[Mostly Weekly ~185]

‌Guerre, Pipeline problems e il dossier lavoro


A cura di Antonio Dini
Numero 185 ~ 18 settembre 2022

Benvenuti. Questa è Mostly Weekly, la newsletter settimanale che esce quando è pronta, e io sono il suo autore, Antonio Dini.

‌Una cosa un po' da nerd (tanto) ma se cominciate a guardarla (opens new window), potreste non finire più.

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Intanto, buona lettura.


We live in a world where we have to hide to make love, while violence is practiced in broad daylight
–– John Lennon



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Editoriale

Sono passato da tre aeroporti, la settimana scorsa, e posso dirvi che le cose non vanno bene. Non tanto perché le lounge sono piene (quello è colpa delle carte di credito (opens new window) ma non è una novità (opens new window)) quanto per i casini di gestione delle infrastrutture e dei voli. Chiamiamoli "pipeline problems". Leggo in rete: "Stavo parlando con mio padre dei ritardi dei voli e dei problemi di personale, e mio padre mi ha fatto notare un problema che mi era sfuggito del tutto. Non ci sono nuovi piloti".

Evidentemente, oggi una parte significativa dei ritardi delle compagnie aeree è dovuta alla mancanza di piloti. Questo sembra essere aggravato dal licenziamento dei piloti durante la pandemia e dal fatto che i militari addestrano meno piloti perché stanno passando ai droni. Se si combinano questi fattori, si ottiene un enorme problema di pipeline, e mi ha colpito il fatto che gli Stati Uniti (e gran parte del mondo) sembrano avere problemi di pipeline in molti campi.

Mi viene in mente la mancanza di informatici: mancano le persone competenti e non si riesce mai a trovarne abbastanza. Credo che gran parte di questo problema sia dovuto al fatto che non è chiaro di chi sia il problema. Le scuole secondarie? L'università? L'industria? I media? La cultura dei paesi occidentali? Probabilmente tutti questi, ma se è un problema di tutti, allora non è un problema di nessuno. L'Occidente al giorno d'oggi sembra avere molti di questi "problemi condivisi". Differenti soggetti sono troppo concentrati sul breve termine e/o arrabbiati l'uno con l'altro per voler sostenere programmi che richiedono investimenti ora per vedere benefici condivisi in futuro. Nel frattempo, la Cina può costruire un edificio di 10 piani (opens new window) come fosse un chiosco di hotdog. C'è evidentemente qualcosa che non funziona.

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Posti di lavoro
Posti di lavoro ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Se c'è qualcosa che può farmi paura è vedere l'intellighenzia americana che comincia a sostenere tesi come "la guerra è una cosa che fa bene alla società e aiuta lo sviluppo e il cambiamento". Perché lo sostengono veramente.

"La guerra – dice Margaret MacMillan (opens new window), professoressa di storia internazionale a Oxford – è sempre stata una forza di cambiamento tra i Paesi e all'interno della società. Il rapporto tra la società e la guerra è ciclico, in quanto la guerra influenza la lingua che le persone usano, il modo in cui i luoghi vengono nominati e incoraggia i cambiamenti sociali. Nonostante sia una forza per lo più distruttiva, la guerra costringe tutti gli individui a contribuire alla società: a volte in modi non tradizionali".

La cosa atroce è che questa idea di guerra è tossica (opens new window) oltre che ricorrente. E i tempi sembrano maturi, a giudicare da segnali vicini come l'Ucraina e più lontana come i "conflitti dimenticati (opens new window)", per questo tipo di idea.

Ancora, visto che siamo negli Usa: quando le notizie sul portatile di Hunter Biden, il figlio del presidente Joe Biden, sono emerse pubblicamente per la prima volta nell'ottobre 2020, poche settimane prima delle elezioni, la storia aveva il sapore di un "ci risiamo". Come per le e-mail trapelate tra John Podesta e Hillary Clinton, all'inizio sembrava l'ennesimo sforzo di attori altamente di parte (per non dire apertamente nemici) di trovare file privati per ottenere vantaggi politici. Ma mentre la maggior parte delle testate giornalistiche ha ignorato il portatile (che, in realtà, non è tanto un portatile quanto un disco con 217 gigabyte della vita digitale di una persona), alcuni esponenti della destra hanno passato gli ultimi due anni a sfruttarne il contenuto per alimentare quelli che saranno probabilmente mesi di indagini del Congresso se i repubblicani conquisteranno una delle due camere a novembre.

Ormai, anche il New York Times e il Washington Post hanno dovuto ammettere che molti dei file che circolano pubblicamente sono autentici; il che non significa che mostrino le prove di corruzione che gli appassionati di laptop amano sostenere. Con tutti i loro sforzi, non sono state ancora trovate prove reali di fatti criminosi, ma questo non significa che l'intera storia, come Andrew Rice e Olivia Nuzzi raccontano sul New York Magazine (opens new window), non sia estremamente losca. E ha enormi implicazioni che vanno oltre il prossimo ciclo elettorale americano.

Il punto è che i nostri telefoni e i nostri computer sono diventati "estensioni della nostra coscienza", come scrivono Rice e Nuzzi, e la vita interiore più profonda di Hunter Biden è stata messa a nudo in un modo che forse non ha precedenti nella storia dell'umanità. L'inquisizione al confronto cercava qualche pettegolezzo dal parrucchiere.

Se questo è il futuro degli scontri politici, ci stiamo trasferendo in un posto spaventoso.


Yamato

‌Futon (布団) La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è futon (布団). L'abbiamo già incontrata due volte, nel numero 141 di Mostly Weekly mentre parlavamo delle case giapponesi, dei loro divisori mobili e di quello che si trova nelle stanze, e nel numero 160, dove parlavamo dello zafu (座蒲), che vuol dire seduta di cotone ed è un cuscino da meditazione. Visto che poi è il futon, assieme al tatami (畳), la parte più nota dell'arredamento giapponese, vale la pena spendere due parole, brevemente.

Il futon è il letto tradizionale giapponese ma è composto in realtà da più parti. Ci sono infatti il materasso vero e proprio o shikibuton (敷き布団, letteralmente "futon da distendere" o "disteso") e il piumino che si chiama kakebuton (掛け布団, letteralmente "futon di copertura"). Sia il materasso vero e proprio che il piumino si piegano sufficientemente da poter essere arrotolati e messi via durante il giorno. Il posto dove stanno è un grande armadio che si chiama ‌oshiire (押入れ). La stanza dove si dorme di notte così si libera e può essere usata per altri scopi durante il giorno, mentre la stanza degli ospiti può letteralmente essere una stanza di tutti i giorni perché non è impallata da un letto all'occidentale.

L'altro elemento che caratterizza le camere da letto è la presenza dei tatami, una stuoia di giunco e paglia intrecciati che è a tutti gli effetti una forma di pavimentazione delle stanze giapponesi. Infatti, in giapponese la stanza con pavimento di questo tipo viene chiamata washitsu (和室, "stanza giapponese"), in contrapposizione alla yōshitsu (洋室, "stanza occidentale"). Il tatami è compatto (l'anima è fatta da un'asse di compensato chiamata tatamidoko, 畳床) ma in realtà abbastanza morbido (e delicato) da poter essere usato per dormirci sopra con il materassino futon in maniera più confortevole del parquet delle nostre case. Non bisogna andarci sopra con le scarpe sennò si sporca e probabilmente si danneggia perché paglia e giunco (detti tatamiomote, 畳表) si rovinano sfregandoli: è uno dei motivi per cui si gira a piedi nudi o con le calze nelle case tradizionali giapponesi. La fettuccia nera o di altro colore lungo i bordi si chiama invece tatamiberi (畳縁).

Il tatami ha un sacco di proprietà positive: è termicamente isolante, è traspirante (infatti c'è chi lo usa in occidente come fondo nei letti in legno che poi adoperano una specie di futon al posto del materasso tradizionale) e soprattutto è molto più che non una semplice copertura.

Il tatami è, infatti, anche un'unità di misura molto antica. Un tatami a Kyoto misura 0,955 per 1,91 metri (kyōma 京間, "dimensione di Kyoto"), a Nagoya 0,91 per 1,82 metri e a Tokyo 0,88 per 1,76 metri (edoma, 江戸間, "dimensione di Edo"). Il più diffuso in Giappone è il ‌kyōma. Questo rettangolo spesso tra 5,5 e 6 centimetri diventa l'unità di misura delle superfici abitative e commerciali, anche se il pavimento è in terra battuta o in qualsiasi altra cosa. E serve per esprimere le "regole" sulle dimensioni dei differenti ambienti, aggiungendo alla parola tatami il suffisso -畳, -. Una stanza da te è di solito 4 tatami-jō e mezzo, mentre un negozio è 5 tatami-jō e mezzo.

Qui le cose si fanno leggermente più complesse perché le mezze misure e i tre quarti in realtà hanno dei nomi particolari: mezzo tatami è chiamato hanjō (半畳) mentre uno lungo tre quarti si chiama daimedatami (大目畳 o 台目畳) e serve soprattutto nelle stanze dedicate alla cerimonia del tè (chashitsu).

Con questa specie di mattoncino lego, di affascinante primitiva architettonica, i giapponesi costruiscono tutti i loro ambienti.

Due ultime cose: il dojo dove si praticano le arti marziali oggi ha tatami fatti di materiali sintetici perché sono più resistenti all'abrasione e meno costosi. Invece, visto che citavamo la cerimonia del tè, processo in cui ovviamente c'è un braciere per scaldare l'acqua che deve stare da qualche parte in una stanza piena esclusivamente di superfici altamente incendiabili, con molto pragmatismo i giapponesi appoggiano il suddetto braciere in una zona sicura e di forma quadra dove i tatami non chiudono il mosaico. Quella buca è oltretutto laccata (rendendola così ignifuga oltre che esteticamente deliziosa) e ha un nome specifico: robuchi (炉縁).


Speciale lavoro

(proprio come si faceva una volta nei vecchi giornali)

Lavorare sodo contro lavorare e basta: una bella gara. Come sa chi legge regolarmente Mostly Weekly, mi incuriosisce molto il fenomeno concomitante delle Grandi Dimissioni, delle Dimissioni Silenziose e delle aziende che cercano i lavoratori passivi (opens new window). Lo vediamo anche con le politiche di Back to Office, in cui i manager non vedono l'ora di riportare le persone in un ufficio dove possono vederle e controllarle. Trovo questo fenomeno interessante perché penso che stiano accadendo due cose contemporaneamente.

Da un lato, credo che molte aziende siano talmente in crisi da non riuscire ad articolare chiaramente ciò che stanno facendo. Non hanno una missione chiara, non riescono ad articolare i loro obiettivi e sicuramente non riescono ad articolare il modo in cui il lavoro di un determinato dipendente contribuisce a raggiungerli. Quindi è chiaramente uno schifo lavorare in quelle aziende. Se poi si aggiungono le pandemie, il lavoro a distanza e l'aumento della depressione generale, si ottiene un gran numero di dipendenti spenti.

Dall'altro lato, invece, ci sono anche molte persone che sembrano brave sulla carta, ma che non sono in grado di lavorare o non sono disposte a farlo, e quindi usano tutte queste idee come scusa per non lavorare.

Quindi, abbiamo due realtà simultanee: un lavoro di merda, che la gente dovrebbe abbandonare, e dipendenti di merda, che le aziende dovrebbero licenziare.

Cambiamo prospettiva. Dal punto di vista aziendale, i dirigenti sono convinti che dovrebbe essere giusto pretendere dipendenti che siano energici e impegnati al 100%. E sceglierli sulla base di questo criterio, sia prima che dopo l'assunzione. Ma allo stesso tempo credo che, dal punto di vista del mercato, un'azienda sia più attraente se riesce ad articolare la propria visione e la propria storia. Non solo durante l'onboarding, ma costantemente.

È un momento difficile per le aziende. Bisogna essere abbastanza morbidi per essere attraenti, ma essere troppo accomodanti attira e trattiene il tipo di persone sbagliato. A questo punto uno potrebbe citare libri sui lavori del cacchio e cose del genere. Preferisco invece che andiate a leggere la storia di Shoji Morimoto, un giapponese di 38 anni che si è inventato un lavoro come "persona che non fa niente" (opens new window): si fa pagare per sedersi accanto alla gente o mangiare con loro o avere semplici e brevi conversazioni. Ecco, la gamma dei lavori possibili arriva sino a lì. Come possiamo aspettarci una soluzione a questi problemi se non ci sono valori e idee comuni?

Qual è l'alternativa al lavoro tradizionale? Quello basato sull'economia delle reti? Tutti con la partita iva che guadagnano dalla nostra capacità di creare engagement sui social? Ma se il ceo di Patreon decide di licenziare (opens new window) il 17% dei suoi dipendenti (80 persone) e chiudere gli uffici europei di Berlino e Dublino (adesso rimane solo Porto), forse questo vuol dire che qualche difficoltà per la creative economy c'è. Non ne parla nessuno però e il sogno di chi si mette in proprio e gli altri lo pagano per i fantastici contenuti che produce continua. Un po' come l'ideologia delle startup: raramente va bene, più spesso è un bagno di sangue. Ma se va in crisi l'azienda che fa da piattaforma planetaria per le startup, questo è un problema differente e ancora peggiore.

Ci sono anche altre strade che potremmo percorrere per dare un senso alla vita e al lavoro in un colpo solo. L'esempio per un caso è nella cronaca di questa settimana. Il fondatore di Patagonia ha deciso di dare tutte le sue azioni (e quelle della sua famiglia) a una fondazione non-profit che a sua volta ha l'obiettivo di distribuire i guadagni dell'azienda a soggetti impegnati per preservare il pianeta. Patagonia è una società completamente privata che vale circa tre miliardi di dollari e fa utili per 100 milioni all'anno. La mossa di Yvon Chouinard (che ha detto: "Da oggi il nostro azionista unico è il pianeta Terra") è stata molto coraggiosa, come scrive il New York Times (opens new window). Nel mio piccolo mi sono chiesto (opens new window) cosa succederebbe se Apple ricomprasse tutte le sue azioni, si delistasse e facesse lo stesso: manifestasse cioè coerenza con i suoi stessi principi principi? Pioverebbe una montagna di soldi che potrebbe spostare molte cose, per la salvaguardia dell'ambiente.

Invece, altra lettura sempre sulla psicologia delle aziende e il loro ruolo nel lavoro e nella vita delle persone: se Apple non avesse più una "Next Big Thing", non avesse cioè più prodotti straordinari da presentare, ovverosia cose rivoluzionarie come il Mac, l'iPod, l'iPhone, l'iPad? Allora, secondo Jean-Louis Gassée (opens new window), Apple comincerebbe a lavorare a una fitta rete di servizi che accompagnino il lento declino dei suoi un tempo rivoluzionari prodotti. È una teoria, perlomeno, ma è anche un cambiamento sistemico enorme.


L'opinione di Oliver

L'Istat ha recentemente comunicato (opens new window) alcuni cambiamenti nel mondo del lavoro, tra i quali spicca la gran quantità di persone che si sono licenziate dal posto fisso: 600mila. Il valore va letto nel contesto (c'è stato un blocco del turnover durato due anni) però è in ogni caso il segnale di un problema di rapporto persona-lavoro-azienda che vale la pena approfondire anche oltre il tema della Great Resignation che, come come avete visto, è il tema di questo numero.

L'amico Oliver Reichenstein ha recentemente scritto questa breve considerazione (opens new window) sul tema che trovo molto interessante vista la sua esperienza nel settore. Gli ho chiesto se potevo pubblicarla qui, non ci sono problemi e quindi buona lettura:

I nostri figli indossano sempre gli auricolari. Non è che ci odino o che ci ritengano noiosi. È solo che per loro è comodo indossarli per non toglierli. Possono ascoltare la loro musica preferita tutto il tempo. Non abbiamo regole per gli auricolari. E questo è un errore da pigri.

Finiamo per dover dire tutto due volte e poi, quando li accompagniamo all'allenamento e li andiamo a prendere come tassisti, mentre loro annuiscono ai loro brani preferiti noi guardiamo dritto davanti a noi e ci sentiamo degli estranei. Non abbiamo regole per gli auricolari. Oggi le cose cambiano.

Se non ci sono regole, tutti noi scegliamo il modo più facile e conveniente. Stabilire regole giuste e corrette, perfezionarle e rispettarle è un lavoro duro. Non avere regole è da pigri e porta alla pigrizia.

Questo mi porta al lavoro a distanza. È fantastico, ma ha bisogno di regole. Come la maggior parte delle aziende, abbiamo fatto degli esperimenti. Per quanto ne so, le regole sono abbastanza semplici. Ecco cosa abbiamo imparato lavorando a distanza per 15 anni:

  1. È necessario comunicare molto meglio se non si è seduti nella stessa stanza. Questo non significa riunioni sempre più lunghe e chiacchiere senza senso. È necessario prendersi cura l'uno dell'altro, ascoltare attentamente e parlare chiaramente.
  1. I fusi orari sono fondamentali. Se le persone che si occupano della gestione si trovano all'opposto del pianeta e comunicate sempre in modo asincrono, le cose diventano frustranti molto rapidamente. Le domande e le risposte mancate si trasformano in grossi ritardi e problemi. Dovete essere in grado di comunicare in tempo reale.
  1. Riunitevi regolarmente via audio. Non create gruppi troppo grandi. Raccontate alle persone cosa avete fatto e cosa farete e ricordate loro chi siete come persona.
  1. Se vi trovate nella stessa regione, incontratevi fisicamente. Le persone sono molto di più della voce e della vista. Dimostrate di rispettare e apprezzare le persone con cui lavorate. In assenza di una pandemia, diventa strano non incontrarsi mai se si vive nella stessa città, quando si potrebbe facilmente farlo.
  1. Lavorare e migliorare costantemente le piccole e grandi regole della collaborazione. Lavorare a distanza a questo livello è una novità per la maggior parte di noi. Non è solo fantastico. Le sfide cambiano solo un po'. Il coordinamento attraverso i fusi orari può essere complicato. L'isolamento può essere terrificante.

Come ho detto, lavoriamo a distanza da oltre 15 anni. Abbiamo imparato molto, ma non ci sembra ancora di aver risolto tutto. Lavorare a distanza sembra bello, ma ormai sappiamo tutti che comporta anche delle sfide di cui bisogna occuparsi.


Italiana

Me lo chiedo da sempre e ammetto che sia come uno di quegli argomenti irrisolvibili trattati da Wittgenstein (il filosofo, non il blog di Luca Sofri) tipo che per il credente la religione è fede, invece per l'ateo è superstizione. Però, dai: perché esistono le monarchie nel XXI secolo? Che senso hanno? Il "culto della monarchia" è «la più alta venerazione della disuguaglianza». Il Post ci prova a spiegare (opens new window), purtroppo la tocca piano e pure didascalica oltre che citando fonti esclusivamente anglofone, che è il limite più forte: si vede leggono solo l'inglese. Ma almeno è un inizio.

Le storie che piacciono ai giornali italiani sono fatte così: una innovazione che cambia qualcosa, senza un perché. Ad esempio, l'azienda che con droni e robot adesso raccoglie le mele in modo automatico (opens new window). Fantascienza? Disastro per l'occupazione? Tecnologia straniera (fornita da Israele) a fronte di analoghe tecnologie italiane? Boh, il videoracconto (un video aziendale in inglese) tutto questo non lo dice, forse perché rientra nella categoria dello "strano ma vero" che tanto piace.


Il danno e la beffa

L'impennata dei costi energetici, spiega il Guardian (opens new window), minaccia il futuro dell'auto elettrica. Lo sostengono però dei dirigenti che sono alquanto sospetti: quelli dell'industria automobilistica tedesca, che, ricordiamoci, hanno barato in maniera oscena (opens new window) per truffare le certificazioni (e non solo (opens new window)) e fanno la guerra con il cannone alle auto elettriche e alla Tesla in particolare. Tuttavia, sostengono, l'aumento dei prezzi dell'elettricità, dei costi e della disponibilità delle materie prime, la cronica carenza di pezzi di ricambio e la diffusa riduzione del reddito disponibile stanno avendo un impatto considerevole sulla produzione e sulle vendite di automobili in generale e di quelle elettriche in particolare. La cosa buffa delle auto elettriche è che con gli incentivi (opens new window) sono particolarmente convenienti, ma quello a cui non pensiamo quando compriamo un'altra auto a motore termico, è che in realtà con le tasse (opens new window) stiamo pagando noi lo sconto di chi invece ne prende una elettrica. Tanto vale approfittarsene, no?


Multimedia

Se volete vedere un video spettacolare da veri nerd su come funziona un aereo, fatto tutto in grafica 3D, questo è il vostro video (opens new window): quelli di Animagraffs sono dei maghi (e il voice-over in inglese è chiarissimo, anche se pieno di nomi tecnici. Ve l'ho detto: è per nerd. La parte per la cabina di pilotaggio è fantascienza (opens new window)).

Nel 1996 The Death of Yugoslavia (opens new window) vinse i premi BAFTA e Peabody. È un documentario della BBC in sei episodi (opens new window) sul conflitto che ha causato la dissoluzione della Jugoslavia e le guerre nei Balcani. Si distingue da molti altri documentari per essere una registrazione veramente spassionata degli eventi. Nessun sensazionalismo, nessuna presa di posizione, solo i fatti. Se siete stanchi dello stile dei documentari di Netflix (un sacco di teste parlanti montate velocemente per ottenere dei bocconi sonori, musica drammatica, rievocazioni) allora questo è quello che fa per voi. Purtroppo sono ancora troppo pochi i documentari prodotti in questo stile. Sembra che gli episodi siano su YouTube (opens new window).

Un altro documentario che attraversa ogni decennio del 1900 e spiega come la psicologia di Freud e il nuovo campo del marketing abbiano completamente rimodellato la società. Cerca di far capire il "perché" di come funzionano le cose nella società americana. Questo film è probabilmente più adatto a chi ha più di 40 anni e ricorda alcuni degli eventi: The Century of the Self (opens new window) di Adam Curtis.

Visto il tema di questa settimana, ecco un documentario che dimostra come sia possibile trovare il flow (la "zona", ma anche la felicità) nel lavoro è Jiro Dreams of Sushi (opens new window) (2011), che racconta la storia del maestro cuoco giapponese Jiro Ono, che è uno Shokunin, un artigiano esperto che si sforza di raggiungere la perfezione e che prova grande soddisfazione e gioia nel desiderare di migliorarsi poco a poco. Lui lo spiega così: "Devi dedicare la tua vita a padroneggiare la tua abilità. Questo è il segreto del successo ed è la chiave per essere considerati onorevolmente. [...] . Anche alla mia età, dopo decenni di lavoro, non credo di aver raggiunto la perfezione. Ma mi sento estasiato tutto il giorno. Amo fare il sushi. Questo è lo spirito dello Shokunin". Si trova su Netflix.

Una cosa che fa parte esclusivamente della cultura britannica, ma che vale la pena di condividere. La sequenza finale dell'episodio 11 (opens new window) dell'eccellente serie di Jacob Bronowski del 1973, The Ascent Of Man (opens new window). Fu commissionata da David Attenborough per l'allora nuovo canale 2 della BBC come contrappunto scientifico a Civilisation (opens new window) del 1969. Lo stesso Jacob Brownowski ha dichiarato che questa scena non è stata da lui sceneggiata né provata. "Le parole mi sono venute spontanee", ha detto in un'intervista. Parole che vengono dal cuore. Nessun balbettio, nessun grugnito, nessuna ricerca neanche momentanea del termine giusto. Solo la convinzione di ciò che sta dicendo e la disinvoltura nel rovinare un paio di costosi mocassini di Gucci per far capire il proprio punto di vista.

E infine: The Society of the Spectacle (opens new window), remake del 2013 ispirato dal lavoro omonimo (in francese) di Guy Debord. Straniante e favoloso.


Tsundoku

La crisi climatica andrà fuori controllo a meno che il mondo non applichi un "freno d'emergenza" al capitalismo ed elabori un "nuovo modo di vivere", secondo l'accademico giapponese Kohei Saito il cui libro sul marxismo e l'ambiente, Capital in the Anthropocene (opens new window) (in corso di traduzione in inglese), è diventato un bestseller a sorpresa. Il messaggio di Kohei Saito, professore associato all'Università di Tokyo, è semplice: la richiesta di profitti illimitati da parte del capitalismo sta distruggendo il pianeta e solo la "decrescita" può riparare il danno rallentando la produzione sociale e condividendo la ricchezza. In termini pratici, ciò significa porre fine alla produzione di massa e al consumo di massa di beni che comportano sprechi, come la fast fashion. In Capital in the Anthropocene, Saito sostiene anche la decarbonizzazione attraverso la riduzione degli orari di lavoro e la priorità ai lavori essenziali "ad alta intensità di lavoro", come il caregiving. "Se – dice Kohei Saito – le politiche economiche hanno fallito per 30 anni, allora perché non inventiamo un nuovo stile di vita? Improvvisamente c'è il desiderio di farlo". Aggiungo che la risposta al Covid-19 ha dimostrato che un cambiamento rapido non è solo auspicabile, ma possibile. Quindi, perché no?

Sandfuture (opens new window) di Justine Beal è un resoconto della vita e del lavoro dell'architetto Minoru Yamasaki che porta l'autore a riflettere su come (e per chi) si scrive la storia dell'architettura. La foto della copertina (opens new window) è stata scattata nel 1977 da Fred Conrad (opens new window) ed è semplicemente spettacolare perché congela un'intera epoca e New York City in un unico fotogramma. L'autore del libro, Justin Beal, esplora in generale la figura dell'architetto e del ruolo che copre nella società: ecco un altro frammento (opens new window) da Sandfuture.

Un libro fenomenale, che ha cambiato la vita a moltissimi lettori (ed è valso un Pulitzer al suo autore, l'allora giovanissimo Douglas Hofstadter), è Gödel, Escher, Bach (opens new window). Questa è una ottima e molto approfondita recensione (opens new window).

Lo so che non è un libro ma è talmente fuori dal mondo di quello che uno ragionevolmente si aspetta che non potevo non metterlo: dovete sapere che Art Garfunkel, la metà del duo Simon e Garfunkel, è stato per tutta la sua vita un lettore voracissimo e molto metodico: dal 1968 infatti si scrive tutti i libri che legge e a lungo anche le pagine. La lista eccola qua (opens new window), compresa quella più breve (opens new window) dei suoi 99 libri preferiti. Ad oggi ha letto 1327 libri, a quanto pare. C'è un po' di tutto, ma non qualche libro-game, che invece, secondo il New Yorker (opens new window), sono libri che ancora oggi vanno alla grande. Il tema sollevato da Garfunkel però è interessante: tenere traccia di quel che si legge, il catalogo di una biblioteca per la mente appoggiata su qualche foglio di carta (e adesso una pagina web).

Portando il discorso più avanti, cosa troviamo? Beh, tanta roba. Qui ad esempio la premessa è molto impegnativa: come coltivare una biblioteca personale. E anche lo svolgimento: "Una fuga, un rifugio, un luogo di piacere, un luogo di memorie. Seguite questi passi per assicurarvi che la vostra biblioteca sia proprio come la desiderate". Tuttavia, lungi dall'essere una mera guida how-to o un semplice articolo di self-help acchiappaclick, questo breve saggio di Psyche (opens new window) spiega alcune cose importanti su quell'accumulo di libri più o meno grande che avete in casa e che potreste in qualche maniera coltivare. (Viene anche citata la traduzione inglese del saggio di Italo Calvino Why Read the Classics? (opens new window) (pdf). Maledetto Calvino, suona benissimo anche in inglese!).


Coffee break

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Al-Khwarizmi

Un fotografo abbastanza noto nel suo settore, Austin Mann, ha recensito l'iPhone 14 Pro Plus (opens new window). Gli è piaciuto molto ma ha anche evidenziato alcune carenze, sia di interfaccia che di facilità nel gestire i nuovo flussi di lavoro tra computer, tablet, telefono. Interessante e bellissime foto della Scozia.

Finisce che poi uno le cose più ovvie si dimentica di citarle: questo è Diffusion Bee (opens new window), il software one-click (funziona come una normale app) per Mac con M1/M2 per usare Stable Diffusion in locale senza connessioni ai server. Discretamente veloce. Intanto, stanno nascendo varie comunità (opens new window) legate a questo tipo di stramba attività da levatrici di parti della creatività artificiale. E c'è chi ha chiesto alla AI (opens new window) come si immagina l'Antico Testamento.

Un regalino con una cosa spero utile: inserite il link di un sito strapieno di roba su Content-Parser (opens new window) e lui estrae solo il testo in formato markdown o listato html o txt senza attributi di stile. Utile, direi.

Finalmente qualcosa di veramente utile: "mappe mentali" e "riga di comando". Ve lo spiego meglio? h-m-m (opens new window) serve a fare mappe mentali dalla riga di comando. Oh yes. (Sennò c'è grit (opens new window)).

Ah, c'è anche leon (opens new window), un assistente personale digitale che ve lo installate in locale (o al limite sul vostro server) ed è open source.

Una disamina veramente (ma veramente) lunga dei vantaggi di Lisp e Racket in particolare fatta da un programmatore curioso ma che non si ritiene particolarmente bravo. Molto interessante anche come generica lettura (opens new window) ma mi fa pensare soprattutto che dovrei cambiare un po' di cose nel layout del mio sito, oltre che del suo, quando scrivo articoloni senza fine. Mamma che brutto. Qui invece (opens new window), in modo più tradizionale, si parla del buon vecchio Perl.

Una collezione di siti per esplorare strani, nuovi siti web: Cloudhiker (opens new window), Jumpstick (opens new window), The Useless Web (opens new window). Viral Walk (opens new window), Bored Button (opens new window), Url Roulette (opens new window), Yesterweb (opens new window), Wiby (opens new window), The Old Net (opens new window), Dark Roasted Blend (opens new window), Mick Schroeder (opens new window), The Forest (opens new window), Restorativland (opens new window) (aka Geocities), Useful inter web (opens new window).

Vorreste prendere un caffè con Brian Kernighan? Sì? Beh, ecco qua, ci ha pensato Computerphile (opens new window), cioè il professor Brailsford, lo straordinario influencer very old style della computer science americana.

Le regole del gioco di Wikipedia Speedruns (opens new window) sono molto semplici: vi verrà dato un articolo di Wikipedia iniziale e un articolo di Wikipedia finale. Il vostro obiettivo è quello di navigare dall'articolo iniziale a quello finale utilizzando solo i collegamenti all'articolo. Altre cose da tenere a mente: non è possibile utilizzare lo strumento di ricerca del browser. Ricaricando la pagina o facendo clic sul pulsante Indietro del browser, la ricerca terminerà. Ricordate che la fortuna è regina, quindi indossate il vostro cappello fortunato, prendete i vostri calzini fortunati e date inizio ai giochi!

Sta rimbalzando talmente da tutte le parti, questa storia dell'ultimo uomo nel business dei floppy disk, che vale la pena che ve la proponga anche io (opens new window). Sta girando tanto perché, qualche tempo fa, è stata annunciata la cessazione dell'ultima fabbrica che li produce. E il Giappone (opens new window), oltre a svariate aziende con impianti industriali numerici che hanno vite utili di 40-50 anni (opens new window), in qualche modo si sta adeguando. Peccato, perché si potevano usare per fare cose carine, come questo fantastico sistema Raid 0 (opens new window) (c'è anche il video così vedete il momento angolare di una trentina di lettori di dischi Usb esterni (opens new window)). Ah, si può fare anche con le chiavette Usb (opens new window) (basta avere l'hub Usb alimentato).


La concorrenza
La concorrenza ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

L'astronomo di Harvard Avi Loeb non vuole lasciar perdere. Nel 2017, un misterioso oggetto soprannominato Oumuamua è sfrecciato nel nostro sistema solare e lui giura che si trattava di un'astronave aliena. Di recente, altri scienziati hanno cercato di smentirlo, ma lui non demorde e, secondo un documento del 2021, ha le sue ragioni (opens new window). È ipotizzabile che fosse parte di una missione di esplorazione a lunghissimo raggio creata da essere che vivono con tempi enormemente più lunghi dei nostri? Ma vogliamo veramente saperlo? Vogliamo veramente incontrare gli alieni? Io prima di incontrare gli alieni vorrei sapere cosa mangiano o se hanno l'abitudine di disinfestare i pianeti dalle forme di vita primitive prima di visitarli.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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