[Mostly Weekly ~148]

‌A Good Life is Painful e altre chicche sadomaso


A cura di Antonio Dini
Numero 148 ~ 02 gennaio 2022

Benvenuti nel 2022, questa è Mostly Weekly, la newsletter settimanale che esce quando è pronta. Vi piace? Come diceva il vecchio David Hume: “La bellezza non è una qualità delle cose stesse: esiste semplicemente nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una bellezza diversa”. Credo che il vecchio Hume volesse dire che abbiamo tutti la speranza di trovare una persona che ci percepisca meglio di quello che crediamo noi quando ci guardiamo nello specchio. E voi, cosa ci vedete quando leggete Mostly Weekly?

Ricordo che questa newsletter è aperta a tutti, senza pubblicità o affiliazioni. Volete contribuire? Mandatela a un amico, iscrivetevi al canale Mostly, I Write (opens new window) ma soprattutto, rendetemi un uomo spropositatamente ricco con una donazione epica qui su PayPal (opens new window).

Attenzione: alla fine troverete la spiegazione di cosa sia e come funzioni la perifrastica passiva, per dire. Insomma, bisogna leggere Mostly Weekly sino in fondo!

Quindi, buona lettura.


A quale donna non piacerebbe essere fedele? Difficile è trovare un uomo a cui esserlo
– Marlene Dietrich



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Editoriale

La monocultura digitale
Non so perché sono da anni affascinato dal tema delle generazioni, al punto da essermi anche dato da fare per trovare e parlare con alcuni dei principali teorici dell'argomento. È interessante quindi leggere questo articolo di The Ringer (opens new window) che fa un ragionamento molto semplice: dobbiamo tutti accettare che i Millennials e la Gen Z sono in realtà la stessa cosa. Il ragionamento ruota attorno a una distinzione di non secondaria importanza: cosa definisce una generazione. Non c'è semplicemente un aspetto biologico (la coorte demografica) ma anche un profilo sociale (gli eventi che segnano una discontinuità tra un gruppo di persone e quello precedente) che, secondo The Ring, adesso è prevalente. A renderlo tale è il fatto che oggi i giovani vengono forgiati dalla stessa monocultura digitale. Bella idea e bella espressione, bisogna che ci pensi un po' ma l'idea mi intriga.

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Benvenuti nel 2022
Benvenuti nel 2022 ~ Foto © Antonio Dini

Importante

I conti della resa, la resa dei conti
Come sappiamo l'economia basata sull'energia da risorse inquinanti e in via di esaurimento. Dobbiamo cambiare passo e utilizzare fonti di energia rinnovabili. Ma tra il dirlo e il farlo c'è di mezzo il lavoro da fare per convertire le infrastrutture e gli apparecchi. E questa riconversione inquina. Invece di tagliare i paesaggi con pozzi e oleodotti di petrolio e gas, le industrie basate sull'energia pulita e i loro fornitori aprono il suolo alla caccia di minerali critici come litio, cobalto e rame (opens new window). Rispetto a una centrale elettrica a gas, una turbina eolica onshore richiede risorse minerarie nove volte superiori, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia. La costruzione di un veicolo elettrico richiede sei volte più minerali di un'auto a benzina. Senza contare la trasformazione del grid necessaria per alimentare miliardi di auto elettriche e sopportare i picchi di ricarica. Insomma, per stare meglio dobbiamo stare ancora peggio di prima? Pare di sì.


Yamato

Maritozzo (マリトッツォ)
Questa settimana la parola del nostro dizionario tematico di giapponese è molto, molto particolare e anche molto molto italiana. Ma è una parola perfetta per un dizionario, direi. Si tratta di “maritozzo” (マリトッツォ). Oh yes, il tradizionale panino dolce farcito di panna montata. Pausa perché mi è venuta fame. Fine della pausa. "Ogni anno in Giappone viene annunciata la Shingo Ryūkōgo Taishō (新語・流行語大賞), una classifica delle espressioni più popolari (流行語, ryūkōgo) utilizzate durante il corso dell’anno", scrivono dall'ambasciata nipponica di Roma. Sorpresa, sorpresa, una delle parole in lizza per diventare espressione di tendenza del 2021 registrata dal dizionario c'è proprio il nostro “maritozzo” (マリトッツォ, pronunciato maritottsu~o).

Come mai? La risposta è semplice: nel corso di alcuni anni il dolce romano ha letteralmente conquistato il Paese del Sol Levante. Un successo notevole ma non incomprensibile, perché Giappone e Italia condividono tra le altre cose la stessa passione per i dolci. E il successo del maritozzo è stato tale che è entrato nel linguaggio quotidiano già da tempo: il giapponese è una lingua che, come l'italiano, ama i prestiti linguistici. La pratica del "prestito" in verità è comune a tutte le lingue, con gradi più o meno intensi. Ed è una pratica affascinante, perché il prestito è un fenomeno squisitamente extra-linguistico: dalla politica alla vicinanza geografica, dallo spettacolo (oggi il cinema e la televisione, ad esempio) fino alla cucina, ci sono mille modi diversi perché un termine entri in un'altra lingua e venga assorbito. A seconda della profondità del prestito e della sua distanza temporale il termine che viene con il prestito può essere considerato accettato se è in uso da molto tempo, oppure può essere considerato un termine straniero se è recente. La plasticità di una lingua nell'accettare i termini stranieri è un fattore altrettanto importante rispetto alla sua porosità (l'attitudine a riceverli). Come dire che, se chi riceve il prestito è bendisposto e disponibile, la cosa è più facile e la lingua si arricchisce più velocemente, rendendo più ricchi di parole e quindi di idee e di pensieri pensabili anche i parlanti. Il Giappone è molto generoso, da questo punto di vista.

Il nostro maritozzo ha avuto un tale successo da essere entrato a pieno titolo nel linguaggio comune ed è stato incluso nell’ultima edizione aggiornata del Sanseidō Kokugo Jiten (三省堂国語辞典、il dizionario giapponese di Sanseidō), della storica casa editrice giapponese Sanseidō. Il maritozzo, inoltre, è molto buono e se non vivessi a Milano sarebbe un pezzo forte della mia dieta mediterranea.

(grazie all’Ambasciata del Giappone in Italia per aver raccontato questa storia in prima battuta e a Filippo Nassetti che me l'ha segnalata)


Eventuali

Keanu The Guru
Abbiamo trasformato Keanu Reeves in un guru. No, sul serio: l'attore è diventato leggendario (opens new window) per vari motivi. Stile di vita essenziale e genuino. Attenzione alla parità di genere e a non invadere lo spazio delle donne (e dei fan in generale) toccandoli nelle foto richieste peraltro da loro. Massime di vita. Ficaggine in generale. Santo subito.

Betty The Beautiful
È morta Betty White, a 99 anni (quasi cento). Era un pezzo di televisione (opens new window) e di storia, incluso il Saturday Night Live (opens new window) presentato a 88 anni (per il quale ha vinto un altro Emmy, l'ultimo della sua carriera). Lei era (opens new window) la televisione e aggiungo che la sua scomparsa, il 31 dicembre del 2021, definisce l'anno appena passato come terribile soprattutto per il Mary Tyler Moore Show. A parte la conduttrice, scomparsa nel 2017, Ted Knight (1986), Valerie Harper (2019) e Georgia Engel (anche lei 2019), gli altri attori principali sono tutti morti nel 2021: Edward Asner, Gavin MacLeod, Cloris Leachman e, appunto (opens new window), Betty White.

Joan The Smart
È morta la giornalista e scrittrice Joan Didion (opens new window). In questo saggio (opens new window) sul rispetto per se stessi è straordinario ed è stato scritto al volo, per riempire un impaginato già impostato. In questa intervista alla Paris Review (opens new window) emerge una storia professionale unica.

Bellavista
La storia di una villa fiorentina e la storia di una famiglia che la abita da tre generazioni. Le storie si intrecciano, vanno, vengono: molti si perdono, alcuni appartengono a epoche ormai finite, altri arrivano adesso sulla scena, altri ancora non sono mai riusciti veramente a venir fuori. Tutti però hanno costruito questa tappezzeria che è Firenze e le sue colline. Questa storia, in particolare, è venuta bene ed è finita sulle pagine del New York Times (opens new window).

Il narcisismo della pagina stampata
Gli articoli che raccontano le case della gente ricca e intrallazzata ("interconnessa socialmente", credo si dica) di solito non mi interessano (con le dovute eccezioni, vedi sopra), se devo essere sincero. Però questo mi ha colpito: la casa di Hanya Yanagihara contiene 12mila libri (opens new window) tutto in un bilocale di Manhattan. E inoltre ha riempito lo spazio di quadri, oggetti d'arte e cose che trattano i viaggi, la sua terza passione. La tipa, che è un giornalista di T, uno dei due magazine del New York Times, è finita nella rosa finale dei candidati (opens new window) a un Man Booker Prize con il suo e fa la travel writer (opens new window). La casa non si capisce ma mi pare bella carica: chissà se hanno verificato prima che i solai potessero reggere tutta quella carta.


Multimedia

Insomma, non sapete cosa ascoltare, ma volete ascoltare qualcosa che non è proprio fame, ma quasi. Ed eccomi qui, novello Ambrogio, con Wolf Alice, Bobby (Live) (opens new window).

Era un po' che non vi facevo ascoltare niente di Norah Jones. Troppe cose da vedere da tutte le parti. Ma questa non è una scusa: e quindi ecco un fotonico Live from Austin TX (opens new window). Tanta roba, mettetevi comodi con qualcosa di buono da sgranocchiare.

La prima cosa che si nota è che non hanno la mascherina, perché l'incontro è del 2015. Ma è fantastico: John Hodgman è uno degli stand up comedian più sottovalutati della storia e invece John Cleese è geniale sotto tutti gli aspetti, anche quelli impossibili da capire se non siete nati nella parte sud di Londra. Qui il video "Unbound" (opens new window), potete ringraziarmi dopo.


Tsundoku

Wittgenstein 2022
Ok, inizialmente volevo parlare di questo progetto Ludwig Wittgenstein (opens new window), che mira a tradurre le opere del filosofo in varie lingue (opens new window) grazie anche al fatto che sono uscite dal copyright e vanno felicemente nel dominio pubblico (come Winnie the Pooh (opens new window)). Poi ho trovato anche questa storia: 1922 Wittgenstein Meets 2022 AI (opens new window), perché c'è il centenario del filosofo che coincide anche con l'emergenza (nel senso che emergono) di sistemi di intelligenza artificiale come il nostro vecchio amico GPT-3 che ormai lo usano anche per fare la marmellata e scrivere i biglietti dei Baci Perugina. E comunque, questo tizio ha usato GPT-3 per fare un remix o forse uno shuffle di Wittgenstein, per creare nuove massime del Logisch-Philosophische Abhandlung. Frainteso da vivo, matto poco meno di Friedrich Nietzsche (giusto un cavallo di meno, direi), sicuro di essere frainteso anche dopo la sua morte, frainteso dopo la sua morte e a questo punto probabilmente frainteso anche prima di nascere, Wittgenstein rimane uno di quei filosofi che tutti citano ma del quale (quasi) tutti ignorano completamente di cosa si sia occupato (logica e filosofia del linguaggio) o il suo reale valore. A quanto pare nel mondo accademico anglosassone è considerato il massimo pensatore del XX secolo, perché a differenza degli altri parlava inglese oltre che tedesco, noialtri preferiamo quelli che parlavano solo tedesco.

Internet fa male
Jonathan Franzen, Philip Roth e altri scrittori che per fare quel che vogliono praticano una solitudine ascetica, monastica, durissima. E niente internet. Perché il punto è che internet fa male (opens new window), se vuoi scrivere e anche se vuoi leggere libri. O no? Alla fine c'è una sorpresa sulla voce di chi sta scrivendo.

Una lettera dopo l'altra
A un certo punto l'ho trovato un libro eccezionale, esattamente quello che volevo leggere. Poi l'ho trovato noioso, allungato oltre la giusta misura, presuntuoso a tratti. E poi di nuovo notevole e necessario. The Longing for Less (opens new window) di Kyle Chayka è un libro sul minimalismo. Anzi, è il libro che cerca di spiegare cosa sia e perché ci piaccia così tanto il minimalismo (almeno, a molti di noi) e perché al tempo stesso sia così fastidioso e innaturale. E poi, cosa sia veramente il minimalismo, e cosa sia invece design industriale e strategia di marketing. Infine, perché il minimalismo sia una reazione estremamente moderna, recente e conservatrice a un cambiamento innaturale (è stato così in Giappone nella seconda metà dell'Ottocento e poi dopo la seconda guerra mondiale) e perché da noi sia un segno chiaro di nevrosi, cioè di un conflitto interiore irrisolto. Ma soprattutto quel che mi porto dietro è che il minimalismo non è svuotarsi la casa e vivere con pareti vuote, un paio di scarpe, un paio di pantaloni e poco altro. No, minimalismo "sano" è più semplicemente usare delle cose semplici per fare anche cose ricche e complesse. Niente di più. Come ad esempio scrivere: mettere giù una parola alla volta, una lettera dopo l'altra. Se non è minimalismo questo.


Coffee break

Mostly Weekly è una newsletter libera e gratuita per tutti. Se volete supportare il tempo che passo a raccogliere e scrivere le notizie, potete farlo offrendomi un caffè alla settimana su PayPal (opens new window) (che detto così sembra quasi un "in alto le mani, questa è una rapina", però vabbè ci siamo capiti).


Gente che scrive o fotografa

Idraulico liquido digitale
Avete presente il blocco dello scrittore? Quello per cui uno non scrive, in buona sostanza? Guardi la pagina bianca e niente, non ti viene niente (in realtà la maggior parte della gente con il blocco alla pagina bianca manco ci arriva: se ne va al bar prima). Ecco, quel blocco ci sono tante tecniche per affrontarlo: corsi, aiuti di terzi, mazzi di carte e dadi con parole chiave da mescolare casualmente e cose del genere. E poi c'è la soluzione postmoderna: l'intelligenza artificiale che scrive al posto nostro. "È inevitabile che gli scrittori, in particolare i copywriter, – scrive la manchette pubblicitaria travestita da articolo (opens new window) – si trovino in difficoltà a causa della ripetizione costante. Per fortuna, ci sono dei trucchi per evitare il vuoto e rendere la tua scrittura più interessante, specialmente se devi scrivere dello stesso argomento più di una volta. Sia che il tuo sogno sia diventare uno scrittore o che tu sia già pagato regolarmente per il tuo lavoro di creazione di parole, un piccolo aiuto di intelligenza artificiale può essere un punto di svolta per quelle risoluzioni di carriera che hai preso". Ecco, fallo scrivere da un altro, e vediamo cosa viene fuori.

Paul Fusco
Quando capitavo a San Francisco (e speriamo che ci capito di nuovo presto) tra le girate che mi piaceva fare da qualche anno c'era la visita al Leica Store, il negozio locale di macchine fotografiche dell'azienda tedesca. I Leica Store nascono un po' sulla falsariga degli Apple Store (per l'approccio minimalista, soprattutto, anche se con una palette di colori diversi) ma hanno in più una vocazione di galleria d'arte fotografica. E ci sono belle esposizioni per di più gratuite anche se piccole. Ho conosciuto anche un paio di fotografi "storici" in questo modo. Mi piacerebbe andare e incontrare Paul Fusco, uno dei "vecchi" dell'agenzia Magnum, e farmi raccontare (opens new window) della sua M2 e di quella volta che seguì dal treno che trasportava la salma di Robert F. Kennedy (opens new window) attraverso gli Usa uno dei momenti storici di quel Paese.

Una vita in bianco e nero
C'è questo fotografo svedese che non conoscevo, Gunnar Smoliansky (opens new window), e che ha avuto una vita professionale (opens new window) pazzesca, purtroppo scomparso qualche anno fa. In pratica, è uno dei grandi (opens new window) della fotografia nordeuropea, ma non si è praticamente mai allontanato da dove abitava e ha sviluppato uno stile basato sull'osservazione minimale del mondo attorno a sé. Per dire, prima fotografava molte persone (opens new window), come quelli della street photography, poi visto che a partire dagli anni Ottanta le persone avevano cominciato a notare l'atto di essere fotografate e a infastidirsi (o perdere di spontaneità) quando venivano inquadrate, si era dedicato a scorci di architettura, strade, angoli, bidoni, scale, cose così. Per i successivi trent'anni. Esclusivamente a pellicola. Sviluppando tutto nella cantina della casa dove abitava che era quella dei suoi genitori. Sempre in bianco e nero. Religiosamente in bianco e nero. Che in inglese rende meglio, perché dire "A life in grayscale" è sempre evidente nella sua limitazione ma fa capire meglio la ricchezza di sfumature di grigio che è possibile usare nella fotografia monocromatica (ammesso che si dica così). Insomma, una ispirazione per me che scatto sempre senza colori, oltre che grande: spero di poter presto trovare una sua mostra in un posto dove sono anche io.

Mixology, spiegata bene
Ok, no: titolo di paragrafo acchiappaclick, per così dire. Niente mixology, che solo la parola mi fa senso. Invece, Dickens. Charles Dickens, che mi piace molto per vari motivi. Il suo rapporto con l'alcool e la convivialità (due fenomeni tra lo strettamente interconnessi) passa attraverso il "punch", la cui ricetta e il contesto vengono raccontati in questo articolo (opens new window). È interessante notare che, verso la fine dell'ottocento, il cambiamento introdotto dalla rivoluzione industriale tocca anche il bere e la socialità: le carrozze e le locande vengono sostituite dalle ferrovie con le loro stazioni, i ristoranti (importati dalla Francia: si dice restaurant anche in inglese), i cocktail (invenzione americana) e i gin palace, questi ultimi evoluzione dei negozietti che vendevano la bevanda alcolica per scopi medicali e trasformati dalle lampade a gas in spazi molto vivaci e sopra le righe. Tra l'altro, l'impostazione a negozio-farmacia (con il bancone, per intendersi) dei gin palace sarà la base dei pub con la traversa e lo spazio per attaccare le spine della birra, e dei bar con il grande specchio dietro il banco e tutta la cristalleria in evidenza. È la fine della più cupa epoca vittoriana. Dickens lo sa ma si attacca alla tradizione della sua famiglia e di milioni di altri inglesi, che preparavano il loro punch, gli davano fuoco nella grossa pentola olandese e se lo bevevano bello caldo e meno alcolico, durante le feste, nelle apposite coppe di porcellana. Noi mettiamo il "vinile" sul "piatto" e ascoltiamo la musica tiepida che frigge per la polvere, ma il senso è lo stesso.


Al-Khwarizmi

Pi Pico
Nel suo piano per dominare il mondo, questa volta Raspberry ha realizzato sostanzialmente un microcontroller Arduino. Si chiama Pi Pico (opens new window), costa 4 dollari (non ho idea in euro) e permette di fare un sacco di microcose. Ha anche un termometro incorporato e questo permette, ad esempio, di verificare la temperatura del proprio freezer: qui il progetto (opens new window). Essere ragazzini adesso è fantastico.

Nemici del popolo
Io non so che lavoro fate voi, o se studiate o cosa, ma sicuramente siete passati nei pressi di PowerPoint, a un certo punto della vostra vita. Magari avete subito presentazioni crudeli, magari le avete dovute costruire, forse le avete anche dovute infliggere. Ebbene, sappiate che avete fatto male: PowerPoint è il male (opens new window). Lo dicono anche i ricercatori di Harvard (opens new window). A suo tempo è stato anche la causa principale (opens new window) della distruzione di uno Space Shuttle e della tragica morte del suo equipaggio. In ogni caso, ci sono delle alternative concettuali (opens new window) all'idea stessa della presentazione fatta con PowerPoint. Perché il problema non è il software di per sé, ma l'idea stessa, la cornice mentale dentro la quale ci tiene prigionieri. Non è l'esecuzione, ma il quadro di riferimento.

emfy
Questo progetto (opens new window) è comodo se volete scoprire emacs, perché crea un piccolo file di configurazione .emacs che permette di configurare e partire velocemente, più le spiegazioni su cosa serve fare. Inoltre, configura anche altre cose che possono tornare utili più avanti.

Monopagina
Si può fare un sito articolato e moderatamente complesso che sta tutto in un solo documento html? Sì, certo. Come si fa? Lo spiegano qui (opens new window), ma l'idea è usare le ancore e i blocchi di html e oscurarli a seconda della bisogna usando il foglio di stile. Assolutamente non comodo, ma intrigante.

Fun time
Un sacco di giochi ascii di Unix per il terminale. Ma tanti (opens new window).


Feste molto selettive
Feste molto selettive ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

La perifrastica passiva, i.e. "Carthago delenda est". Vediamo se riesco a spiegarla facile facile che anche io la capisco: la perifrastica passiva è una perifrasi che esprime un senso di dovere o di necessità. È, cioè, un costrutto latino che esprime un'azione che si deve compiere. Questo tipo di costrutto non ha un equivalente in italiano. Ok, su questo ci siamo. Qual è il problema: in italiano un soggetto deve compiere un'azione, invece in latino il soggetto è quello che l'azione deve subirla. Ma in simpatia, con un aggettivo verbale, in modo very friendly. In latino la perifrastica passiva usa il gerundivo (l'aggettivo verbale che va coordinato con il soggetto) e a seguire il verbo sum coniugato come serve, come nell'esempio all'inizio: "Carthago delenda est". Se uno prova a tradurla letteralmente, fa casino e non torna niente. Perché? Il trucco è semplice: in italiano "dovere" (come in "dover fare la newsletter per il 2 gennaio") è un verbo servile, regge l'infinito, vale a dire si coniuga con i verbi all'infinito ("devo andare", "devo dire", "devo scrivere") mentre in latino no; invece, quello usa il gerundivo e l'indicativo presente: "Carthago delenda est", cioè "Cartagine deve essere distrutta". Facile, no? Lo spiega ancora meglio Lorenzo Baglioni (opens new window). ("Tante ragazze in slow motion, tante ragazze in slow motion"). Ah, una cosa: la perifrastica passiva c'era anche in greco antico, perfettamente equivalente (utilizza l'aggettivo verbale di secondo tipo anziché il gerundivo) ma meno popolare. Nel senso che per i latini questo costrutto era una vera droga del bello scrivere. Ecco, adesso sapete cos'è la perifrastica passiva. Non male per il secondo giorno del nuovo anno, no?




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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