[Mostly Weekly ~145]

La doppia vita degli scrittori e altre storie


A cura di Antonio Dini
Numero 145 ~ 12 dicembre 2021

Bentornati alla newsletter settimanale che esce quando è pronta. Ieri guardavo questa pagina (opens new window) con un simulatore interattivo di acqua fatto con WebGL: strepitoso. La rete è piena di queste cose meravigliosamente inutili. Be water my friend!

Molte di queste cose si trovano anche qui su Mostly Weekly che, vi ricordo, è aperta a tutti, senza pubblicità o affiliazioni, e pure gratuita. Volete contribuire al suo mantenimento e, indirettamente, a quello del suo curatore, cioè il sottoscritto? Ottima idea, bravi! Inoltrate questo numero a un amico, iscrivetevi al canale Mostly, I Write (opens new window) (gratuito pure quello) ma soprattutto, rendetemi un uomo spropositatamente ricco con una donazione epica qui su PayPal (opens new window). È Natale, sto sognando in grande, non mi deludete.

Fly me to the Moon.

Intanto, buona lettura!


Think lightly of yourself and deeply of the world
– Miyamoto Musashi



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Editoriale

La doppia vita degli scrittori
Una delle professioni che riteniamo socialmente più interessanti è quella dello scrittore, anche se generalmente è un hobby perché il lavoro con cui si guadagnano da mangiare e pagano l'affitto quelli che scrivono è in realtà un altro. Il "day job" degli scrittori spesso non c'entra niente o al limite è legato all'insegnamento, ma può essere qualsiasi cosa. In questo articolo del Literary Hub (opens new window) viene raccontata la storia di sette scrittori e dei loro lavori "veri": dal barman al taglialegna fino all'esperto di marketing. Si dimenticano il lavoro del creator digitale, che fa tanto moderno. E anche quello del professore universitario, che però ha una svirgolatura da criticare. Soprattutto nelle facoltà umanistiche, infatti, si incontrano docenti incardinati che sopportano a malapena il loro lavoro "vero" (cioè soprattutto insegnare e gestire l'organizzazione e i fondi della formazione), come se fosse una sorta di appendice non necessaria alla loro vera missione: essere degli intellettuali pagati dagli studenti con le tasse universitarie. È un errore più comune di quel che si possa pensare ed è un buon indicatore di livelli di narcisismo fuori controllo.

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Riservato
Riservato ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Il mondo immaginario di Elon Musk
Chi è veramente Elon Musk? Una nuova serie di podcast intitolata The Evening Rocket (opens new window) creata da Jill Lepore, docente storia ad Harvard, cerca di districare la storia di Musk in un modo che solo un ricercatore di professione potrebbe fare. È un tuffo profondo nella vita e nella storia di Musk, ma è anche un'esplorazione di un fenomeno molto più ampio che Musk impersonifica (opens new window). Per Lepore, infatti, Musk è il volto del capitalismo estremo, un capitalismo radicato nelle storie di fantascienza e animato da piani fantasiosi per conquistare lo spazio e salvare l'umanità. Lei chiama questo fenomeno "muskismo" e sostiene che è un marchio riciclato di tecno-utopismo affascinante, pericoloso e profondamente rivelatore.

La paranoia
Negli Usa è in corso una campagna sottotraccia "anti-Harris", la vicepresidente degli Usa. Si capisce mettendo insieme un po' di articoli che tagliano di traverso il sistema dell'informazione (e che arrivano fino a noi (opens new window), che siamo dipendenti dagli Usa per le opinioni oltre che per i fatti). L'ultimo pezzo è quello relativo al bluetooth: la "paranoica" vicepresidente degli Usa, anche quando era procuratore generale, si ostinava a usare le cuffie con gli auricolari (opens new window) per il telefono e non il più pratico bluetooth e addirittura vietava che il suo staff facesse entrare e lasciasse da soli gli ospiti nel suo ufficio da procuratore generale (alla Casa Bianca questo non è un tema). Ovviamente è una copertura media assurda (opens new window), non fosse altro perché il bluetooth (opens new window) ha vulnerabilità mai dichiarate (opens new window) e scoperte solo dai governi più grandi (tipo Usa, Russia, Cina) mentre lasciare un "ospite" da solo negli uffici di una delle figure chiave del sistema giudiziario è semplicemente follia. Però quando interessi sotterranei vogliono colpire, colpisco in modo coordinato e diffuso.

Apple's nightmare before Christmas
Due giornalisti taiwanesi firmano la "big story" del Nikkei (opens new window) dedicata all'incubo (opens new window) della produzione "in tempo" (opens new window) dei regali di Natale di Apple: il colosso americano non ha semplicemente le fabbriche di Foxconn dove vengono assemblati i prodotti, ma una filiera lunghissima ed estremamente complicata, sia dal punto di vista della logistica che del numero di componenti (che vengono fabbricate in paesi diversi e spesso con materiali rari o difficili da reperire). Due anni tra lockdown, carenze di chip, blackout energetici (in Cina e non solo) non sono riusciti a mettere in ginocchio la più grande "macchina estesa" del pianeta, ma ci sono andati molto vicino.

Psicopatici all'alba
Perdonatemi se uso la parola "psicopatici" un po' a caso, è nel senso familiare di "fuori di testa" e "nevrotici". In particolare, sono inciampato in questa routine mattutina (opens new window) che inizia alle 630 con un beverone, poi ne segue un altro, poi camminata veloce, caffè e diario (ovviamente su Moleskine), doccia (mezz'ora!) ascoltando un podcast, lettura e meditazione con app (15m), e sono le 9: tempo di andare a lavorare. A Firenze gli direi: o grullo, ma ripigliati.


Yamato

Bōnenkai (忘年会)
Festività natalizie e di fine anno in arrivo e il nostro dizionario tematico di giapponese questa settimana non poteva non parlare di bōnenkai (忘年会), la "festa di fine anno" giapponese, quella che si fa per dimenticare l'anno vecchio e prepararsi all'anno nuovo. Piacevole usanza, verrebbe da pensare, se non fosse che questo raduno è soprattutto un obbligo sociale lavorativo: colleghi e amici si ritrovano alla fine dell'anno per fare la bicchierata, un po' come da noi la festa aziendale per gli auguri, quella con i tavoli uniti in sala mensa o in sala riunione, con sopra quattro panettoni e due bottiglie di spumante dolce offerte dalla direzione, più gli onnipresenti piattini, forchettine e bicchieri di plastica (quelli nessuno che li vieta per tutelare l'ambiente). E magari anche il pistolotto del proprietario o dell'amministratore delegato.

In Giappone è parzialmente diverso ma è sempre un rito sociale, non di tipo religioso. Infatti, quando si parla di bōnenkai. non si fa riferimento ad alcuna festività spirituale di fine anno. Quelle ci sono, ma sono un'altra cosa: le celebrazioni del nuovo anno giapponese (正月, shōgatsu) sono infatti un'altra cosa e seguono un binario completamente differente. Invece, il bōnenkai è, o dovrebbe essere, una festa amicale che risale addirittura al quindicesimo secolo. All'epoca si facevano i nōkai (納会, "raduni per festeggiare un grande risultato") quando nel villaggio c'era qualcosa di nuovo da festeggiare. Verso il 1700 divennero dei raduni per festeggiare il nuovo anno inteso come raggiungimento del risultato di averne sfangato un altro.

Oggi, come detto, si tratta di feste aziendali ritualizzate, assorbite nel sistema a partire dal dopoguerra per via del sistema giapponese dell'impiego a vita, che i giovani peraltro tollerano sempre meno e vorrebbero veder scomparire. Invece, le festicciole di fine anno vengono organizzare rispettando una serie di regole informali tra le quali quella del costo contenuto (al massimo circa cinquemila yen, cioè meno di 40 euro a partecipante) per fare in modo che tutti possano esserci, a meno che non sia l'azienda ad offrire. Il che non capita spesso.

Siccome di panettoni e pandori da quelle parti non ce ne sono (perlomeno, non tradizionalmente) e invece la vita di chi lavora in azienda nelle grandi città è scandita da tempi ferrei da pendolare e l'unico modo per scaricare la tensione in eccesso è spararsi due bottiglie di sake al baretto sotto l'ufficio o tra le arcate dei ponti della stazione della JR, il tempo libero della festa è organizzato portando tutti quanti in un izakaya (居酒屋). Si tratta di uno di quei bar dove si mangia anche, magari spiedini di pollo e cose del genere, ma soprattutto dove si beve a nastro. Sono i bar in cui finiscono i sararīman (サラリーマン) che poi crollano addormentati sul treno per tonare a casa dalla loro casalinga disperata di turno, e con i quali i millennial nipponici non vogliono avere niente a che fare. Se poi uno la guarda in questo modo comincia anche a capire perché ci sono ragazzi e ragazze che si chiudono in casa, cioè nella loro stanza, e non vogliono più uscirne: è il terrore di finire dentro l'ingranaggio di una società che per quarant'anni ha costruito il suo spazio tritando le persone, una dopo l'altra. L'ultima difesa da tutto, incluso il ‌bōnenkai.


Eventuali

Usonia
Da bambino, figlio di architetti, manifestavo una insolita passione per le villette monofamiliari soprattutto se progettate da Frank Lloyd Wright. Poi per un periodo la passione si è persa, ma adesso è tornata fuori leggendo della comunità di Usonia (opens new window), che è nata attorno al lavoro di Wright. L'architetto americano è una leggenda: ha progettato per circa 70 anni più di mille strutture diverse con un approccio basato sull'idea che la progettazione debba essere in armonia con l'umanità e l'ambiente: è l'architettura organica (opens new window) (pdf). C'è un suo lavoro (quello che adoravo da bambino e che è stato celebrato anche (opens new window) dalla Lego (opens new window)) che è stato definito "la migliore opera di tutti i tempi dell'architettura americana": è la Fallingwater (opens new window) del 1935, il mio ideale di casa (quella che se faccio i soldi ci vado a vivere).

A un'ora da Manhattan, vicino Pleasantville nello stato di New York c'è Usonia, che è nata come comunità di "credenti" che volevano vivere l'utopia architettonica dei moduli di Wright. Creata dai "discepoli" dell'architetto nel 1944. Alcune di queste case, come la Reisley House, sono la manifestazione tangibile del sogno americano così come lo immaginiamo e ricordiamo.

La vita nella comunità di Usonia pianificata (opens new window) (pdf) da Wright non è solo simbolica ma legata a un idea di partecipazione (opens new window) che è un ripensamento della democrazia stessa (opens new window): la terra stessa oltre alle case al principio erano comuni, tanto che poi, con il passare degli anni e l'invecchiare degli abitanti, è stata pensata una forma di proprietà dei singoli per poter vendere le case a nuovi compratori.

Se volete vedere quanto profondo è il segno anche solo esteriore lasciato da Frank Lloyd Wright, architetti come James Garvan (opens new window) sembrano più studiosi del suo lavoro che non progettisti veri e propri. E ne hanno capito solo l'aspetto esteriore. Le case di Usonia sono finite in mezzo allo sprawl della periferia americana, quelle che vengono chiamate "cookie-cutter suburban homes (opens new window)" (case fatte tutte uguali con lo stampino per ritagliare i biscotti dalla pasta sfoglia) o "tract houses" (le case che occupano pezzetti, tratti più o meno tutti uguali di un più ampio lotto).

Senti chi parla
C'è un problema con i dialoghi dei film americani in lingua originale: un problema grosso (opens new window). La gestione dell'audio è diventata tale che non si capisce più cosa dice la gente. Le ragioni sono varie, tra queste c'entra Christopher Nolan, ovviamente, ma anche uno stile di recitazione "realistico" che cerca di coprire la mancanza di chiarezza tipica della vita vera, fanno dei mix pensati per il cinema e soprattutto si abituano a sentire l'audio dei dialoghi sul set ripetuto talmente tante volte che lo capiscono anche quando è inintelleggible per chi lo sente per la prima volta.

Chicago
Che la distanza tra noi e gli antichi, nonostante le affinità di spirito e la comune cultura, sia notevole, è spesso dimenticato. La rappresentazione mediatica e letteraria della vita degli antichi romani è fallace e ingannatrice. Paiono persone come noi, invece non potevano essere più diverse. Lo si nota ad esempio cercando di capire come gestivano i gabinetti (opens new window). Ci avete mai pensato, quando fantasticate di viaggiare nel tempo e andare a vivere ai tempi di Giulio Cesare e Cicerone? No? Ecco, pensateci meglio.

Fly my to the Moon
Se vi manca di prendere l'aereo o se volete giocare da soli o con i figli, ecco a voi la serie completa degli aeroplanini di carta: qualsiasi modello qui lo trovate (opens new window), spiegato e pronto per essere piegato. Sembra una cosa scema, ma c'è un mondo.


Multimedia

Il primo episodio, Riders Not Heroes (opens new window) è stato concepito a Milano nella primavera del 2020, in risposta diretta all'urgenza di quel preciso momento storico, quando lo scoppio della pandemia ha fatto emergere prepotentemente la condizione di precarietà dei delivery riders. Il secondo episodio, Riders Not Heroes: Anatomy of a Delivery (opens new window), invece analizza la serie di micro-eventi, architetture e agenti che si manifestano nello spazio-tempo di una consegna di cibo, svelando le frizioni che si celano ai due estremi di uno schermo. I due corti fanno parte di un progetto di ricerca che guarda alle politiche e meccaniche delle piattaforme tecnologiche e del gig-labour, dalla prospettiva dei delivery riders e saranno in mostra al Canadian Centre for Architecture nel contesto della mostra A Section of Now fino a maggio 2022.

Dean Martin era un attore straordinario. Il crooner conosciuto per gli eccessi del rat pack (sigarette a nastro e l'onnipresente bicchiere di whiskey, in televisione diceva fosse succo di mela e la gente gli credeva) era amato da Orson Welles: "Guardando i dieci film di Dean Martin e Jerry Lewis ci si rende conto che attore spettacolare fosse Dean". Consiglio Ada (opens new window) (fantastico!), The Sons of Katie Elder (opens new window), Toys In The Attic (opens new window) (favoloso), Some Came Running (opens new window). Su YouTube si trova quest'ultimo (opens new window) e un altro: You're Never Too Young (opens new window) (con Jerry Lewis). E siete di nuovo nell'America degli anni Cinquanta secondo Hollywood.

L'anno che è passato, l'anno che verrà
Sono abbonato ad Apple Music e non sono mai stato un consumatore di Spotify (prima ho usato per un po' Amazon Music). Sono vecchio e ho gusti musicali noiosi, sempre le stesse cose da decenni, anzi quarti di secolo. Per questo non potrebbe fregarmene di meno della competizione sulle playlist di rivisitazione dell'anno curate automaticamente che c'è tra Apple e Spotify. E dire che c'è una competizione è onestamente esagerare, perché Spotify in questo specifico segmento che è stato avviato nel 2019 come "Wrapped" (opens new window) è avanti anni luce (opens new window) rispetto ad Apple. Ripeto, a me non potrebbe fregarmene di meno: vorrei un servizio di musica in streaming centrato sugli album nelle edizioni originali e possibilmente che ripeschi cose scomparse già quando il CD ha sostituito gli ellepi, negli anni Ottanta. Le playlist se scomparissero domani sarei felice lo stesso. Anzi, un po' di più. Però sotto Natale questi Wrapped sono popolari e quindi li menzioni.

La sposa meccanica
Il medium è il messaggio e il massaggio. Ma chi era Marshall McLuhan? Cioè, chi era probabilmente lo sapete (medievista canadese che è diventato il primo e uno dei più importanti studiosi moderni dei media). Ma non ne avete una percezione diretta. Grazie a questo programma della NBC-McGraw Hill preservato dall'Internet Archive, potete sentirlo, vederlo e percepirlo (opens new window). A meno che non l'abbiate già visto in Io e Annie (opens new window) di Woody Allen.

Neural Matrix
Sta per arrivare un nuovo film della serie di Matrix e dalle cantine di Internet esce un'idea interessante (opens new window): nei film gli esseri umani vengono collegati alla matrice per fare da batterie viventi al mondo dei robot e fornire energia, ma in realtà il concept iniziale prevedeva che fossero parte della rete neurale e fornissero potenza di calcolo. Cioè quello che contava era il cervello, non la biochimica. Se è vero, peccato, abbiamo perso un'idea molto potente.


Tsundoku

Addio Professionista
Sono passati poco più di quattro mesi dalla drammatica scomparsa di Stefano Di Marino, lo scrittore pulp più prolifico degli ultimi anni: un centinaio di titoli a suo nome e a suo pseudonimo, cioè principalmente Stephen Gunn. Colonna portante di Segretissimo con il suo personaggio più noto, e con una storia editoriale di quasi un quarto di secolo, cioè il Professionista, alias Chance Renard, una rivisitazione spaghetti-spy del famosissimo SAS - Sua Altezza Spia Malko Linge (avete presente? Gérard de Villiers, uno dei più grandi nella letteratura di genere). Avevo intervistato Di Marino per email (opens new window), nel tempo avevo cercato pigramente di conoscerlo di persona, ma non ho insistito e non ci sono mai riuscito. Poi la notizia improvvisa del suicidio (opens new window), poco giorni dopo aver consegnato un altro libro del Professionista. Il libro era il numero 1662 della collana di Segretissimo, intitolato Obiettivo Sconosciuto (opens new window) ed è appena uscito in edicola. È un numero strano, particolare: non c'è una chiusura, non c'è l'annuncio della morte del Professionista. E chissà se, come Camilleri, anche Di Marino aveva preparato un ultimo racconto per mettere la parola fine alla storia del Professionista. Penso di no, penso sia questo, e forse qualche racconto minore ancora inedito, il vero fine-corsa del personaggio così come del suo autore.

Il 2021 in poesia (secondo il NYT)
Il New York Times, come anche i nostri giornali e siti, non sfugge all'idea delle classifiche di fine anno. Non c'è niente di male, in effetti. Nello specifico, però, fanno classifiche come: "The Best Poetry of 2021" (opens new window). Perché nella sezione cultura e libri hanno anche una columnist specializzata in poesia: Elisa Gabbert, Mi sta venendo il sospetto la poesia in Italia sia trattata più o meno come la matematica al liceo classico. Male male male. Blood On The Fog (opens new window) di Tongo Eisen-Martin (l'unico che conosco, peraltro). Il commento "la poesia dovrebbe essere come la tela di un ragno: se ne tocchi una parte vibra e risuona in tutta la struttura" è un'immagine affascinante e molto appropriata.

Specchio riflesso
Facile, facilissimo essere d'accordo con chi oggi sostiene che le persone sono assorbite da se stesse. C'è un libro, alquanto interessante, che analizza il narcisismo intrinseco per così dire in quella visione del mondo che giudica gli altri. Si intitola The Selfishness of Others (opens new window) di Kristin Dombek e tocca un punto secondo me molto importante: l'uso delle parole. Perché il narcisismo è una patologia psichiatrica e Dombek lavora per fornire un resoconto chiaro di come una diagnosi clinica in realtà piuttosto rara sia diventata un fenomeno culturale fluido, un deposito per le nostre paure più profonde sull'amore, l'amicizia e la famiglia. Dombek taglia l'isteria alla ricerca della linea sottile che divide la patologia dall'egoismo comune, scrivendo con robusto scetticismo verso i profeti della patologia diffusa (opens new window) e invece con una genuina empatia per coloro che sono in buona sostanza le vittime di tutto questo. E infine, Dombek condivide la sua storia personale con l'idea di trovare un percorso lontano dal ciclo della paura e del biasimo che conduca verso una vita più indulgente e gratificante.

Click
Dove va la fotografia? È vero che non c'è più niente dopo i grandi del Novecento? Una carrellata di autori (opens new window) dal sito giapponese Zen foto (opens new window). Ad essere in Giappone, particolarmente a Tokyo, ci sarebbero un sacco di cose da andare a vedere. A Milano magari si può passare a vedere Raymond Depardon in Triennale (opens new window)

Essere il lutto
Non è un libro ma uno sciocco articolo acchiappaclick su Medium: cosa succede alla tua libreria di casa quando muori? (opens new window). Il suggerimento è di dare via i libri a una biblioteca (che probabilmente li butterà tutti via, come faranno i vostri eredi o comunque chi vi sopravvive). L'alternativa, suggerita anche da Giovanni Verga (opens new window), è provare a mangiarseli tutti durante la vita. Qualche pagina al giorno e ce la potreste fare. "Roba mia, vienitene con me!".


Coffee break

Mostly Weekly è una newsletter libera e gratuita per tutti. Se volete supportare il tempo che passo a raccogliere e scrivere le notizie, potete farlo offrendomi un caffè alla settimana su PayPal (opens new window) (che detto così sembra quasi un "in alto le mani, questa è una rapina", però vabbè ci siamo capiti).


Al-Khwarizmi

Microsoft vs Notion
Come sapete c'è una "scena" delle app per prendere appunti (opens new window) e costruirsi un secondo cervello digitale (opens new window): da Notion (opens new window) a Obsidian (opens new window) (che ho fatto scoprire all'amico Lionello, facendolo innamorare del sistema) sino al "mio" iA Writer (opens new window) è diventato un mercato molto vivace. Sono rapidi mammiferi che si muovono nella giungla digitale cercando di costruire un piccolo impero bonsai. Uno dei temi ricorrenti però è la presenza dei dinosauri carnivori: bestioni come Microsoft, Google o Evernote (ve lo ricordate?) che passa e cerca di mangiarsi tutto e infilarlo nel loro stomaco proprietario e dal quale è impossibile scappare. Beh, c'è dibattito (opens new window) relativamente al rapporto conflittuale tra Microsoft e Notion (opens new window) perché c'è chi si chiede se sarà il grosso bestione crudele a papparsi l'altro o viceversa, il piccoletto lo sbranerà e non lascerà neanche le ossa a sbiancarsi sotto il sole. (E lo stesso si potrebbe dire anche per Slack (opens new window)). Intanto, zitta zitta, Microsoft ha riprogettato Notepad (opens new window), che adesso si comincia anche a diffondere nelle varie anteprime di Windows.

A miracol mostrare
La versione 3.0 appena rilasciata (opens new window) di Tailwind CSS pare che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare, ch’ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare. Sospira (opens new window).

Hey LuLu!
Conoscete LuLu (opens new window)? È una app per macOS piuttosto utile e gratuita oltre che open source. È un firewall che filtra non le connessioni in entrata ma quelle in uscita, per evitare che le app "telefonino a casa" violando senza controllo la privacy delle persone che le usano. Funziona molto bene e fa quel che deve, che è una cosa utile. Perché nel nostro mondo iper-interconnesso, è molto raro trovare una app o un malware che non cerchino di comunicare con un server remoto. Anche Little Snitch (opens new window), ma quest'ultimo è a pagamento.

Il futuro della AR
Da ragazzino avevo la fantasia di un paio di lenti a contatto che proiettavano sul mondo tutte le informazioni digitali necessarie: come Terminator ma senza il robot. Sapete cosa? Adesso che vedo i primi esempi tipo questo degli Engo Glasses (opens new window), che sono più che altro degli head up display per chi va in bicicletta, mi sta passando la voglia.

Il Dns non si propaga
L'importanza delle immagini mentali delle cose è fondamentale. Se non avete in testa come funziona, come potete capirlo? Ad esempio, lo sapevate che dire che i Dns si propagano è sbagliato? Lo spiega Julia Evans molto bene (opens new window). I record dei Dns non vengono spinti (push) dal server di base verso l'esterno. Invece, è la cache con i record dei Dns che scade sul Dns resolver e viene aggiornata (pull) andando a scaricare i record aggiornati dall'authoritative nameserver. Insomma, il funzionamento dei Dns è pull, non push. (Già che si parla dei Dns: la Evans spiega bene anche come si usa dig (opens new window), che non è per niente facile).

Changelog
Aver aggiunto un changelog (opens new window) al mio sito Mostly Here (opens new window) è stata un'ottima idea. Serviva perché è strutturato a silos come sito statico anziché come flusso dinamico da blog, ma in realtà l'abitudine tenere un changelog (opens new window) di quello che si fa in un determinato contesto è molto utile. Se non fate cose tecniche ma comunque di pensiero, vale in ogni caso la pena tenere un diario di bordo (opens new window). In questa fase dell'anno si vede di più perché un sacco di gente mette mano alle sue retrospettive (opens new window) e questo mi fa pensare che si conoscano meglio se possono misurare alcune delle cose importanti. Oppure alla lista delle 51 cose che uno ha imparato nel 2021 (opens new window).

DotFiles
Dando per acquisito che sappiate cosa sono i dot files (opens new window) (i piccoli documenti nascosti di testo per la configurazione di programmi da riga di comando), saprete anche che dopo averli configurati uno vorrebbe poterli sincronizzare (opens new window) su quei due o tre (o trenta) computer che utilizza direttamente o tramite macchina virtuale. O anche solo fargli il backup (opens new window) e sincronizzarli tra portatile e fisso (opens new window). Poca roba, ma che dà soddisfazione anche perché è parecchio complicato. Ecco, modi ce ne sono. Questo è uno che forse funziona (opens new window): infilarli in un repo git per archiviarli e passarli da macchina a macchina.

Fleet
Ne ho già parlato, ne riparlo perché continua a tornare fuori. JetBrains (opens new window) sta spingendo tantissimo la sua nuova IDE che si chiama Fleet (opens new window). Personalmente a) non ho bisogno di una IDE ma semplicemente di un editor per le cose che devo fare sul front-end; b) preferisco comunque tecnologie consolidate che vengono ben mantenute e che c'è la ragionevole certezza dureranno a lungo. Vim, Emacs, cose così (opens new window).

Minecraft
C'era un aspetto sorprendente di Minecraft quando è uscito, ed erano i mondi generati proceduralmente (opens new window). Poi sono diventati noiosi e non interessanti. Oggi forse stanno tornando interessanti di nuovo (opens new window).

Wikipedia rifatta
Se volete una UX differente e più "moderna" per la navigazione di Wikipedia, qui c'è una soluzione (opens new window). È un plugin che funziona su tutte le versioni di Wikipedia ma solo con Chrome, Edge e Firefox.

Nvm
Volete gestire le versioni di node.js? Ecco a voi nvm (opens new window), Node Version Manager: permette di installare e usare versioni diverse di node.js direttamente dalla riga di comando. Secondo me c'è sempre troppa complessità e il fatto che nascano strumenti come questo (utili, per carità, non mi fraintendete) indica che bisognerebbe fare un grosso refactoring architetturale degli stack tecnologici attuali.


Narciso
Narciso ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Marcuse e i vaccini
Pubblicato nel 1964 il pamphlet di Herbert Marcuse L’uomo a una dimensione (opens new window) diventò uno dei testi di riferimento del movimento del Sessantotto. E non poteva essere diversamente, a partire dal famoso incipit: «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico». Lo stesso libro secondo Formiche (opens new window) sta acquistando nuovamente sempre più rilevanza (opens new window) grazie a passaggi come questo: «La società tecnologica avanzata tende a diventare totalitaria nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali». E ancora: «La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli». Viene da aggiungere (e non sarebbe fuori luogo) "Meditate gente!!!". Tuttavia, questa visione profondamente ideologica (opens new window), che vuole l'individuo schiacciato sotto la pressione della tecnica (opens new window) (di cui Marcuse comprendeva il senso ma non il funzionamento e soprattutto il metodo (opens new window)) produce davvero i risultati deteriori che il pensatore indicava? Frasi come: «La razionalità tecnologica è divenuta razionalità politica» e «Le tecniche dell’industrializzazione sono tecniche politiche; come tali, esse pregiudicano la possibilità della Ragione e della Libertà» sono facilmente fraintendibili e interpretabili in chiave no-vax, ad esempio. Detta altrimenti: c'è gente che si ammala e muore perché rifiuta di vaccinarsi in nome della Ragione e della Libertà di Marcuse (più o meno). E compie il rifiuto non con l'obiettivo di fare olocausto della sua vita, cioè il martirio per una Idea, bensì perché non vuole l'ago nel muscoletto del braccio. Salvo poi restarci secca facendo morire, indirettamente per carità, anche altre persone. Ma si può?




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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