[Mostly Weekly ~195]

Exchange, oggetti degli altri e il censimento dei ricordi fascisti


A cura di Antonio Dini
Numero 195 ~ 28 novembre 2022

Benvenuti su Mostly Weekly, la newsletter che esce quando è pronta, più o meno ogni settimana.

Come vi avevo anticipato, ho pensato di preparare una piccola sorpresa, se riesco: vorrei stampare un certo numero di copie di un piccolo volume che raccolga alcuni articoli selezionati di Mostly Weekly, ma non ho idea di quante farne. Pensate a un libro di piccolo formato con un centinaio di pagine, gradevole e spero curato bene, numerato e con il mio ringraziamento, da conservare come ricordo. Cosa metterci dentro? Pensavo a una selezione del dizionario tematico di giapponese. Se ne vale la pena, ci vorrà un mese buono per riuscire a farlo. Prima però vorrei capire se interessa, così capisco se andare avanti. Vi interessa? Basta mandarmi una email.

Potete leggere questo numero di Mostly Weekly e gli altri nell'archivio.

Ricordo che Mostly Weekly è aperta a tutti, senza pubblicità o affiliazioni. Volete contribuire? Potete fare una donazione su PayPal (opens new window) come "Familiari e amici". Non è una compravendita o un'attività commerciale: sarebbe sbagliato e fuorviante usare la modalità "Beni e servizi". In quest'ultimo caso, sarei costretto a rimborsarvi la donazione e chiedervi se volete rifarla nel modo che PayPal considera corretto. Grazie.

Intanto, buona lettura.


Il senso della vita è quello di trovare il vostro dono. Lo scopo della vita è quello di regalarlo
— Pablo Picasso



~~~


Editoriale

Negli Stati Uniti la questione di FTX, l'exchange per le criptovalute di Sam Bankman-Fried, ha proporzioni enormi: undici miliardi di dollari fulminati in quello che è sostanzialmente uno schema di Ponzi. La class action (opens new window) che è stata avviata, però, ha coinvolto anche le persone famose (opens new window) (Tom Brady, Giselle Bündchen, Larry David e Steph Curry) che hanno fatto pubblicità a FTX in tv e su altri mezzi, magari anche investendo dei soldi nell'azienda. Non so se meritino davvero di essere citati in giudizio (opens new window), ma dovrebbero comunque vergognarsi di aver promosso uno schema Ponzi. A parte questo, il modo con cui sta venendo su la causa è un segnale molto chiaro che la dinamica tra un capitalismo di influenza e propaganda (quello che vende il nulla crittografato a caro prezzo, creando il problema di chi rimane con il cerino in mano) senza alcun razionale economico sotto e senza regolamentazione da una parte e l'economia reale dall'altra, sta entrando in conflitto aperto.

~ ~ ~

Amici
Amici ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Gli oggetti degli altri. Il senso delle cose. Il possesso proprio o altrui. Le collezioni. Le aste. La magia del contagio. Non ci avevo mai pensato in questi termini, ma non sono patologie: sono aspetti dell'anima magica delle persone. Me incluso. Ne scrive Hannah Gold in questo articolo fulminante su The Baffer (opens new window) che parla ancora di Joanne Didion e dell'asta dei suoi beni che si è appena tenuta. «"Quello di cui stiamo parlando dal punto di vista antropologico è la magia del contagio", mi dice Arthur Fournier, intermediario di materiale d'archivio e libri rari, sollevando nella cornice di Zoom la sua copia di The Golden Bough, il testo canonico di James George Frazer del 1890, come mezzo di citazione. Il concetto di magia simpatica o di contagio consiste nell'idea che un oggetto possa recare tracce di coloro che vi entrano in contatto; in questo caso, la convinzione che i fermacarte e i cestini della Didion possano contenere qualche traccia, qualche energia residua, della scrittrice. Fournier si affretta a condannare l'inquadramento di Frazer di questa magia come primitiva e indica "una lunga catena di credenze ininterrotte nelle civiltà di tutto il mondo" secondo cui gli oggetti potrebbero contenere una qualche "intima vicinanza, che è spirituale e propria dell'anima"». Certo che si leggono proprio delle cose straordinarie, alle volte.

Le auto piccole, scrive il Financial Times (opens new window), sono un grande affare. Mentre Toyota era impegnata a festeggiare il suo status di più grande azienda automobilistica del mondo dopo aver venduto 9,5 milioni di auto nel 2020, Hot Wheels (il produttore delle micro macchine che popolano i salotti di tutto il mondo) aveva già superato il traguardo dei 500 milioni. Nata in California nel 1968, Hot Wheels è riuscita a imprimere il suo logo rosso e giallo fiammeggiante nella mente di milioni di bambini, adulti e collezionisti. Da quando Elliot Handler, Ruth Handler e Harold Matson hanno fondato la casa madre Mattel, sono stati prodotti più di sei miliardi di macchinine da taschino; la gamma Hot Wheels supera oggi le 20 mila unità. "Ci definiamo il più grande produttore di automobili al mondo", dice ridendo Ted Wu, vicepresidente della Mattel per il design delle Hot Wheels. "Ogni secondo vengono vendute oltre 16 macchinine Hot Wheels e credo che la chiave del nostro successo sia la varietà e la freschezza".

Un tizio ha registrato tutto quello che dice durante il giorno (opens new window) e l'ha passato alla AI: non è una cosa sana, secondo me. Voi che ne pensate?

Il dibattito questa volta l'ho visto nascere su Euronews: un articolo (opens new window) che spiega la tensione in Lituania circa i monumenti dell'era sovietica: rappresentano solo una forma di propaganda politica o hanno anche un'importanza storica? Cioè: li teniamo o li abbattiamo? Ovviamente in Italia non c'è questo dibattito, ma ho già visto varie volte tornare fuori una serie di riflessioni sul passato architettonico del fascismo e il suo ruolo nell'Italia moderna. La rivista di geopolitica Limes aveva aperto la strada, un paio di decenni fa. L'istituto Ferruccio Parri ha fatto una mappatura dei palazzi, monumenti e impianti urbani fascisti che potrebbe essere il punto di partenza, dice il Post (opens new window), di una riflessione più ampia e soprattutto di una comprensione.

Di tutte le persone che potevano insegnarmi il trucchetto mnemonico per ricordarsi a cosa corrisponde Artico-Antartico, è stato Luca Sofri a dirmi che quello corto è per il Polo Nord e quello lungo per il Polo Sud. Beh, questo spiega anche perché questo gigantesco e velleitario veicolo di esplorazione antartica (opens new window) sia disperso "nel fondo del mondo". Velleitario perché non era proprio adatto a fare quello per cui è stato progettato: girovagare senza ostacoli di sorta attraverso il Polo Sud.

Parlando di Antartide: cosa si beve e dove (opens new window). Perché ci sono le stazioni di ricerca, una anche bella grossa.

Perché ci piace la musica che ci piace? In questa lunga intervista (opens new window) con Susan Rogers, l'autrice del libro This Is What It Sounds Like: What the Music You Love Says About You (opens new window), vengono fuori parecchie cose. Ma è stata per me anche l'occasione per scoprire un personaggio dalla storia veramente notevole: Rogers ha iniziato facendo la produttrice musicale di Prince e delle Barenaked Ladies, tra gli altri. Il ragionamento sulla musicalità, collegato a quello che diceva Miles Davis ("Alcuni dei migliori musicisti sono i non musicisti") è particolarmente intrigante.

Se vi foste mai chiesti qual è il font usato per gli strumenti nelle cabine di pilotaggio degli aerei, adesso avreste trovato la vostra risposta: si chiama B612 (opens new window) ed è possibile usarlo per molte altre cose, grazie alla sua notevole leggibilità. È un font open source creato da Airbus (opens new window), dalla Scuola nazionale francese per l'aviazione civile (opens new window) e dall'università di Tolosa III (opens new window). Ha collaborato anche Intactile Design (opens new window). Ah, il nome, direte voi. Quello è una citazione: B612 è il nome dell'asteroide del Piccolo Principe di Antoine de Saint‑Exupéry.

Twitter rifatto con GitHub. Cioè, non è un clone di Twitter il cui codice è appoggiato su GitHub. È proprio un modo per twittare usando GitHub. Ma non veri tweet, però. Un rimpiazzo di Twitter. Insomma, da vedere (opens new window).

Una curiosità. Quando la pixel art (opens new window) diventa art e basta.


Yamato

Namazu (鯰)
La parola di questa settimana per il nostro piccolo dizionario tematico di giapponese è namazu (鯰, pesce gatto). Il pesce gatto è un pesce d'acqua dolce, particolarmente gustoso, che vive nel fango. Per qualche singolare motivo, visto che il Giappone è un arcipelago composto da 6.852 isole e quindi l'acqua di mare non manca, è il piccolo namazu ad essere al centro di una serie di leggende piuttosto interessanti.

La più importante è quella che i terremoti siano provocati proprio da un namazu, si presume di proporzioni gigantesche, che vive al di sotto della Terra. Schiacciato da una pietra che ne impedisce i movimenti, viene tenuto "prigioniero" dal dio Kashima (建御雷), il dio del tuono. Fun fact, Kashima è la divinità che ha partecipato alla prima gara di sumo a memoria d'uomo. Una divinità intraprendente. Forse anche per questo il buon Kashima ogni tanto si distrae, magari per motivi triviali magari perché insoddisfatto di quel che accade sulla Terra. Insomma, ogni tanto se ne va per un po'.

Ad esempio, la sera dell'11 novembre del 1855, siccome aveva da fare, il dio decise di allontanarsi per un po'. Tuttavia, prima di andarsene, chiese a Ebisu (えびす), il "dio ridente", divinità dei pescatori ma anche guardiano della salute dei bambini e una delle sette divinità della fortuna, di sostituirlo nella guardia al namazu. Scelta incauta. Alle 22 di quella stessa sera, infatti, Ebisu non fu in grado di contenere il grande namazu sotterraneo e ne venne fuori quello che i giapponesi ricordano come l'Ansei Edo Jishin (安政江戸地震), il grande terremoto dell'era Ansei di Edo, cioè di Tokyo. Fu il quarto e ultimo terremoto dell'era Ansei, periodo breve (1854-1860) ma alquanto devastato. Quest'ultimo terremoto provocò circa diecimila morti e distrusse quattordicimila edifici, causando anche un piccolo tsunami che amplificò i danni. Alla fine, assieme agli incendi, vennero azzerati 2,3 chilometri quadrati di superficie cittadina, distruggendo in tutto 50 mila abitazioni e 50 templi.

Quel terremoto è tra l'altro una lezione importante sulla memoria sociale e sulla capacità di programmazione degli esseri umani: nonostante il Giappone sia un Paese a rischio sismico, Tokyo non aveva subito un terremoto grave per circa 154 anni e i cittadini percepivano gli eventi sismici come una cosa del passato o quantomeno inaspettata. Avevano quindi costruito le loro case con materiali e tecniche inadatte a sopportare un terremoto. Oltre a questa mancanza di preparazione strutturale, la maggior parte delle aree popolate di Edo-Tokyo erano state costruite su zone umide, cioè acquitrini e paludi, riempite artificialmente con terreno alluvionale instabile, rendendole non protette dagli eventi sismici e quindi prone alla devastazione quando esplose (perché sostanzialmente terremoti di quella intensità sono esplosioni sotterranee) il grande terremoto Ansei.

In una storia come questa la responsabilità, almeno per noi, è facile da distribuire: il namazu è un essere perfido, il dio Ebisu quantomeno irresponsabile e anche Kashima dovrebbe spiegare meglio il motivo della sua assenza e soprattutto della scelta di Ebisu come sostituto. Possiamo già immaginarci gli ispettori delle assicurazioni coinvolte che chiedono di vedere tutta la documentazione divina e verificano il modo con il quale è stato effettuato il passaggio delle consegne. In realtà, dal punto di vista del Giappone la prospettiva è molto diversa.

Nonostante il gigantesco namazu sotterraneo, il kami dell'animale viene considerato una divinità che ha il compito di riparare il mondo. Cioè, anziché immaginare un evento devastante come un terremoto e l'essere che lo provoca come del tutto negativo, il popolo giapponese ha lavorato sull'idea che nessun fenomeno naturale sia veramente negativo e che anzi, abbia un suo motivo di essere. Il compito del namazu, quindi, sarebbe quello di correggere il mondo, cioè di portarlo verso una maggiore stabilità in maniera un po' traumatica, come noi quando togliamo la polvere e lo sporco da un tappeto sbattendolo sul terrazzo. Per questo namazu è venerato anche come uno ‌Yonaoshi daimyōjin, un dio Yonahoshi, cioè un "dio della rettificazione", della correzione del mondo. Una sorta di eroe che ripara i torti, a qualunque costo (spesso traumatico).

Questo per dire che, proprio dopo il terremoto del 1855, molti ritennero che in realtà l'evento sismico fosse accaduto di proposito per volontà esplicita del namazu, che voleva punire i cittadini di Edo-Tokyo divenuti troppo avidi, facendo così della giustizia sociale. Una formula consolatoria molto amata nelle narrazioni popolari che cercano un senso agli eventi più luttuosi.

Questa interpretazione divenne parte della iconografia nata dopo il terremoto e che ha il nome di namazu-e (鯰絵), cioè le stampe del namazu. Si tratta di grandi stampe realizzate con la classica tecnica della xilografia giapponese che comprendono una grande varietà di scene, in genere raffiguranti il dio che sottomette il pesce gatto che causa il terremoto o con una grande pietra kanameishi (pietra-tappo o pietra angolare) o con una spada. L'animale è talvolta genericamente indicata come "pesce terremoto" (jishin-no-uo) e, nonostante il testo la definisca un pesce gatto, le illustrazioni spesso richiamano l'immagine di un drago-serpente. Peraltro questo perché, secondo gli studi, la leggenda del namazu che agitandosi provoca i terremoti deriva in realtà da una precedente versione cinese (sempre loro!) in cui i movimenti inconsulti sono quelli di un'altra bestia: gigantesco drago-serpente sotterraneo.

Oltre che strumenti didattici per tramandare le narrazioni popolari le namazu-e erano considerate anche dei potenti amuleti contro i terremoti e dei generici portafortuna: in Giappone tutt'oggi si pensa infatti che avere questo tipo di amuleti porti molti soldi. Se vi sembra strano o superstizioso, vi ricordo che nella nostra cultura abbiamo più di duemila anni di ex-voto, statuine apotropaiche e generiche immagini di padre Pio appese nelle case, negli uffici e nelle botteghe per tacer dei portafogli, delle borsette e dei cruscotti delle auto.

Il namazu inteso come divinità che rettifica i torti non è l'unica interpretazione del rapporto tra i terremoti giapponesi e il pesce gatto. Un altro racconto emerso dalle macerie della città si trova in una cronaca giornalistica scritta un anno dopo il grande terremoto. In quella cronaca un pescatore di anguille avrebbe avvistato, poco prima del terremoto del 1855, un numero elevato di pesci gatto insolitamente agitati, e avrebbe considerato l'evento come un preannuncio del terremoto. Negli anni Trenta del Novecento alcuni sismologi giapponesi, affascinati da quello e altri racconti analoghi, decisero di condurre degli esperimenti con dei namazu in degli acquari monitorati costantemente. Esperimento logico soprattutto perché in Giappone gli eventi sismici di bassa e media intensità sono molto frequenti e quindi non occorrono anni per verificare se i namazu mostrano effettivamente una maggiore agitazione nelle ore che precedono i terremoti. L'esperimento, secondo i sismologi, aveva dimostrato che sì, i pesci gatto erano tra gli animali sensibili ai terremoti e che sì, erano in grado di prevedere le scosse prima che si verificassero con una precisione dell'80% circa. Il che potrebbe spiegare a posteriori perché il folklore giapponese abbia scelto proprio un namazu, cioè un pesce d'acqua dolce, come causa ultima dei terremoti: dopotutto, quando si agita nel fiume poi il terremoto arriva veramente.


Italiana

Le reinfezioni di Covid, cioè le infezioni successive alla prima, sono molto più pericolose. Un articolo ben fatto del Corriere (opens new window) spiega sia lo studio che il significativo e indica quali sono i comportamenti migliori (richiami dei vaccini e protezione nei contatti).

Ci sarà un altro grattacielo a Milano. Beh, più di uno se è per questo, ma il caso specifico (opens new window) riguarda un palazzo di 22 piani alto 93 metri al posto dell'hotel Michelangelo e davanti al Pirellone che cambierà ancora una volta la skyline della città. Tuttavia, niente come Palazzo Sistema, la nuova torre di 26 piani e 122 metri della Regione Lombardia che sorgerà nel quartiere Isola (opens new window).

Sempre a Milano hanno appena aperto le prime stazioni nel tratto Linate-Dateo della Metro 4 (opens new window), la Blu (ma è singolarmente già completa la Metro 5 (opens new window), la Lilla). Il totale della rete metropolitana di Milano adesso è di 118 chilometri e 136 fermate. La Metro 4 (opens new window), che a quanto pare ha quasi più banda di chi ha la fibra a casa (opens new window), sarà terminata nel 2024 con una o forse due espansioni già previste. A me quel che interessa è andare a Linate la prossima volta a prendere l'aereo con la metro, facendo ciao-ciao ai taxi. Come si fa a Madrid, per dire, e per di più quello non è un city airport. Milano si è dotata di un impianto di trasporti pubblici notevoli, a partire dai treni suburbani (che sono una cosa distinta dai treni regionali e sono stati pensati sulla falsariga della RER parigina, delle S-Bahn delle città tedesche, austriache e svizzere e della S-tog di Copenaghen) più le metro, più i tram, le tranvie, le filovie e gli autobus elettrici o tradizionali. Tutto bello, ma già si parla di alzare il prezzo dei biglietti (opens new window) attualmente a due euro. Di solito fanno in agosto, chissà come mai, però il sucker punch quest'anno potrebbe arrivare anche durante le vacanze di Natale. Invece, io proporrei una cosa all'opposto: per incentivare l'uso dei mezzi pubblici farei sconti a chi sceglie di non avere altri mezzi di trasporto privato (niente auto di proprietà o in usufrutto in famiglia, per intendersi) come premio e incentivo.

Resuscita l'Unità e la dirigerà Piero Sansonetti, già direttore di Liberazione e prima a lungo giornalista del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Qui racconta un po' di cose (opens new window) sul progetto.

Due interviste del Corriere: quella a Selvaggia Lucarelli (opens new window) e quella a Mara Carfagna (opens new window). Sono due vite molto diverse, lo so, ma c'è da vedere in tralice qualcosa.


Multimedia

Purtroppo è morta (opens new window), a 63 anni, la cantante e attrice statunitense Irene Cara. Era diventata famosa sostanzialmente grazie a due canzoni e una parte recitata. La prima è la parte che ebbe nel film Saranno famosi (Fame, nell'originale americano) dove interpretava Coco Hernandez e dove cantava Fame (opens new window) e Out there on my own (opens new window). La seconda invece è solo cantata: Flashdance - What A Feeling (opens new window), parte della colonna sonora del film omonimo Flashdance. Sono due delle colonne sonore che preferisco e non passa anno che non le risenta almeno un paio di volte. Adesso, alla nostalgia e al piacere di rivivere momenti del passato, si aggiungerà la tristezza per questa voce stupenda che non c'è più.

La SG della Gibson, il diavoletto, è la chitarra solista degli AC/DC, ad esempio. Una chitarra particolare, leggera, potente, arrabbiata. Ma che può suonare tutto, anche il jazz: lo vediamo qui con una cover di I'll close my eyes (opens new window) e qui con una cover di When You Wish Upon a Star (opens new window). Sono cose da youtuber, intendiamoci. Ma rendono l'idea. E pensare che la SG non si qualifica neanche tra le quattro grandi chitarre solid body per il jazz (opens new window): una Gibson Les Paul, una Sherman Stratocaster, una Fender Telecaster Deluxe e a PRS CE24 (che ha un po' di spazio dentro, ma non è una chitarra a corpo acustico comunque).

E poi, per rifarsi la bocca, il Dizzy Gillespie Quintet nel programma tv Jazz 625 (opens new window) del 1966. Credo di averlo già proposto in passato, ma non ci si stanca mai.

Non so quale sia il loro modello di business, ma ho scoperto che almeno uno di quelli che mettono le playlist infinite su Youtube con musica jazz, chill, bossa Nova eccetera ha anche un sito web (opens new window) e da qui si passa ai vari canali di streaming.

A parte che adoro lo stile e l'approccio vocale e video di questo youtuber, che è il frontend di una catena di negozi di orologi, questo video (opens new window) è interessante in particolare perché fa vedere Kudoke (opens new window), una marca artigianale tedesca, un micro-brand. È pensare che in quel settore merceologico folle con multipli di cinque e diecimila euro, c'è spazio per altri approcci che non siano quelli industriali di Rolex e Omega.

Com'è (opens new window) andare dall'Avana a Buenos Aires su un Ilyushin Il-96-300 in business class (tanta roba). Tra l'altro, fa più un video così per far capire che L'Avana non è un paese del terzo mondo che tanta retorica nordamericana.

Lezioni di informatica: la distinzione tra programming/coding è come quella tra writing/typing. Chi lo dice? Leslie Lamport (opens new window). Matematico per formazione, vincitore del premio Turing, ha rivoluzionato il modo in cui i computer si parlano tra loro. È stato un pioniere del campo dei sistemi distribuiti, in cui più componenti su reti diverse si coordinano per raggiungere un obiettivo comune. Problema astratto? Mica tanto. Le ricerche su Internet, il cloud computing e l'intelligenza artificiale implicano tutti l'orchestrazione di legioni di potenti macchine di calcolo per lavorare insieme. All'inizio degli anni Ottanta Lamport ha anche creato LaTeX, un sistema di preparazione dei documenti che fornisce modi sofisticati per digitare formule complesse e formattare documenti scientifici. Nel 1989 Lamport ha inventato Paxos, un algoritmo di consenso che consente a più computer di eseguire compiti complessi; senza di esso, potremmo dire con una formula piuttosto trita ma in questo caso reale, l'informatica moderna non potrebbe esistere. Dagli anni Novanta il lavoro di Lamport si è concentrato sulla "verifica formale", l'uso di prove matematiche per verificare la correttezza dei sistemi software e hardware. In particolare, ha creato un "linguaggio di specifica" chiamato TLA+ (cioè Temporal Logic of Actions), che impiega il linguaggio della matematica per prevenire i bug ed evitare i difetti di progettazione.

La convoluzione è utilizzata in molte applicazioni della scienza, dell'ingegneria, della matematica e in particolare nel deep learning. La spiegazione (opens new window) di @3blue1brown sulle convoluzioni è davvero notevole.

Cosa ci sarà di così sexy nel vedere un computer smontato e rimontato? Difficile dirlo, ma questi viaggi nel passato di computer dell'altro giorno sono notevoli. E questo del Mac Pro "a cestino" è davvero favoloso (opens new window).

Invece, questo piccolo saggio di linguistica in video (opens new window) sull'italiano e i vari dialetti e lingue nostrane lascia abbastanza a desiderare. Compitino per la scuola superiore fatto con fonti discutibili. Inclusa la totale ignoranza storica delle ragioni e dei modi che hanno portato per fortuna all'unificazione anche linguistica, oltre che culturale, politica ed economica degli italiani. Meglio parlare tutti "lingue" diverse e tornare all'Italia pre-unitaria? Sul serio?


Tsundoku

Nel 1955 lo svizzero poi naturalizzato americano Robert Frank è il primo fotografo europeo a ricevere la borsa della Fondazione Guggenheim di New York. Con i soldi ricevuti Frank passa gli anni 1955 e 1956 viaggiando per tutti gli Stati Uniti, e scattando oltre 24 mila fotografie. Tornato a Parigi nel 1958 Robert Delpire seleziona 83 immagini creando così Les Américains (opens new window), con alcuni testi sulla storia politica e sociale americana selezionati da Alain Bosquet di Simone de Beauvoir, Erskine Caldwell, William Faulkner, Henry Miller e John Steinbeck. L'anno dopo la Grove Press pubblica il volume negli Stati Uniti col titolo The Americans con la prefazione di Jack Kerouak. Les Américains è uno dei più importanti libri di reportage di sempre: dopo di lui il modo di raccontare i luoghi è cambiato completamente. Frank (e il suo editor che ha scelto le 83 immagini) racconta in modo completamente diverso non solo i luoghi, con immagini rubate dal pullman e dall'auto per le strade, ma lo fa uscendo dalle grandi città, sino a quel momento il centro delle narrazioni americane in Europa, e va invece in provincia, nel ventre del Paese, che non era ancora stato mostrato e che contiene le radici sociali dell'America contemporanea. Il ritratto è entusiasmante e ancora oggi è contemporaneamente un atto di creazione di un'estetica e un documento storico sulla cultura americana incredibile.

Henri Cartier-Bresson (che a lungo si fece chiamare solo Bresson per non sembrare nobile) in tutta onestà non è uno streetphotographer, bensì uno dei migliori rappresentanti della fotografia umanista francese del Novecento. Come Frank, scattava con una Leica: aveva acquistato la macchina, con obiettivo 50mm, a Marsiglia e l'ha usata per parecchi anni. L'anonimato che la piccola macchina fotografica gli garantiva in mezzo alla folla o durante un momento di intimità era essenziale per superare il comportamento formale e innaturale di chi era consapevole di essere fotografato. Per renderla ancora meno "intrusiva", Cartier-Bresson dipinse tutte le parti argentate della sua Leica di nero. Quel tipo di macchina, prodotta in Germania dagli anni Trenta, aprì nuove possibilità alla fotografia: la capacità di catturare il mondo nel suo reale stato di movimento e trasformazione. La possibilità di cogliere il "momento decisivo" (the decisive moment, come dicono gli anglosassoni traducendo molto male il termine coniato da Cartier-Bresson, Images à la sauvette (opens new window), le immagini in fuga. Il suo titolo inglese è una cosa più pragmatica: ha definito la nozione del picco formale in cui tutti gli elementi della cornice fotografica si accumulano per formare l'immagine perfetta. Anche noi in italiano seguiamo la cattiva traduzione americana da manuale di fotografia, perdendo qualche grammo di una poetica che invece ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione dell'oggetto fotografico ancora prima che rappresentare il mondo. Quasi impossibile da trovare se non in inglese (opens new window) e soprattutto in rete, è un libro fenomenale che racconta cosa sente e prova, oltre a fare, il fotografo. La copertina è un collage di Henri Matisse: idea geniale.

Robert Capa è l'ultimo fotografo per questa settimana, anche se ovviamente non è ultimo per niente. Il giovane fotoreporter ungherese, che ha attraversato indenne la Seconda guerra mondiale per terminare bruscamente la sua vita su una mina in Indocina il 24 maggio 1954, dopo aver coperto cinque grandi guerre tra cui la guerra civile spagnola dove ha scattato una delle immagini più famose di sempre, quella del soldato lealista che sta morendo, congelato per sempre nell'atto di cadere per terra e via dalla vita. Capa ha anche scritto molto, e Slightly Out of Focus (opens new window) è la sua cosa più bella che ho letto. C'è la vita, dentro la vicenda romanzata di un fotografo di guerra che segue l'esercito americano e soffre la mancanza di una giovane donna in cui ci sono le tracce della sua vera compagna, la fotografa Gerda Taro morta nel 1937 mentre seguiva la guerra civile spagnola con Capa. Avventuriero, uomo più grande della propria vita e di quella di molti altri, prototipo di alcune generazioni di inviati di guerra e a sua volta erede dell'idea ottocentesca di giornalista-avventuriero, che mescola la sua vita con l'odore dell'adrenalina, dell'alcool e della morte, Capa con "leggermente fuori fuoco" non solo gioca con l'estetica delle foto di guerra e la distinzione tra una foto "bella" e una foto "buona", ma ha anche scritto un grande romanzo che rende più vicine persone e modi di vivere oggi relegati nei libri di storia. Nel libro, ovviamente, non ci sono foto.


Coffee break

Mostly Weekly è una newsletter libera e gratuita per tutti. Se volete ringraziarmi del tempo che passo a raccogliere e scrivere le notizie, potete farlo offrendomi un caffè su PayPal (opens new window) in modo "Familiari e amici" (che detto così sembra quasi un "in alto le mani, questa è una rapina", però vabbè ci siamo capiti).


Al-Khwarizmi

Stavo cercando di capire perché sia MacVim che vim mi vanno in conflitto: apparentemente o ne tengo uno o tengo l'altro. Cioè, il motivo è semplice: sulla mia macchina sono entrambi installati da brew e puntano agli stessi binari, cosa che non può funzionare. Quel che ho cercato di capire è come fare. Ho visto che in realtà ci sono due soluzioni. La prima è semplice: MacVim è anche per la riga di comando (tanto che dal modo comando si può fare :gui e parte in maniera semplice la versione GUI), quindi basta installare MacVim da brew e poi si usa quello. Il problema è che i binari di vim per il terminale vengono aggiornati molto meno di frequente di quelli della versione "normale". L'altra soluzione? Installare MacVim come binario dal sito del progetto (opens new window) e vim con brew, e poi si va via lisci. L'unico svantaggio è che si perde il comando :gui dentro vim da terminale. Pazienza, tanto non ho l'abitudine di usarlo.

Tra l'altro uno tende a dimenticarlo, ma oltre a Vim c'è anche NeoVim (opens new window). E oltre a MacVim c'è anche VimR (opens new window) la GUI di Neovim per macOS.

Invece, qualcuno conosce Cream (opens new window)? È una configurazione particolare di Vim, praticamente una distribuzione temo non più supportata, per Linux, Windows e FreeBSD (niente macOS).

Il sistema operativo Zeal (opens new window) è un fork modernizzato e professionale del sistema operativo Temple a 64 bit. I principi guida dello sviluppo includono la trasparenza, il pieno controllo da parte dell'utente e l'aderenza alle implementazioni di dominio pubblico/open-source.

Uno strumento per crittare i documenti da riga di comando: utile anche e soprattutto se si lavora ai suddetti documenti direttamente da quell'ambiente. age (opens new window) è scritto in Go, segue la filosofia modulare di Unix e non richiede un documento di configurazione. Ottimo, ma non c'è per iPad/iPhone/Android e questo potrebbe essere un problema per certi casi d'uso. È stato creato da Filippo Valsorda (opens new window), un giovane esperto di crittografia che adesso lavora per Google e fa tutto in Go.

Questo tipo si era rotto le scatole di usare brew aspettando mesi perché arrivino le versioni macOS perché alla fine deve solo installare pochi (relativamente pochi) software e strumenti che sono già disponibili come binari. Quindi, ha scritto kelp (opens new window), che fa da packet manager per installare qualsiasi binario per macOS disponibile su GitHub e, già che c'è, anche da altre sorgenti, senza che lo sviluppatore debba fare niente di particolare dal suo lato. Non l'ho usato ma mi pare interessante anche perché semplifica molto la possibilità di automatizzare il deployment di una nuova macchina e la sincronizzazione tra macchine diverse.


Jazz
Jazz ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Voi avete mai pulito le ruote del vostro trolley? Cioè le ruote della vostra valigia preferita? Ammesso che ne abbiate una, voglio dire. Personalmente, dopo averne cambiate un po', da una dozzina di anni mi sono assestato su una in particolare, ovviamente tedesca, nella quale faccio entrare tutto. Comunque, se l'avete, dovreste fare caso alle ruote. E pulirle, prima di entrare in casa. Anche perché le valigie vengono spesso poggiate sul letto. E questo non dovreste proprio mai farlo. Ecco un articolo abbastanza illuminante (opens new window) sul perché. A dire il vero io quando posso uso lo zaino grosso, ma il concetto non cambia: non poggio il trolley sul letto. Anche voi non dovreste poggiare la vostra valigia sul letto. Neanche come segno di anticonformismo. Sul serio.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




Ti è piaciuta? Inoltrala a chi potrebbe essere interessato.
Se l'hai ricevuta, qui puoi iscriverti
Qui invece c'è l'archivio dei numeri passati
Se vuoi contribuire al futuro di Mostly Weekly, puoi la somma che vuoi usando PayPal (opens new window) in modalità "Familiari e amici"
Buona domenica!