[Mostly Weekly ~169]

Il genere dei soldi, le crypto-scam e altre nefandezze


A cura di Antonio Dini
Numero 169 ~ 29 maggio 2022

Benvenuti su Mostly Weekly, la newsletter settimanale che esce quando è pronta.

È passato decisamente molto tempo e pochi se ne ricordano, ma nel 2002 quando sono arrivati i blog hanno "rotto" il web, introducendo un approccio legato a un flusso cronologico invertito (dal più nuovo al più vecchio) che impedisce di strutturare i contenuti e la conoscenza. Questa storia vale la pena di essere raccontata (opens new window) per capire cosa abbiamo perso ancora prima dei social.

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Intanto, buona lettura.


La cattiva notizia è che il tempo vola. La buona notizia è che sei il pilota
–– Michael Althsuler



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Editoriale

Il genere dei soldi
L'innovazione passa dalla tecnologia e la tecnologia è costruita con le startup e i soldi dei venture capitalist. Lavoriamo tantissimo sulle donne nello Stem, sulla parità di genere, sulla fluidificazione dei ruoli, sull'aiuto per sviluppare l'imprenditorialità. Ma non ci poniamo una domanda fondamentale: qual è il genere di chi decide come impegnare i soldi, cioè di chi gestisce i capitali di ventura? Beh, qui il tema della parità è sostanziale e al tempo stesso completamente sconosciuto. Secondo questa ricerca i senior partner donna delle società di venture capital europee sono il 15% (opens new window). Il che vuol dire che l'intera struttura di valutazione dell'innovazione meritevole di andare avanti ed essere finanziata è sempre preponderantemente maschile. Cioè peschiamo solo tra metà delle intelligenze e sensibilità presenti sul pianeta.

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Good morning
Good morning ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Crypto scam
C'è stato un disastro di cui si parla poco (opens new window). Persone in paesi con economie a rischio e una forte inflazione, come Argentina e Nigeria, hanno visto le stablecoin come una forma di investimento "sicuro" per proteggere i propri risparmi. Hanno perso tutto con la cripto Terra/Luna. Adesso si sta ricaricando il meccanismo con una nuova ondata di cripto 2.0 (opens new window). Una lettura di come funzionino le criptovalute dal punto di vista economico e del perché siano tossiche è che si tratta di un gioco a somma zero (opens new window): a differenza dei mercati (o delle divise tradizionali) che vengono generate producendo nuova ricchezza, il valore iniziale delle criptovalute è scaricato sulle spalle di chi le compra in un secondo momento. Cioè, sono strutturalmente uno schema piramidale, un Ponzi scheme. O, come la mette giù Miguel de Icaza (opens new window), "i prodotti Crypto sono al massimo un gioco d'azzardo in un casinò pieno di giocatori professionisti e truffatori. Le regolamentazioni dovrebbe etichettarli come tali". De Icaza dice anche che quella di Terra/Luna è una tragedia: "Storie orribili di persone normali che hanno spazzato via i loro risparmi dall'industria delle criptovalute".

A parte che io sia contrario alla speculazione in generale e in buona parte anche alla rendita rispetto al valore generato dal lavoro diretto (cioè nella mia vita non faccio "investimenti" ma cerco lavori stimolanti e se possibile ben pagati che producano utilità e benessere), la cosa delle criptovalute (non le blockchain, che sono una tecnologia interessante nonostante siano un disastro per l'ambiente (opens new window)) è drammatica. Elizabeth Warren, la senatrice democratica americana, commenta che "I normali investitori pensavano che le stablecoin fossero sicure, ma si scopre che dopotutto non sono così stabili. L'incidente di TerraUSD ci ricorda chiaramente che abbiamo bisogno di regole per proteggere gli americani dal perdere i risparmi di una vita in criptovalute volatili e rischiose". Non solo gli americani, ovviamente. Un investimento che genera ricchezza a scapito di chi arriva dopo, che è basato su furbizia e privo di regolamentazioni ma venduto fatto come se fosse "sano" e agganciato a valori conosciuti, ma incomprensibile nel suo funzionamento tecnologico alla maggior parte delle persone, è fondamentalmente una truffa. O no? Secondo me, sì.


Yamato

Nami (波)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è nami (波), onda. È una parola semplice ed estremamente comune per una lingua che si è sviluppata lungo un arcipelago nel Pacifico. È la base di tsu-nami (津波, letteralmente  "onda del porto"), ovviamente, ma anche di varie altre frasi. La seconda volta in cui l'ho incontrata è stata in una scritta piccola piccola sotto uno dei lavori più rappresentativi dell'arte figurativa giapponese, cioè La grande onda di Katsushika Hokusai. In realtà nel cartiglio c'è scritto Fugaku sanjūrokkei Kanagawa oki nami ura, vale a dire "Trentasei vedute del Monte Fuji al largo di Kanagawa sotto un'onda". È il punto di arrivo della poetica di Hokusai e sintesi di uno stile personale ma al tempo stesso altamente codificato: c'è dietro la dialettica fra lo stile ‌Shan Shui e Yamato-e da un lato e l'influenza della pittura occidentale dall'altro.

La grande onda è, nella produzione di Hokusai, la terza stampa che mette in scena una grande nami. In passato l'artista aveva già realizzato una Veduta di Honmoku vicino a Kanagawa e Imbarcazioni da trasporto in mezzo alle onde. In tutti i casi il tema è quello della nave degli uomini che sta per essere travolta dalla forza della natura. Nel caso della Grande onda c'è però una sorpresa cromatica, che è uno degli aspetti più fortemente innovativi di questa serie di vedute del monte Fuji e della Grande onda in particolare. Ed è il blu di Prussia, che è un colore molto raro e assente nella tradizione ma che Hokusai, spiega nelle sue ‌ Brevi lezioni di disegno semplificato, utilizza per "caricare" ancora di più la forza e la violenza delle onde.

È l'alba, ci sono tre oshiokuri-bune, tre chiatte porta-pesce che, di rientro dopo una notte di pesca, vengono colte dalle onde violentissime di un mare capriccioso e volitivo. Non è uno tsu-nami, che noi chiamiamo "onda anomala" ed è piatta e lunga, sommerge la linea costiera ma al largo di solito non si "rompe" con questa veemenza. Invece, queste onde in mare sono la realtà con la quale si confrontano ogni giorno i pescatori. Gonfiate dal vento. Alte quasi venti metri. Spietate. Accanto al cartiglio con il nome della stampa, c'è la firma di Hokusai, che ha un'altra particolarità. C'è scritto, infatti, Hokusai aratame Iitsu hitsu“, cioè "‌dal pennello di Hokusai che cambiò il nome in Iitsu".

Hokusai infatti ha usato una serie di pseudonimi, come era prassi dell'epoca. Solo che ha decisamente esagerato, almeno all'apparenza. Perché ne ha utilizzati più di trenta (la media era averne due o tre al massimo). C'è un motivo però se ne ha usati così tanti: li usava come tag per raccogliere opere che sviluppava con lo stesso stile artistico. Erano il suo personale modo per distinguere le singole incisioni per "periodo artistico". Per quanto riguarda La grande onda c'è da aggiungere ancora un altro aspetto: l'incisione ha avuto un grande successo e durante la sua vita ne sono state stampate più di cinquemila copie. A seconda della tiratura, Hokusai utilizzava una variazione diversa del suo nome: Hokusai aratame Iitsu hitsu, ‌Zen Hokusai Iitsu hitsu, Hokusai Iitsu hitsu, ‌Zen saki no Hokusai Iitsu hitsu.

Infine, una cosa: il blu di Prussia, che viene usato da Hokusai per la prima volta proprio in questa stampa. Si chiama così perché è un composto chimico (il ferricianuro ferroso) che venne prodotto per la prima volta a Berlino nel 1706. Si chiama "Blu di Prussia" perché veniva usato anche per colorare le divise degli eserciti prussiani prima e poi delle truppe napoleoniche). All'artista giapponese piacque talmente tanto che lo utilizzò per dare profondità al mare in moltissime delle sue altre stampe. Le sue nami sono sempre così belle anche perché sono così blu.


Elastic Wrapping

Il domopack dei container
L'avrete visto in aeroporto: la pellicola nella quale avvolgono i bagagli a modica cifra. Una decina di anni fa vennero fuori un paio di startup e il mercato si fece aggressivo e competitivo, con gente che ti rincorreva per farti il wrapping. In realtà la storia è molto più ricca di questo. Praticamente non si vede e nessuno ne parlava (finora) ma l'uso di pellicole plastiche resistenti ed elastiche per contenere gli oggetti dentro i pallet che costituiscono i mattoncini con i quali si riempiono i container (opens new window), che a loro volta sono l'unità di misura standardizzata (opens new window) della movimentazione merci nella logistica planetaria (le TEU, Twenty-foot equivalent unit), è fondamentale. Le nozioni di packaging primario, secondario e terziario (opens new window) sono fondamentali. Quindici anni fa per due anni mi sono occupato di paesi emergenti, produzione, logistica e in buona sostanza di globalizzazione. La letteratura di settore o semplicemente lo storytelling come questo (opens new window) era semplicemente impossibile da trovare, non c'era l'interesse che c'è oggi (opens new window). Eppure i container, i pallet e il wrapping elastico per contenere le scatole dei beni trasportati costituiscono l'apparato circolatorio (plasma, globuli bianchi e rossi, piastrine e via dicendo) del corpo planetario: il vantaggio in termini di tempi derivante dalla containerizzazione standardizzata dell'intero sistema logistico mondiale è la cosa che ha permesso la rivoluzione delle navi portacontainer odierne, gli interporti giganteschi e gli hub pazzeschi che sono distribuiti nel mondo, ma anche le grandi linee di distribuzione su ferro e su gomma, i centri di logistica enormi, i magazzini infiniti, le fabbriche sterminate. In pratica, la nascita e il funzionamento (opens new window) (per adesso) di una catena di movimentazione dei beni da e per le mega-fabbriche cinesi e di altre aree del mondo (sud-est asiatico e Sudamerica) inaudita, che avviene in termini di ore e di giorni, non più di settimane e di mesi.


Multimedia

Questa settimana sono scomparsi due musicisti britannici che hanno lasciato una traccia importante nella storia della musica contemporanea. Alan White è stato uno dei batteristi più importanti della scena rock-prog britannica, con un ruolo fondamentale negli Yes. Qui il concerto a Birmingham del 24 ottobre 1989 (opens new window) del quartetto Anderson Bruford Wakeman Howe, che è stato uno snodo di passaggio degli Yes durante un periodo di crisi del gruppo. Mettetelo su mentre fate altro: non ci sono immagini ma solo l'audio, che è meraviglioso.

L'altro musicista scomparso è il tastierista e fondatore insieme a Dave Gahan e Marting Gore dei Depeche Mode, Andy "Fletch" Fletcher. È scomparso improvvisamente a 60 anni. Questo concerto del 2009 a Barcellona (opens new window) è meraviglioso (qui ci sono le immagini).

È scomparso anche Ray Liotta, un attore americano di origini italiane molto famoso che ha fatto molte cose parecchio interessanti. Una scena da The Details (opens new window) insieme a Tobey Maguire. E qui invece (opens new window) da Letterman, quella volta che ha incontrato i "veri" goodfellas.


Tsundoku

Il libro del giornalista libanese Kim Ghattas, Black Wave (opens new window), ripercorre gli ultimi quattro decenni di rivalità tra Arabia Saudita e Iran mostrando come abbiano ridisegnato credenze e lealtà in tutto il Medio Oriente. Ghattas sostiene che gli eventi innescati dalla caduta dello Scià dell'Iran e dal sequestro della Grande Moschea alla Mecca sono precipitati nei decenni successivi, seminando intolleranza, fondamentalismo e violenza in tutta la regione. Frutto dell'esperienza decennale di Ghattas come giornalista, Black Wave segue le storie di dissidenti, accademici e scrittori e attraversa i confini di Afghanistan, Egitto, Iraq, Libano e Pakistan.

Migliaia di rifugiati si sono accalcati nei campi profughi sull'isola greca di Lesbo. Uno è Omar, un ex traduttore e autista per stranieri in Afghanistan, assieme al giornalista Matthieu Aikins, che si è travestito da rifugiato per intraprendere lo stesso viaggio insieme a lui. Aikins viaggia dunque con Omar, che ha lasciato la sua famiglia e la fidanzata, da Kabul ad Atene. Lungo la strada Omar dà fuoco a uno dei suoi passaporti per evitare di essere scoperto in caso di perquisizione. The Naked Don’t Fear the Water (opens new window) documenta il contrabbando, il furto e la crudeltà che i rifugiati devono affrontare quando tentano di entrare nei tipi di posti che Aikins può visitare ogni volta che vuole.

Nintendo era nei guai quando Satoru Iwata è diventato il suo numero uno. L'uomo si è reso conto che combattere con Sony e Microsoft per conquistare gli hardcore gamer non era la battaglia giusta, quindi ha scelto di sviluppare la Wii, una console di gioco per tutti, e Nintendo è andata sempre più rafforzandosi. Ma i suoi successi non sono il motivo per cui lo scomparso Iwata è stato molto amato da dipendenti, fan e persino rivali. Ha davvero visto il mondo in un modo diverso e ha attinto alle sue esperienze a tutti i livelli del business dei giochi, da programmatore a dirigente, per guidare il suo approccio unico alla gestione. Ask Iwata (opens new window) raccoglie i suoi editoriali e interviste, fornendo informazioni inedite sui punti di vista di un titano del gaming.

Il libro di memorie di Karen Cheung, The Impossible City (opens new window) dipinge un ritratto intimo di Hong Kong: concerti rock sotterranei in edifici industriali, affitti alle stelle, strade tortuose tra montagne e grattacieli, la sensazione da esiliato di guardare da molto lontano le proteste arrivare fino a quella che era casa tua. L'obiettivo profondamente personale di Cheung è di spingersi oltre una narrativa politica semplificata per ridare vita a una città che affronta la disuguaglianza economica, la riduzione delle libertà politiche e il cambiamento dell'identità culturale. Cheung porta i lettori oltre la Hong Kong conosciuta come "il centro finanziario dell'Asia", intrecciando prospettive di singoli giovani alle prese con sogni soffocati in una città passata da una potenza imperiale all'altra.

Il notevole resoconto di Tim Hwang su come viene monetizzata l'attenzione analizza l'ecosistema pubblicitario su Internet e gli incentivi che sono apparentemente integrati in ogni angolo della rete. Sebbene questo boom sia riuscito a mercificare l'attenzione degli utenti di Internet, valutarlo accuratamente è tutta un'altra storia, dice Hwang. L'autore di Subprime Attention Crisis (opens new window) approfondisce lo stato dell'industria della pubblicità online, che alimenta molte grandi aziende tecnologiche, e traccia ripetuti parallelismi con la mancanza di controllo normativo e l'inflazione precaria della crisi dei mutui subprime del 2008, spiegando perché siamo davanti a una crisi incombente.

La giornalista del Wall Street Journal Te-Ping Chen attinge alle sue esperienze come ex corrispondente a Pechino e Hong Kong come materiale per il suo debutto nella narrativa con una storia di fantasia molto complessa e intricata, Land of Big Numbers (opens new window). Dettagli straordinariamente lucidi tratti delle sue osservazioni sulla vita reale si trasformano in trame immaginarie: passeggeri intrappolati a tempo indeterminato in una stazione ferroviaria in Cina, aspiranti quadri del Partito che inventano macchine volanti, studenti universitari ossessionati dai videogiochi con fratelli dissidenti, che inevitabilmente colpiscono un po' troppo vicino a casa. La capacità di Chen di trasformare i dettagli ordinari in narrazioni straordinarie è fantastica quanto la vita di tutti i giorni nella Cina di oggi.

L'ex capo di Google China Kai-Fu Lee una volta ha scritto un algoritmo progettato per imitare la voce della superstar della fantascienza cinese Chen Qiufan. In AI 2041: Ten Visions for Our Future (opens new window), Lee e il vero Chen collaborano a una serie di racconti che ipotizzano come l'intelligenza artificiale rimodellerà il mondo e cambierà la vita e il lavoro come lo conosciamo tra due decenni. Le storie sono ambientate nei centri urbani di tutto il mondo, da Seoul a Mumbai a San Francisco, e portano i lettori a vivere virtualmente le applicazioni positive, negative e assolutamente banali per la tecnologia AI in un futuro non troppo lontano.


Coffee break

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Al-Khwarizmi

Il grande reset
PocketSuite (opens new window) è una app che ho scoperto per caso qualche giorno fa. Si tratta di un software sviluppato dall'azienda omonima (opens new window). Ci sono varie app di questo tipo che con poche variazioni hanno tutte il medesimo scopo: aiutare le aziende (soprattutto piccole) a gestire le proprie attività e i propri clienti. Gestione calendario, contatti dei clienti, pagamenti: si gestisce tutto a partire dal parrucchiere sino al ristorante e al laboratorio artigianale passando per tutto quello che c'è nel mezzo.

Non mi interessa tanto parlare di PocketSuite (opens new window) in particolare, quanto seguire un'idea che sto coltivando da tempo: per sfruttare al meglio la tecnologia digitale occorre fare un bel reset. Sinora lo sviluppo della maggior parte di applicativi per il lavoro sono stati pensati nell'epoca della prima "digitisation", digitalizzazione 1.0. Sono molto legati ai flussi di lavoro tradizionali, centrati sulla carta. Poi le cose sono andate avanti ed è nata l'idea della trasformazione digitale che si basa sulla "digitalization", la digitalizzazione 2.0 (in inglese ci sono due parole diverse, in italiano una sola). Solo che ci sono fatiche e difficoltà.

Il punto centrale è che si tratta di un cambiamento basato sulla cultura di chi progetta e lavora, non del software di per sé. E che la principale resistenza è voler seguire i vecchi flussi di lavoro. Per poter sfruttare i nuovi ambienti cloud e post-PC serve un approccio diverso, ma la fonte di attrito per questo cambiamento è la compatibilità con strumenti e modi di lavoro "antichi" seppur digitali. Immaginare di poter gestire un'attività economica direttamente dal telefonino, insomma, richiede di fare un grosso salto in mentale. Non è il telefonino che deve essere più potente, è la mente che deve essere più libera.

Per fare questo, come dicevo, serve un reset. È solo dopo quel punto che secondo me si possono sfruttare apparecchi inediti (fare tutto con un telefono), tecnologie distribuite (il cloud) e applicativi "nuovi" capaci di sfruttarle (PocketSuite o altre cose simili). Per questo occorre ripartire da zero, ad esempio con piccole aziende e negozi, cioè con imprese che non hanno un'eredità da gestire (software, modelli di funzionamento, manager e via dicendo). Sono quelle per cui può essere un fortissimo vantaggio in termini di competitività e di risparmio economico. Certo, dal punto di vista dell'innovazione un parrucchiere è apparentemente lontano anni luce dall'idea di innovazione digitale. Non è così. Infatti, non solo può innovare molto e avere un forte vantaggio competitivo, ma soprattutto chi arriva per ultimo si prende la tecnologia migliore. E, se ha la mente sgombra, vince.


Half pint
Half pint ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Boomer inside
La cosa bella delle generazioni è che ciascuna non solo pensa che non invecchierà mai, ma che chi li ha preceduti non è mai stato giovane (o lo è stato "male"). I millennial si stanno distinguendo, in questa nefanda attitudine, perché non ascoltano. Ma il tempo passa anche per loro. A metà degli anni duemila, a New York, il sito di gossip Gawker (noto principalmente per i suoi attacchi sarcastici) e la rivista letteraria n+1 (considerata di un certo prestigio intellettuale) erano due poli opposti dell'orbita mediatica. Entrambi hanno lanciato la carriera di innumerevoli scrittori, tra cui Emily Gould e Keith Gessen, la cui storia d'amore pubblica è iniziata quando Gould, allora autrice su Gawker, ha iniziato a prendere in giro sul sito della pubblicazione per cui lavorava Gessen, un fondatore di n+1. Avanti veloce di un decennio e mezzo e, come ha scoperto Elizabeth Weil del New York Magazine quando è andata a trovarli di recente nel loro appartamento di Clinton Hill (opens new window), i due adesso sono diventati i classici genitori di New York, stressati e alle prese con le loro ambizioni in conflitto, mentre crescono i bambini in una città follemente costosa. E, con l'imminente pubblicazione del memoir di Gessen che racconta la loro vita familiare, adesso c'è anche da capire quanto di tutta questa lotta e questa fatica sia davvero materiale letterario. Insomma, i viziatissimi scrittori millennial di New York hanno messo su famiglia e adesso stanno scoprendo cos'è quella mezza età che tanto disprezzavano. La cosa incredibile è che pensano di essere i primi al mondo a lavorare e tirare su dei figli in un città pensata per girare a tutta velocità, non per allevare bambini. È una ruota: gira e prima o poi tocca a tutti.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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