è un modo conveniente per acquistare e consumare prodotti alimentari congelati, poiché permette al cliente di preparare il cibo in modo rapido e semplice senza cucinare. Rimuove frizione, genera opportunità, allarga il mercato. Il vantaggio vero? Tutto di chi lo vende, ovviamente. Dal punto di vista di chi compra, invece, è altro passo verso la disabitudine a cucinare i propri pasti.

Una storia di luci, monopoli e globalizzazione, tutta da leggere perché è un esempio di come è fatto il nostro mondo e come sarà fatto il nostro futuro. Potrebbe essere un libro, ma grazie a dio è solo un gran bell'articolo. Tema: perché in alcune città nordamericane le luci nelle strade sono diventate violacee? Ecco qui la vostra storia (opens new window) sul ruolo delle lampadine nella nostra vita, sulla tecnologia che c'è dietro, sul produttore monopolista, sui terzisti cinesi e sulla fisica dei colori. Che volete di più?


Yamato

Byōbu (屏風)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è un po' particolare. Non tanto per il suo significato, che è abbastanza semplice, ma per il modo con il quale ci sono arrivato. La parola è byōbu (屏風), letteralmente "muro (屏) del vento (風)". Il termine di per sé in italiano, in ambito architettonico, indica una barriera o una struttura che viene utilizzata per proteggere un'area o un edificio dal vento. Ad esempio, un muro del vento può essere costruito intorno a un edificio per proteggerlo dai danni causati dalle raffiche di vento, o può essere utilizzato per creare una zona protetta dove le persone possono ripararsi dal vento. Nelle case giapponesi però un byōbu è più semplicemente un separatore di spazi interni.

Realizzato da dei telai di legno con dei pannelli decorati, spesso con dei disegni o dei tratti di calligrafia, i byōbu sono sostanzialmente gli strumenti per la privacy con i quali venivano creati spazi privati all'interno delle case. Originariamente forse dovevano parare anche gli spifferi, ma l'idea è quella di separare qualcuno che dorme, o si cambia (si veste o si spoglia) o comunque sta nello stesso posto ma vuole un po' di privacy. D'estate, quando ero piccolo, mio nonno era già da anni vedovo e veniva per qualche settimana in villeggiatura con noi. Dividevamo la stessa camera di una minuscola casetta isolata in mezzo a un bosco dell'Appennino e il modo per convivere senza stress tra nonno e nipote era un paravento con motivi orientaleggianti messo tra i due letti. Il nonno russava ma io ero piccolo e avevo il sonno pesante. A saperlo che si chiamava byōbu, glielo avrei spiegato prima di addormentarmi: amava farsi raccontare buone storie, attività nella quale avevo una certa predisposizione anche all'epoca.

Non è per questo però il modo con il quale ho incontrato byōbu. C'è invece un salto di creatività che passa da un'altra lingua. Nell'ambiente Linux, il sistema open source simile a Unix, esiste una utility per fare da multiplexer di terminale che si chiama Screen, schermo. Un multiplexer di terminale è un software che permette di creare più console virtuali, consentendo a un utente di accedere a più sessioni di login separate (magari su server remoti diversi) all'interno di una singola finestra del terminale, o di staccare e riattaccare le sessioni da un terminale senza che i processi remoti si chiudano. Vi siete persi? Non temete, è complicato anche farlo, non solo spiegarlo. Personalmente a Screen preferisco Tmux, ma entrambi gli applicativi sono un po' complessi e pieni di piccoli dettagli noiosi da configurare se si vuol creare un ambiente di lavoro utile. Entra in scena un piccolo software, anche questo open source, creato da un altro sviluppatore, che può essere utilizzato "sopra" Screen o Tmux per fornire le notifiche e lo stato di funzionamento nella schermata di lavoro, per gestire delle finestre a schede multiple. Lo scopo di questo software, che si chiama Byobu, è quello di migliorare le sessioni del terminale quando gli utenti si collegano ai server remoti. Sul sito del progetto, bianco e minimalista come si confà a una moderna applicazione, c'è anche l'icona-disegno del byōbu, molto gradevole ed evocativa.

Con questa doppia assonanza nella mia mente, sono andato a guardare per bene cosa significa byōbu. Il vento è considerato un elemento naturale importante e può avere diverse connotazioni, come ad esempio la velocità, la forza o la direzione. Il kanji 風 (kaze)) viene spesso utilizzato nella poesia o nella letteratura per rappresentare il movimento o la dinamicità, o per sottolineare l'effetto del vento sugli altri elementi naturali, come ad esempio le foglie o gli alberi. Invece, 屏 (byou) significa già "schermo" o "paravento". Si tratta di un carattere che viene utilizzato con un doppio significato: per descrivere una superficie piana e per descrivere la struttura che viene utilizzata per proteggere una persona o un oggetto dalle intemperie o celarla con una interruzione visiva. Ad esempio, byou (屏) può essere usato per descrivere uno schermo di computer, un paravento utilizzato per creare una zona privata all'interno di una stanza, o uno schermo di carta usato per separare gli ambienti in una casa tradizionale giapponese.

Il fatto che il byōbu (屏風) sia composto dai due caratteri, quando basterebbe il secondo, sottolinea la sua origine storica in Cina (nel periodo Han, per la precisione). Quando l'oggetto e il suo significato sbarcano in Giappone siamo più o meno nel VIII secolo, in un periodo di grande influenza artistica e culturale esercitata dalla Cina sulla corte e gli intellettuali giapponesi. Il suo nome è così un po' pomposo perché si tratta di una chicca per persone di alto livello, creata da artigiani di gran classe. Passeranno altri ottocento anni, però, prima che il byōbu diventi un oggetto d'arte vero e proprio. Dopo essere stato ben metabolizzato dalla cultura giapponese, infatti, nel XVI secolo il byōbu diventa un oggetto prezioso e chi lo realizza pensa a tutti gli effetti di fare arte, non arredamento. Una specie di design prima del design, insomma. E le differenti trasformazioni alle quali è stato sottoposto il byōbu, sia per forma che per tecnologie di costruzione, materiali utilizzati e tipi di decorazioni ed usi a cui è stato prestato, rendono l'idea della sua importanza.

Ci sono almeno una dozzina di tecniche costruttive diverse, sia per numero di pannelli che per le cerniere che lo fanno articolare e i piedi che lo sorreggono. Tutte con il loro nome, la loro tecnica particolare, la loro importanza anche simbolica. La forma dei telai di legno, ad esempio, come il tipo delle decorazioni e dei materiali, cambia radicalmente da un secolo all'altro e a seconda che sia usato in un tempio buddista, in un santuario, nella reggia di un Daimyō o nelle case dei poveri. La carta più amata, per dire, fu a lungo quella dorata sulla quale venivano dipinte scene naturali, sia con animali selvaggi (tigri e dragoni) che fiori e vedute, fronde di piante meravigliose e colorati uccelli canterini, nuvole leggere e cascate impetuose. Ma si possono catalogare i byōbu anche a seconda del numero di pannelli da cui sono composti. Oppure per i temi rappresentati o gli utilizzi nei castelli. Come il centinaio di byōbu dipinti a mano da famosi artisti dell'epoca, come Kanō Eitoku, e usati per abbellire gli ambienti del castello di Momoyama di Toyotomi Hideyoshi. Oppure il funzionale 風炉先屏風 furosaki byōbu, letteralmente "schermo di paravento davanti al camino".

Il furosaki byōbu è una struttura che viene utilizzata per proteggere una persona o un oggetto dal calore o dalle scintille emesse dal camino ma anche un paravento rituale per la cerimonia del tè. Se si va a guardare per bene, 風炉 (furo) significa "camino del vento", 先 (sachi) significa "davanti" e 屏風 come abbiamo visto è il nostro byōbu. Quindi, il furosaki byōbu è la locuzione che descrive un paravento che viene posizionato davanti al "camino del vento" per proteggere le persone o gli oggetti che si trovano lì attorno. Il "camino del vento" (風炉) è in realtà sia un tipo di piccola stufa tradizionale da stanza, ancora oggi usata nelle case arredate in modo tradizionale, che il piccolo braciere usato per scaldare l'acqua nella cerimonia del tè. Divertente, no?

Non è finita. Perché il termine byōbu ha un po' di storia anche al di fuori del Giappone. È entrato nello spagnolo messicano durante l'era coloniale del Messico, con il nome di biombo. Le scene rappresentate su questi schermi pieghevoli erano spesso di carattere storico, come la Conquista di Tenochtitlán, oppure rappresentavano momento di vita quotidiana, come le immagini su pannelli del villaggio di Ixtacalco. L'influenza degli artisti asiatici era arrivata nel Messico dell'era coloniale grazie ai galeoni di Manila e il biombo si era rivelato un oggetto più utile e prezioso per la quotidianità di ville e case patrizie, senza avere i connotati religiosi delle pale d'altare a tema sacro.

Il viaggio dei biombo era durato per alcuni secoli. I Manilla Galleons erano navi della flotta commerciale spagnola nel XVII e XVIII secolo. Le navi erano chiamate Manilla Galleons perché facevano parte della Nao de China, una rotta commerciale che collegava le Filippine con la città di Manila e poi attraversava l'oceano Pacifico fino a Acapulco, in Messico. Una volta arrivate in Messico, le navi scaricavano i loro carichi di spezie, tessuti, sete e altri prodotti (tra cui i nostri byōbu) provenienti dalle Filippine e dall'Asia, e poi caricavano oro, argento e altri prodotti provenienti dalle Americhe per il viaggio di ritorno in Asia. I Manilla Galleons erano navi imponenti e spesso trasportavano carichi molto preziosi, il che li rendeva un bersaglio perfetto per i pirati e l'argomento preferito di tutta una letteratura avventurosa che si è cominciata a dispiegare a partire dal XVIII secolo.

Questi carichi di merci però non si fermarono in Messico e invece, lentamente, arrivano in Europa dalla via del Nuovo Mondo, oltre che dalla Via della Seta e da altri percorsi dei quali oggi la globalizzazione ha sostanzialmente cancellato le piste e i segni. Verso la fine del XIX secolo i ‌byōbu erano diventati un oggetto popolare da importare in Europa sull'onda di quel movimento culturale francese che si chiama Japonisme. Odilon Redon, un pittore di una certa notorietà come esponente del simbolismo, si ispirò ad esempio ai byōbu giapponesi per creare una serie di pannelli dipinti per lo Château di Domecy-sur-le-Vault in Borgogna. Se capitate da quelle parti andate a guardarli: vi stupirà la carica di novità e la distanza dalla natura francese di quelle opere.

Il motivo, come abbiamo visto, è che i byōbu sono passati dalla Cina al Giappone e poi al Messico e da qui all'Europa meridionale, facendo poi chissà quali altri giri, sino ad arrivare a incuriosire i pittori della fine dell'Ottocento, attirandoli come trappole colorate con i loro segni irrituali, gli accostamenti di colore, le tecniche esotiche, le piante e gli animali impossibili, le articolazioni arcane da muri del vento.


Italiana

Sono passati trent'anni da quell'inverno del 1992 in cui nelle edicole arrivò Kappa Magazine, la prima rivista di fumetti giapponesi (cioè i manga) creata da quattro appassionati. È un segno, il marcatore di una generazione cresciuta con i primi cartoni animati giapponesi (cioè gli anime) sulla Rai e poi sulle private, e che verso la maggiore età ha scoperto i fumetti. Tardi, certo, ma solo perché se li è dovuta letteralmente procurare, questi fumetti che in Italia nessuno pubblicava. Se volete tornare indietro e leggere in controluce un pezzettino di quella storia, questo articolo di Fumettologica (opens new window) racconta la vita editoriale di Kappa Magazine con la voce dei suoi quattro creatori, cioè Andrea Baricordi, Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni e Barbara Rossi (che oggi si sono messi in proprio (opens new window)).

Il 28 novembre del 1966 Truman Capote, divenuto a tutti gli effetti Truman Capote (scrittore famosissimo, drammaturgo eccelso, celebrità nata poverissima da una famiglia disfunzionale nel sud degli Stati Uniti) diede una festa. Il Black and White Ball. La festa delle feste. Con 540 invitati, non uno di più: la parte divertente fu decidere chi non invitare. Il Black and White Ball si tenne formalmente per celebrare Katherine Graham, vedova e proprietaria del Washington Post (padrona-coraggio dietro alla scoperta del Watergate), ma in realtà Capote celebrava Capote. Al Plaza Hotel, raccogliendo l'élite mondiale vista dalla Quinta Strada, Capote fece vestire tutti di bianco e nero e chiese alle signore di indossare una maschera per gli occhi di derivazione veneziana. Lo fecero anche alcuni signori. Lo racconta qui Harpers Bazaar (opens new window) e qui lo svela (a colori!) la Magnum (opens new window) con le foto di Elliott Erwitt. Come appendice, un po' di storia (opens new window) dei fasti e del declino del Plaza Hotel (opens new window), tra Donald Trump e il Grande Gatsby. Tutto quel che è venuto dopo, inclusa la villa di Eyes Wide Shut e il Palazzo Cardenza di 007 Spectre è solo arte che imita la vita vissuta come arte.

Visto che siamo da quelle parti, qualche anno fa Chiara Beghelli sul Sole 24 Ore ha raccontato la storia della prima supermodella: Audrey Munson (opens new window). Storia tragica, peraltro, ambientata a cavallo tra Otto e Novecento. E qui invece Alessandra Baldini raccontava la storia di Eileen Ford (opens new window), la donna che inventò (opens new window) le top model.

Priscilla De Pace racconta come cambia l'esperienza dello spazio (opens new window), quello reale e quello digitale, nel "capitalismo delle vibes". Si parte da Geocities.

Per il nostro angolo pop del Corriere, questa volta perché non parlare di panettoni? Così, per avere il gusto di come il quotidiano di via Solferino investe tempo e risorse: i dieci segreti del dolce milanese (opens new window).

Politistrojka. Non so se ve lo ricordate: è stato il gioco della politica, nato nel 1988 rubando il suono delle parole rivoluzionarie di Mikhail Gorbaciov, “Glasnost” (trasparenza) e “Perestroika” (ristrutturazione). Politistrojka fu l'invenzione di un gruppetto di annoiati cronisti e funzionari parlamentari (qui la storia (opens new window) raccontata da uno degli inventori, Cesare Protettì, che lo creò con Alessandra Baldini e Alessandro Diotallevi) che divenne un intrattenimento prima in allegato all'Europeo e poi "live" alle feste dell'Unità fra il 1988 e il 1990, conduceva Patrizio Roversi. Questo invece è il trailer della versione televisiva (opens new window), andata in onda sulla Rai nel 1990 tra le pieghe dei prodotti creati da Giovanni Minoli, condotto sempre da Patrizio Roversi e con un "cast" importante: Syusy Blady, i gemelli Ruggeri, Disegni & Caviglia, Carmen La Sorella. Quello che vedete in tv oggi (se ancora vedete la tv) tra Makkox e Zoro, era già tutto là, alla fine degli anni Ottanta. L’intento del programma, secondo il suo ideatore, era quello di avvicinare il pubblico televisivo alla politica, “far scoprire che nel Parlamento esistono persone intelligenti e simpatiche, che non corrispondono per forza al cliché che si ha dell’ uomo politico”.

Finendo invece questa sezione con la "politica-politica", il Corriere quando vuole spara fuori colpi magistrali, come questa intervista di Aldo Cazzullo a Giovanni Bazoli (opens new window), il potentissimo banchiere cattolico di Brescia: a 90 anni e nel pieno del suo fulgore è una delle ultime grandi figure della Repubblica italiana, la cui vita è intrecciata con la nostra storia dagli anni Sessanta. Una intervista estremamente ricca, complessa, con tanti piani di lettura e messaggi diversi, da leggere e rileggere.


Multimedia

Non so chi abbia bisogno di sentirlo, ma Neil Diamond, che si è ritirato dall'attività concertistica cinque anni fa a causa del Parkinson, ha appena inaugurato uno spettacolo a Broadway e alla prima serata ha fatto così (opens new window).

Quali sono gli orologi delle donne-vip italiane? Dietro a questo approccio gossip c'è però un minimo di ragionamento: gli orologi sono da uomo o da donna? Non si capisce ma forse nel video si intuisce (opens new window). L'accento della costa toscana mi fa impazzire.

E qui, in 23 minuti, un medley con tutte le 25 canzoni dei film di James Bond (opens new window), fatto bene bene e veloce veloce, come piace a noi.

Video un po' depresso, lo ammetto, ma guardarsi da fuori fa sempre bene: recensione della business class per il volo Tokyo-Roma di Ita (opens new window). Sarei curioso anche io, ve lo dico.

Devoto alla fotografia in bianco e nero (ma solo per motivi espressivi) devo dire che apprezzo molto la storia di quella a colori (opens new window), che in realtà risale all'Ottocento e non agli anni Settanta quando è stata popolarizzata. Autochrome già nel 1907 l'aveva portata sul mercato e varie altre tecniche hanno permesso di avere immagini a colori del mondo di più di un secolo fa.

A questo punto devo ammettere che non ho idea di quale sia il modello di business di questo tipo di playlist, comunque una serie infinita di brani di musica jazz da sottofondo per l'inverno (opens new window), assemblata da Relax Music, ci sta, in questo periodo dell'anno.

Cartoline da San Francisco (opens new window) è il video di un pazzo spericolato con la sua bicicletta da acrobazia che zompa come un grillo ovunque. Mai vista una cosa simile. Divertente, però.

David Vorhaus che mostra a una giornalista (opens new window) il suo Kaleidophon vi garantisco che è una cosa spassosa.


Tsundoku

Non c'è solo Walt Disney che si è ispirato ai classici delle favole europee per i suoi film a cartoni animati (da Biancaneve in avanti, per intendersi). Haiyao Miyazaki ha pescato a piene mani in storie e folklore, ma anche in racconti e novelle meno note. Tre cose trovate nella casa editrice dei Kappa Boys.

Kiki consegne a domicilio (opens new window) è il romanzo di esordio della scrittrice Eiko Kadono. Breve, per un pubblico molto giovane, la protagonista è una dodicenne che si sta trasformando da bambina in strega, come la madre. Una strega particolare, però, perché in quel mondo, in tutto e per tutto uguale al nostro, le streghe sono come noi: hanno fondamentalmente solo un potere e per il resto se la devono cavare da sole. Il trailer del film (opens new window).

Conan il ragazzo del futuro (opens new window) non è il titolo originale. Quello era The Incredible Tide. Ma la cosa più incredibile di questa storia scritta da Alexander Key e trasformata da Miyazaki nella sua prima serie animata, è quanto sia giapponese nell'anima. O forse universale? Comunque, leggermente diverso dall'anime, il libro è molto bello e anche questo relativamente breve e pensato per un pubblico più giovane. La sigla della cartone (opens new window) (meglio di un trailer).

Il terzo è in realtà una trilogia: Il castello errante di Howl (opens new window). Sono i tre romanzi neanche tanto brevi di Diana Wynne Jones che, messi assieme, costruiscono il racconto completo delle storie del mago Howl, di Calcifer e della giovane (o vecchia?) Sophie. Per tacer della perfida Strega delle Terre Desolate. Anche questo per più giovani ma, come i precedenti, perfettamente leggibile anche "da grandi". Il trailer del film (opens new window).

Bonus, La città incantata (opens new window) di Sachiko Kashiwaba, che poi è la base del film di Miyazaki che ha vinto l'Oscar in America e l'Orso d'Oro al Festival di Berlino. È un altro romanzo per ragazze e ragazzi, un romanzo di formazione, una storia di quel momento nella vita in cui i bambini devono imparare a interagire con il mondo degli adulti senza la mediazione dei genitori. In questo caso un mondo magico piuttosto speciale, ma sempre mondo degli adulti. Qui il trailer del film (opens new window).


Coffee break

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Al-Khwarizmi

Asahi Linux, il gruppo che sta portando Linux su Apple Silicon, ha rilasciato i driver per i core GPU del processore M1 ed M2 (opens new window) che adesso vanno nel kernel Linux. In pratica, le distribuzioni Linux che utilizzano Asahi per andare sui Mac e MacBook con M1 ed M2 adesso hanno accesso nativo anche alla GPU, e questo rende tutto migliore direi.

Perché i dati vengono rappresentati come vettori? Vi siete mai chiesti cosa vuol dire e perché si fa nella scienza dei dati? Il ragionamento è abbastanza semplice, una volta che si capisce il motivo: questo articolo lo spiega bene secondo me (opens new window). In sintesi: il vantaggio di rappresentare i dati come vettori è che possiamo sfruttare l'algebra vettoriale per trovare modelli o relazioni all'interno dei nostri dati. La rappresentazione dei dati come vettori è una tecnica utilizzata in molti campi, come ad esempio la matematica, la fisica e l'intelligenza artificiale. I vettori sono degli oggetti matematici che possono essere utilizzati per rappresentare le informazioni contenute in un dato, permettendo di eseguire operazioni matematiche su di esso. L'algebra vettoriale è un insieme di regole e teoremi che permettono di eseguire operazioni sui vettori, come ad esempio sommare, moltiplicare o trovare la loro norma. Queste operazioni possono essere utilizzate per analizzare i dati e individuare modelli o relazioni all'interno di essi. Insomma, quando abbiamo delle informazioni rappresentate con dei vettori, non stanno andando da nessuna parte. Piuttosto, andate a guardarvi cos'è il coseno e a cosa serve, se non ve lo ricordate più.

Qualche anno fa ho cominciato a usare Workflowy, uno strumento per fare outlining in maniera molto semplice e diretta. Secondo me straordinario, anche se ovviamente lo uso solo per alcune cose e non per tutto (non sono ancora diventato matto). Qui c'è una buona spiegazione (opens new window) di uno che lo usa da tempo. Invece, visto che è un prodotto freemium, se seguite il mio link con referral e lo attivate (opens new window) magari per provarlo, abbiamo più spazio d'uso (più "righe") tutti senza dover pagare niente.

gocui (opens new window) è una libreria minimalista scritta in go che serve per creare finestre nel terminale: praticamente è l'abilitatore delle TUI, le text user interfaces che l'autore chiama CUI, console user interfaces, da cui il nome del pacchetto. La cosa interessante è che c'è una bella lista di progetti che usano questa libreria, come fac (opens new window), che è un interessante strumento di mergetool per git (un po' troppo hardcore per me) disponibile anche su brew con una tap aggiuntiva, oppure come gomainr (opens new window) (per controllare la disponibilità di nomi di dominio basati su combinazioni di keyword, dalla riga di comando), gotime (opens new window) (un timetracker per progetti solo per Linux sempre TUI) e terminews (opens new window) (un reader di feed RSS dalla riga di comando). Ah, c'è anche diagram (opens new window), che è pazzesco: trasforma diagrammi fatti in Ascii-art in immagini con diagrammi disegnati a mano.

Intanto che ChatGPT sbarca sui nostri apparecchi, uno sviluppatore ha tirato fuori questa utility gratuita. Una app per gestire le chat (opens new window). Decidete voi se e quanto dare allo sviluppatore, si scarica anche a zero euro.

Già che parliamo di app utili e gratuite o a donazione: OneMenu (opens new window) per Mac è piccola e pratica. La funzione di gestione delle finestre semplice ma molto comoda, il blocco della tastiera per pulirla comodissimo.


Ambienti di lavoro
Ambienti di lavoro ~ © Antonio Dini

Una modesta proposta

Cosa succede se un orso si fa di cocaina? Questo film (opens new window), l'ultimo di Ray Liotta, praticamente è uno stereotipo semovente, almeno a giudicare dal trailer (opens new window) e dal profilo promozionale su Twitter (opens new window). Credo che, con questi immaginari, difficilmente ce la possiamo fare, qualsiasi cosa volessimo fare. Darci una registrata?




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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