[Mostly Weekly ~174]

Berlusconi's Flying Circus e altre amenità


A cura di Antonio Dini
Numero 174 ~ 3 luglio 2022

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Ah, da oggi mi lavo la faccia (opens new window) con l'Amuchina. Che schifo!

Intanto, buona lettura.


I am not sure that I exist, actually. I am all the writers that I have read, all the people that I have met, all the women that I have loved; all the cities I have visited
–– Jorge Luis Borges



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Editoriale

Dove eravamo rimasti? Praticamente a un anno dall'ultima puntata, Riccardo Palombo e io l'altro giorno siamo tornati con una nuova puntata XL di Tilde (opens new window), il podcast che tanto è piaciuto ad alcuni. Avevamo voglia di andare avanti, ci siamo anche visti a Roma un po' di tempo fa e insomma, alla fine è stato un gran divertimento. Mi sa che in autunno ripartiamo!

Intanto, però, questa settimana è anche finita la prima stagione di Tsundoku, il mio programma radio su Contattoradio dove ho parlato di libri, tanti libri (ma a colpi di cinque minuti l'uno). Datemi un attimo di tempo e riorganizzo le puntate per farvele sentire comodamente e le troverete sul mio sito.


Un'idea

C'è stato un momento, verso la fine degli anni Ottanta, che a Roma è venuta a maturazione una nuova generazione di giovani artiste e artisti melodici italiani. Probabilmente hanno contribuito vari fattori, perché l'industria culturale in generale e quella discografica in particolare sono alquanto difficili. Tra Grazia Di Michele e Luca Barbarossa (per capire a chi faccio riferimento) c'era anche Irene Fargo. Che è morta in questi giorni (opens new window), a 59 anni. Forse la più dotata tecnicamente, certamente la meno fortunata, ha cantato a Castrocaro, Sanremo e in varie altre competizioni, più tanta televisione. Ma non è mai venuta fuori. La sua generazione è rappresentata secondo me dal dialogo iniziale con Andrea Occhipinti (opens new window) a Sanremo 1991, uno di quelli dalla conduzione più disgraziata (l'altra conduttrice era Edwige Fenech) e vittima di un più generale cambio d'epoca e generazionale. Chi sta tra una generazione e l'altra viene, suo malgrado, tritato. Pochi anni, addirittura pochi mesi dopo e invece si diventa campioni di un nuovo mondo. Irene Fargo, che si chiamava Flavia Pozzaglio ed era nata nel 1962 a Palazzolo sull'Oglio e ieri è morta a Chiari, sempre in provincia di Brescia, ha avuto tra le tante soprattutto questa sfortuna: essere sbocciata a cavallo di due stagioni diverse. Pur essendo tecnicamente molto dotata, i suoi produttori e autori diciamo che non l'hanno valorizzata (opens new window). Ha cambiato varie volte genere e provato strade differenti ma non c'è stato verso. Se la "generazione di mezzo" di chi adesso ha tra i cinquanta e i sessanta avesse bisogno di una santa e martire, lei sarebbe la candidata ideale.

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Paura?
Paura? ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Una cosa divertente sulla libertà di stampa americana: un'azienda che fa forniture elettriche non ha gradito un articolo di un giornalista e l'ha fatto seguire (opens new window), l'ha schedato e si è preparata un bel dossier su di lui nel caso il problema si ponesse di nuovo. Questo gli Usa. Figuriamoci il resto del mondo.

Da noi invece il dibattito è un altro: perché un giornalista che copia in Italia viene osannato (opens new window) (all'estero lo licenziano con ignominia).

La cultura aperta ha molti vantaggi ma anche alcuni rischi. Un misterioso collaboratore cinese di Wikipedia, soprannominato "Zhemao", ha trascorso dieci anni inventando resoconti di fantasia (opens new window) della storia russa, scrivendo oltre 200 articoli e contribuendo a centinaia di altri. Da allora gli editori di Wikipedia hanno notato gli account falsificati (dopo aver ospitato per dieci anni i contributi falsi senza saperlo) e li hanno "rapidamente" tolti dall'enciclopedia online.

Il mondo attorno a noi non esiste, è una costruzione del nostro cervello. Anzi, del mio cervello, visto che non ho strumenti per sapere oggettivamente se esiste anche un punto di vista altro-da-me. Lo Scientific American si lancia in un argomento vecchio di secoli se non di millenni per raccontare come (opens new window) l'attività dei neuroni serva a pescare elementi dal mondo fisico attorno a noi per costruire una realtà che ci consenta di sopravvivere e persino di prosperare (entro certi limiti). Sempre sulla stessa rivista, c'è anche questo potentissimo articolo (opens new window) sulla "derealization", la sindrome psichiatrica che porta a un profondo senso di irrealtà e che solleva delle domande molto profonde dal punto di vista morale e filosofico (ma comunque chi ci casca dentro, bene non sta).

È in un inglese maccheronico e non viene più aggiornato da tempo, ma questo Berlusconi's Flying Circus (opens new window) rimane sempre un modo fantastico per far apprezzare a uno straniero la storia di uno dei prodotti da esportazione italiani più famosi nel mondo: Silvio Berlusconi.


Yamato

Izakaya (居酒屋) La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è izakaya (居酒屋), cioè un tipo di locale (l'equivalente della nostra osteria o del pub inglese) letteralmente sedersi (i), bere una bevanda alcolica (zaka), negozio (ya). Cioè, potremmo dire, (il posto per) sedersi e bere una bevanda alcolica (e mangiare qualcosa, ma questo è un di cui). All'opposto c'è il tachinomiya (立ち飲み屋), il negozio (ya) in cui si sta in piedi (tachi), per bere (nomi) qualcosa. Un po' come i nostri bar "piccoli", senza tavolini, dove si fa colazione in piedi davanti al bancone o si beve qualcosa.

L'izakaya è chiamato familiarmente anche akachōchin (赤提灯), "lanterna tonda (提灯) rossa (赤)", per via dell'insegna fatta da una lanterna di carta di color rosso (che non ci deve far pensare ai quartieri a luce rossa, mi raccomando!). Gli izakaya vengono chiamati così solo se non appartengono a una delle catene di locali che hanno ricoperto soprattutto le città giapponesi di quello che è concettualmente l'equivalente di Starbucks o Pet's Coffee negli Usa.

Chi viaggia per il Giappone, sopratutto nelle città, non solo conosce bene questo tipo di locale, ma può sicuramente ricordare anche qualche piccola avventura, qualche aneddoto. A me viene in mente il microscopico akachōchin del fratello della mia amica Akemi, ricavato letteralmente in un sottoscala "cieco" della struttura di una stazione della JR East di Tokyo. Un piccolo locale per amanti della musica "tosta": il proprietario e le due persone che lavoravano per lui sono ex musicisti heavy rock giapponesi; solo questa una storia che un giorno andrebbe raccontata.

Chi invece viaggia nel resto del Giappone, quello rurale, meno conosciuto e decisamente affascinante, incontra invece i resti di un genere che sta scomparendo: i kissa (喫茶), abbreviazione di kissaten, cioè i caffè. Sono popolari anche nelle grandi città, ovviamente, ma là si sono trasformate e sono diventati bar in senso più occidentale. Invece, le kissa di una volta, quella immortalata nel librone (vedi sotto) di Craig Mod, Kissa by Kissa, si trovano ancora in provincia. Il librone costa davvero caro (è il suo modo di finanziarsi) ma è una lettura notevole per l'hipster che vive dentro di voi.


Italiana

Non c'è solo Sergio ma anche Pietro Castellitto, che racconta un po' di cose in una di quelle interviste del Corriere (opens new window) che forse non si reggono più (vedi dopo). Mi ha fatto voglia di vedere la storia del pupone, Francesco Totti.

Prendetelo come un caso di coscienza. Questa intervista a Paolo Crepet (opens new window), dopo un crescendo di interviste strampalate e piacevoli del Corriere nelle scorse settimane (particolarmente sgangherata quella di Walter Veltroni, ma vabbè), non mi è piaciuta per niente. Non ho capito se è solo perché mi ha stufato l'approccio un po' sciatto e casuale (una versione dei poveri dell'ascensore alto-basso di Paolo Mieli, che già era la versione dei poveri del giornalismo intelligente che graffia praticato negli anni Cinquanta e soprattutto Sessanta prima del riflusso ideologico e politico degli anni Settanta) oppure è proprio il personaggio che mi fa senso. Penso sia soprattutto la seconda ma anche la prima.

Riprendendo il ragionamento dello scorso numero di Mostly Weekly su chi specula sulle spedizioni facendo poi levitare i prezzi, questa settimana c'è anche un articolo interessante qui (opens new window) su Il Post

Sei ville italiane d’autore in vendita (opens new window): immerse in scenari naturali mozzafiato su scogliere a picco sul mare, in campagna o tra i boschi, 6 meraviglie architettoniche progettate da Ponti, Scarpa, Caccia Dominioni e altri grandi nomi reclamano un nuovo proprietario. Uno molto ricco.


Multimedia

Godete pure con calma: I am a Woman (opens new window) cantata da Helen Reddy che, credo nella stessa giornata, canta anche con i Bee Gees, To Love Somebody (opens new window). Lei è un personaggio unico, iconico negli anni Sessanta e Settanta il volto (proprio con I am a Woman) della second-wave femminista. Questo ruolo solo in parte cercato l'ha anche condannata e fatta dimenticare. È morta nel 2020 dopo alcuni anni di sofferenza per una malattia neurodegenerativa. Mai vera rocker e mai veramente l'alternativa a Mary Poppins, comunque ci è andata molto vicina: Candle on the Water (opens new window).

L'altra sera su Netflix ho cominciato a guardare il Tenente Colombo (opens new window) in originale, cioè Columbo. Il primo episodio è fantastico: scritto da Steven Bochco e diretto da Steven Spielberg. Mi è tornato in mente che è stato Colombo, interpretato da Peter Falk, il primo a chiedere "Ah, one more thing (opens new window)". Una vera e propria firma del personaggio (opens new window). Che secondo me è stata una fonte di ispirazione anche per l'altro tizio specializzato in One More Things (opens new window).

Il suono di questo amplificatore da studio per chitarra (opens new window) è quello che avete sentito in milioni di registrazioni. Perché il Fender Princeton Reverb del 1964 è il re degli amplificatori da studio. E il ragazzo lo suona da dio.

Mark Knopfler sta invecchiando piuttosto velocemente. Tuttavia, rimane il più grande interprete voce+chitarra che io abbia mai visto. Telegraph Road a Siviglia nel 2015 (opens new window).


Tsundoku

Craig Mod viene definito uno scrittore indipendente, un editore e un designer che lavora in California nella Bay Area e adesso soprattutto da Tokyo. Ha pubblicato saggi e articoli sul New Scientist, il New York Times e Wired. Il libro che lo definisce però è questo Kissa by Kissa (opens new window), autoprodotto e del quale parlo anche poco sopra. Siamo alla terza edizione, è bello costoso, è frutto di mille chilometri di camminata, una esplorazione attraverso il Giappone rurale sulla Nakasendō per trovare i vecchi caffè (kissa) e parlarne. Mod scatta con la sua Leica digitale, intervista con il suo taccuino fatto a mano, si intrattiene alla ricerca di storie e di momenti da catturare, e poi lavora alla costruzione del libro come manufatto artigianale e non come prodotto industriale. Oltre alle scelte tipografiche e di scrittura, infatti, il libro è creato da artigiani giapponesi ossessionati dalla conoscenza della tipografia "slow", dai tipi di carta, dalle macchine per la pressa dei fogli. Il risultato? Chi ha tirato fuori 95 dollari più spese di spedizione pare sia molto soddisfatto. Chi si iscrive al sito di Mod come supporter (opens new window) oltre all'accesso ai contenuti che lui produce digitalmente ha anche uno sconto di 40 dollari sul costo del libro.

“La queerness può salvarci”, dice Adam Nathaniel Furman. Il designer ha recentemente pubblicato Queer Spaces (opens new window), un atlante di 90 luoghi LGBTQIA+ curato insieme allo storico storico dell’architettura Joshua Mardell. Il volume è un progetto ambizioso nel suo senso più intimo. Con una carrellata di esempi di luoghi vasti e eterogenei, le pagine raccontano una delle tante minoranze da sempre escluse nelle bibliografie accademiche: Negli ambienti universitari c’è sempre un candidato che potrebbe fare riferimento a un teorico o a un -ismo o a un architetto, mettono uno scarabocchio sul muro e tutti direbbero: ‘Ah, questo mi ricorda l’oscurità nell’architettura giapponese’ o frasi del genere. Gli studenti queer che presentavano il loro lavoro dovevano inventarsi il proprio linguaggio. Ma non si può pretendere che le persone inventino tutto da zero. Questo è un libro pubblicato dal RIBA, l’Istituto Reale degli architetti britannici: anche il più anziano dei docenti non può rifiutarlo. Non dico che il libro risolverà il problema, ma il solo fatto che sia stato inquadrato pubblicamente significa che c’è anche una soluzione”.

Un libro per capire cosa sta succedendo a un livello di comunicazione quasi subconscia (come il buon marketing sa che deve essere), cioè We Need New Stories: The Myths That Subvert Freedom (opens new window) e il vecchio tema dello storytelling, quelle che io chiamo "narrazioni dominanti" e Nesrine Malik invece "miti politici", che nascondono il vero grande elefante nella stanza: il terrorismo dell'uomo bianco. Perfetto.

C'è un disegnatore di fumetti che è nato in una famiglia mormone. Si chiama Noah Van Sciver, poi dopo la separazione dei genitori la sua storia ha preso un'altra direzione però quel tratto fondante della sua identità, cioè la religione di origine, è rimasto un dubbio vivo, pulsante e, fortunatamente almeno per noi, aperto ad esplorazioni successive. Come per esempio nel libro a fumetti Joseph Smith and the Mormons (opens new window) che, dice il New Yorker (opens new window), è molto bello e anche importante. Tra l'altro l'autore scrive solo dialoghi, non ci sono didascalie o altri strumenti narrativi testuali per contestualizzare e muovere la storia, e questo porta a un tipo di narrazione molto interessante.


Coffee break

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Al-Khwarizmi

Questa settimana che si è chiusa, il 29 per la precisione, è la data in cui quindici anni fa è stato messo in commercio il primo iPhone (opens new window). Interessante ricorrenza (opens new window). Ma casualmente ho in cascina da un po' di tempo quest'altro articolo in cui si fa la lista dei 20 cd (opens new window) che Apple aveva fornito con i primi iPod dati in prova alla stampa: all'epoca non c'erano gli store online e la musica sugli iPod era solo rippata dai cd. Quindi, per non violare la legge, non solo Apple aveva precaricato gli iPod con album scelti da Steve Jobs stesso, ma aveva comprato e fornito anche i venti album per fare in modo che fosse tutto legale.

È da pochissimo uscita la versione 9 (opens new window) di Vim. Tra le altre cose, con una versione nuova del suo linguaggio di scripting, che ora è Vim9 script. C'è un lavoro importante di ottimizzazione del modo con il quale funziona (compilazione di alcune parti in byte code), di gestione della compatibilità con le precedenti versioni del linguaggio di scripting e infine una evoluzione nella sintassi per avvicinarlo di più ai linguaggi di programmazione mainstream come JavaScript, TypeScript e Java. In futuro arriveranno anche le classi. La cosa più divertente delle note? "There will surely be a Vim 9.1 release. Nobody knows when." Classico Bram Moolenar (ehi, leggete la sua intervista (opens new window), vale la pena).

Avete presente la calcolatrice del Mac? Ha una storia pazzesca: qui c'è il racconto-video (opens new window) ma la versione originale della storia è scritta in questa pagina (opens new window) del fenomenale di Folklore (opens new window) di Andy Hertzfeld.

Si può scrivere codice da un iPad. A parte che secondo me la domanda vera è "ma perché?", in ogni caso di risposte ce ne sono varie, a partire da questa (opens new window) proposta da un utente della rete che spiega come usare un VPS economico (KVM VPS per RackNerd da 22 dollari all'anno), rimappare la tastiera Folio per Vim in maniera da avere il tasto escape al posto di "kj" (anche in insert mode: interessante!), e un paio di altre cose, comprese le sessioni SSH persistenti nonostante i cambi di collegamento, e questo senza usare Mosh.

Già che ci siamo: questo ragazzo spiega come ha configurato il suo ambiente con zsh, tmux e vim (opens new window) (ormai dovreste considerarli vecchi amici, no?) mentre quest'altro spiega come usare vim, pandoc e make assieme (opens new window), questo offre una serie interessante di oneliners (opens new window) e quest'altro ancora ha alcuni consigli su come organizzare più progetti usando Notion (opens new window).

Una lunga spiegazione sul perché (opens new window) webKit sia il male (opens new window) e Apple brutta e cattiva (opens new window).


Traveling
Traveling ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Per me, ormai una vita fa, una vacanza "on the road" negli Usa fu fondamentale. Se pensate che questa esperienza valga la pena (decisamente sì!) questi sono una ventina di possibili itinerari (opens new window) con durate diverse, dai tre ai sette giorni. Partiamo?




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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