[Mostly Weekly ~144]

Internet non ci rende più stupidi, nope


A cura di Antonio Dini
Numero 144 ~ 5 dicembre 2021

Bentornati su Mostly Weekly, la newsletter settimanale che esce quando è pronta. La settimana scorsa (opens new window) tra le mille cose ne ho scritta una che mi imbarazza parecchio: ho indicato una persona presente nel video di "Meta bis" come "la colf di colore" anche se in realtà era la coinquilina della protagonista. Scusate: è uno stereotipo razzista, mi spiace.

Invece, su una nota differente, com'è tradizione, ecco il calendario dell'Avvento (del codice) (opens new window) per il programmatore (e il sistemista, anche)

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Potete leggere questo numero di Mostly Weekly anche qui (opens new window), invece l'archivio lo trovate qui (opens new window).

Intanto, buona lettura.


Philosophy calls for plain living, but not for penance.
-- Seneca



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Editorialogica

Le menti più intelligenti
Internet non ci rende più stupidi. Siamo noi che ci illudiamo di essere più intelligenti. Nell'era digitale attuale, le persone sono costantemente connesse alle informazioni online. C'è una ricerca (opens new window) che spiega come l'accesso su richiesta alle informazioni esterne, consentito da Internet e dai motori di ricerca come Google, offusca in realtà i confini tra conoscenza interna ed esterna, inducendo le persone a credere di poter ricordare ciò che in effetti hanno solo appena trovato. Sostanzialmente non ci rende più stupidi, ma ci fa auto-ingannare, ritenendo di essere più intelligenti di quanto non siamo. Inoltre, questo diminuisce il lavoro e la fatica per capire e ricordare, diminuendo contestualmente la qualità e la quantità di cose che sappiamo. Infatti, l'utilizzo di Google per rispondere a domande di cultura generale aumenta artificialmente la fiducia delle persone nella propria capacità di ricordare ed elaborare le informazioni e porta a previsioni erroneamente ottimistiche su cosa sanno senza Internet. Quando le informazioni sono a portata di mano, si è erroneamente portati a credere che provengano dalla propria mente. Non è così. E questo è un problema.

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Castelli incantati
Castelli incantati ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Essere Bill Gates non va bene
L'avevo già letto (opens new window) e persino pubblicato qui qualche mese fa, ma ripetere male non fa: il vero problema di una società che crea persone ricche come Bill Gates è che crea quelle persone, ed è eticamente insostenibile. “L'unico modo in cui i miliardari possono aiutarci è investire per disfare il sistema che li ha creati. Non c'è modo di essere un miliardario morale. L'esistenza di tali fortune è costruita su una forma di sfruttamento sistemico che preclude la redistribuzione. Non possono esserci sia miliardari che i loro mezzi da miliardari che aiutano il mondo con la bontà dei loro cuori, perché l'unico modo per mantenere i miliardari è mantenere un sistema di raccolta del denaro solo in direzione dei miliardari”. Poi, potete girarci attorno quanto volete, ma state solo favorendo una ineguaglianza della quale siete per di più anche voi delle vittime.

2021 fuga dai social
Facebook, pardon Meta, continua a essere investito da ondate di non-amore da parte delle aziende. Dopo Patagonia (opens new window) (che ha fatto la cosa giusta ed è uscita dal social) adesso anche Lush (opens new window) ha deciso di mollare tutti i suoi account su Facebook, Instagram, Snapchat e TikTok. Spiega il ceo, Mark Constantine, che scoprire l'effetto tossico che Instagram ha sulle giovani ragazze (e bambine) è stata l'ultima goccia: «Non abbiamo avuto più scelta. Ho pensato "Queste cose le hanno scoperte loro stessi e hanno scelto di ignorarle. E se noi continuiamo non facciamo altro che attrarre altra gente in quello schema"». Ci perde 10 milioni di follower e un bel po' di fatturato ma se ne frega. Ottimo, ancora altri così, per favore.

Sex asociale
Meta è il male (si può dire?) e una risata la seppellirà. Ci provano gli islandesi (opens new window) ed è simpatico da guardare, e ci provano anche gli espertoni che argomentano: senza sesso il metaverso fallirà (opens new window) (ma Zuckerberg ha già detto che vuole livelli di "pulizia" disneyani).

La "sustainability" secondo l'AI
"Sostenibilità" è una di quelle parole che significano così tante cose diverse per così tante persone diverse, che ha praticamente hanno perso il loro significato originario. Eppure, è probabilmente la parola più popolare degli ultimi anni e lo sarà ancora di più nei prossimi. Pulsar, una azienda che analizza automaticamente il "sentiment" del pubblico usando l'intelligenza artificiale, ha frullato i dati di oltre 5 milioni di conversazioni online per esplorare cosa significa sostenibilità (opens new window) secondo le persone e le altre entità (istituzioni, aziende, etc) che parlano in rete, tracciando così il modo in cui l'uso del termine è cambiato negli ultimi dieci anni ed evidenziando i principali segmenti di pubblico e settori coinvolti nell'attuale conversazione pubblica.

La prossima pandemia
Se pensate che il problema sia l'attuale situazione generata dal coronavirus, forse è il caso che leggiate questo articolo (opens new window): il prossimo nemico sono i funghi, che finora abbiamo combattuto con l'aiuto di un clima favorevole ma che con il riscaldamento globale stanno per tornare alla grande. L'effetto potrebbe essere micidiale.


Yamato

Pinku eiga (ピンク映画)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese a puntate è pinku eiga, (ピンク映画), "film rosa" o "pink film" come sono generalmente conosciuti. Il termine non fa riferimento a un genere di film romantici, come lo stereotipo occidentale sul colore rosa lascerebbe immaginare, ma si riferisce invece a qualsiasi film giapponese che include scene con "nudità", cioè in cui si vede il rosa della carne (che è rosa anche in Giappone, non gialla, come lo stereotipo Ottocentesco dei "musi gialli" ci condiziona a pensare, sempre in Occidente). La carne che si vede nei film può essere una forma di nudità ma anche un atto sessuale tra persone sostanzialmente vestite o coperte da lenzuola o altro. Non è letterale. L'idea invece è che i giapponesi etichettano tutto sotto questa categoria ombrello: film erotici, porno, explotation e sexploitation, artistici, mainstream, sia fatti da piccoli produttori indipendenti o di nicchia (tipo OP Eiga, Shintōhō Eiga, Kokuei, Xces) che grandi e ben conosciuti.

Il periodo d'oro dei film rosa copre 30 anni circa, dal 1960 alla fine degli anni Ottanta. Bisogna capire un altro passaggio, però, in cui il letterale si sovrappone al concetto astratto. L'ufficio per l'etica e la censura nei film, Eirin, ha costruito un'ulteriore limitazione al modo con cui i cineasti (e anche i produttori di manga e anime) possono lavorare su temi "rosa", e cioè il divieto di mostrare i genitali e i peli pubici. Da qui le soluzioni creative dei registi di porre sempre un oggetto in mezzo all'inquadratura, angolare la ripresa oppure (in tempi più recenti) sfumare o pixellare la parte incriminata. Tutto, pornografia inclusa, in Giappone viene coperto o pixellato, anche quando riservato al consumo di "solo adulti".

I principali sottogeneri di pinku eiga sono stati due, portati avanti da due aziende concorrenti: la "Pinky Violence" di Toei e la "Roman Porno" della Nikkatsu. Entrambi i filoni sono nati all'inizio degli anni Settanta con lo scopo di andare a capitalizzare in un settore, quello dei pinku eiga, sino a quel momento controllato da piccole produzioni indipendenti e a basso budget. Mentre Toei si è concentrata sull'uso dell'erotismo declinato in maniera violenta (con registi e produttori come Shunya Ito, Norifumi Suzuki e Norifumi Suzuki), Nikkatsu, che è lo studio di produzione cinematografica più antico del Giappone, ha seguito una strada più artisticamente creativa, grazie alla strategia del presidente Takashi Itamochi che aveva visto il confine tra arte e pornografia come un bersaglio mobile più simile a un bagnasciuga che non a un muro. Ecco quindi i film di genere ma anche notevoli in assoluto di Tatsumi Kumashiro (il più bravo e prolifico), Noboru Tanaka, Masaru Konuma e i registi "mainstream" Shôgorô Nishimura e Yasuharu Hasebe.

Ci sono punti di contatto anche in questa nicchia con i modi e le strategie produttive del cinema nostrano della commedia erotica all'italiana, senza contare che negli anni Sessanta e soprattutto Settanta anche da noi in Italia il genere della exploitation e sexploitation aveva preso decisamente velocità. Tra le curiosità, l'Italia ha esportato in Giappone il sotto-sottogenere dei film "nunsploitation". Si tratta delle pellicole di sex exploitation con protagoniste suore cattoliche ambientati in monasteri medioevali: ci sono film con Laura Antonelli, Edwige Fenech, Eleonora Giorgi, Catherine Spaak, Ornella Muti e decine di altre attrici che negli anni Settanta hanno girato circa un centinaio di film erotici "all'italiana".

Da notare che il termine "exploitation" non ha a che fare con lo sfruttamento sessuale delle attrici o performer scritturati per il film, nonostante film come i mondo movie e in generale quelli di finta inchiesta su cannibali, stregoneria, nazisti e altro, cercassero di far passare anche questa idea, cioè che sullo schermo venissero sfruttate con la violenza o sessualmente delle persone. Invece, molto più banalmente, i "film di sfruttamento" si approfittano del pubblico e dei suoi istinti più bassi: sono opere di poco valore artistico, girate con l'obiettivo molto più prosaico di fare soldi con temi sensazionali spesso legati all'esotismo, all'erotismo e in generale alla sessualità o alla violenza. Insomma, lo sfruttamento è in realtà quello del pubblico, che viene attratto nelle grindhouse dai tabù messi in scena e paga per titillare i propri sensi. Spesso in Occidente questo tipo di film, soprattutto durante gli anni Sessanta, aveva anche una componente politica, tendenzialmente di destra, che veicolava in maniera studiata messaggi sovversivi vario genere. Se pensate a Facebook, non c'è niente di nuovo sotto il sole.

In Giappone il genere dei pinku eiga è sopravvissuto ai videoregistratori negli anni Ottanta, ai Dvd negli anni Novanta e allo streaming in quest'ultimo decennio, nonostante Nikkatsu sia andata in bancarotta nel 1993. Il genere tuttavia ha cambiato più volte definizione ed è passato attraverso una profonda trasformazione. Oggi ci sono sette registi giapponesi che incarnano simbolicamente l'anima del nuovo pinku eiga: Toshiya Ueno, Shinji Imaoka, Yoshitaka Kamata, Toshiro Enomoto, Yūji Tajiri, Mitsuru Meike e Rei Sakamoto. Sono "le sette divinità del rosa" (ピンク七福神, pinku shichifukujin) come le chiama la critica, e vincono premi in tutto il mondo, anche se il loro rimane un genere decisamente di nicchia.


Eventuali

Rilassarsi e dormire
Il problema non sembra essere la mancanza di metodi ma l'eccesso di rumore che confonde, oltre al continuo interrompersi e saltare da una parte all'altra. A me capita spesso di andare a letto più tardi di quando vorrei ma, se arrivo a poggiare la testa sul cuscino, mi addormento come un sasso e più o meno mi sveglio sempre alla stessa ora (un quarto alle sette). Però c'è ovviamente molto di più da dire, compreso un articolato discorso sulla qualità del sonno e la capacità che le persone hanno di rilassarsi (perché si comincia a riposarsi anche prima di dormire). Il Guardian fa una bella cernita (opens new window) di tecniche e modi.

Leggere la mente
Con questo esperimento (opens new window) gli scienziati hanno modificato geneticamente i neuroni delle meduse in maniera tale che scintillino quando sono attivati e quindi possano essere visti. Questo bisogno di "vedere" è necessario per capire cosa pensa l'animale: la nostra interpretazione degli schemi altrui passa dalla nostra capacità di percepirli. È qualcosa di ancora più profondo del pensiero e molto importante da un punto di vista epistemologico: ci fa vedere di cosa abbiamo bisogno per capire le cose degli altri, come ad esempio il pensiero. Alla fine, siamo codificati in un certo modo e abbiamo bisogno di tradurre gli stimoli e i segnali che percepiamo dall'universo per renderceli comprensibili. Figuratevi se incontrassimo Dio o gli alieni. O un robot effettivamente senziente.

Orient Express
Le rappresentazioni del grande ed esotico treno, da quella di Agatha Christie al Polar Express, sono state tantissime. Eppure, dell'originale si sa tutto sommato poco, se non che sia una specie di mito, un treno che incarna tutti i lussi e tutte le piacevolezze del viaggiare con stile e in modo lussuoso. Ci pensa il National Geographic a spiegare di cosa parliamo quando parliamo dell'Orient Express (opens new window).

Red Pepsy Navy
La realtà supera (di molto) qualsiasi fantasia. Come la storia della flotta di 17 sottomarini e altre navi d'appoggio che la Pepsy Cola comprò per alcuni miliardi di dollari dall'Impero Sovietico in rapido disfacimento nel lontano 1989. Una storia (opens new window) della quale si sapeva poco e che oggi è quasi dimenticata ma che invece offre una lezione di geopolitica (per quanto fallimentare) e una comprensione dei fenomeni della mondializzazione non banali.

Il limite esterno
Facciamo dei progressi straordinari ogni giorno, in ogni campo. Quando non andiamo velocissimi siamo frustrati come se fossimo immobili. Sembra che ogni anno si imparino cose quasi inimmaginabili l'anno prima. Eppure, anche se faremo un sacco di strada, ci saranno sempre delle cose fuori dalla nostra portata. Un bagno di umiltà (opens new window) serve sempre a capire qual è il nostro posto nel mondo.

Origini
Alle volte le cose sono stranamente volte nella direzione opposta a quella che potremmo pensare. Ad esempio, quando si immagina come replicare il successo della Silicon Valley nell'Italia dei campanili e dei distretti è intelligente andare a studiare la letteratura che fa da riferimento al successo delle startup e degli unicorni californiani. Ma quali sono i precedenti che gli studiosi hanno cercato per descrivere la Silicon Valley? I distretti (opens new window) e campanili (opens new window) italiani. Oppure, ancora meglio: quando si cerca di capire l'origine dei mall, i centri commerciali americani che sono sbarcati in forze trent'anni fa anche in Italia soppiantando i grandi magazzini e le gallerie del centro, ci si chiede a quale tipo di struttura si siano ispirati. Ovviamente se si va a guardare la storia, i mall nascono come rivisitazione americana degli "shopping arcade" nostrani (opens new window), cioè le buone vecchie gallerie europee (opens new window) come ad esempio quella di Vittorio Emanuele II a Milano, il Passage des Panoramas di Parigi o il Glavny Universalny Magazin di Mosca.

La nostalgia
Una mappa creata da un gruppo di artisti della pixel-art ricostruisce e potenzia la mappa della regione Johto (opens new window) dei giochi per Nes e GameBoy dei Pokemon "in una maniera tale che gli artisti dell'epoca non avrebbero mai potuto per via delle limitazioni tecniche". È parte di un ragionamento sulla nostalgia tech di una generazione (opens new window) che nasce con i Pokemon perché legata ai soliti Millennials e hipster (io avevo 26 anni quando in Giappone sono usciti Pokémon Red e Pokémon Blue: la mia nostalgia è casomai per Asteroids (opens new window) e Space Invaders (opens new window)). Maledetti trentenni: anche quest'articolo è scritto da uno dei nuovi assi di questa generazione, cioè Kyle Chayka (opens new window) (che ha scritto un notevole e inutile libri: The Longing for Less (opens new window) che dovreste leggere ma solo in digitale per non riempirvi la casa)


Multimedia

Joséphine Baker: questa donna americana naturalizzata francese è stata una delle figure più interessanti e avanguardiste del Novecento. La bellezza di Joséphine Baker come artista e performer è una cosa già notevole di per sé: è stata una bravissima ballerina e attrice, ad esempio nella Sirena dei Tropici (opens new window), e viene considerata non a caso la prima superstar nera (opens new window)). Ma Joséphine Baker è stata molto di più: era anche una coraggiosa partigiana ed era una attivista per i diritti civili. Adesso Baker è entrata nel Panthéon (opens new window) francese, uno dei più importanti onori che la République possa conferire, e forse stiamo riscoprendo un'immagine più lo-fi (rispetto alle figure femminili in 4K e super-HDR di oggi) che andrebbe guardata e ascoltata molto di più. Lo sa molto bene Beyoncé Knowles, che ha reso omaggio a Joséphine Baker molte volte. Ma bisognerebbe parlare anche degli altri aspetti meno artistici e musicali della sua vita, soprattutto adesso che ce n'è più bisogno.

I lucchetti, le serrature, tutti i meccanismi di protezione meccanica, sono fallati di brutto. È un segreto che chi produce questo tipo di dispositivi cerca di proteggere mantenendolo tale: un segreto. Si chiama "security by oscurity" ed è semplicemente la peggiore linea di difesa che si possa immaginare, per un informatico o per un fabbro. Detto questo, sentitevi questo keynote di un mese fa tenuto da LockPickingLawyer (opens new window), un vero avvocato con un canale Youtube nel quale mostra (in quasi duemila video) come si apre qualsiasi tipo di serratura, lucchetto, blocco a impronta digitale e via dicendo. La chiave del suo ragionamento è che chi progetta questi meccanismi di protezione sbaglia perché pensa a cosa devono fare (tenere chiusa una serratura con una combinazione) e non a cosa fanno realmente (venire aperti in meno di tre secondi). Fantastico.

Hayao Miyazaki sta lavorando a un nuovo film, forse l'ultimo: l'artista giapponese ha 80 anni, aveva detto già da tempo di essersi ritirato ma poi ritorna, e lavora sempre come un matto (i suoi film richiedono anni e lui stesso disegna migliaia di tavole per l'animazione). La filosofia di un uomo senza computer è che lo strumento per creare sia il lapis. Questo lungo ritratto-intervista (opens new window) sul T-Magazine del New York Times è la lettura consigliata di questa settimana. Tra l'altro, è un articolo lunghissimo basato su una intervista che, si capisce pian piano, praticamente non esiste: Miyazaki è uno che non dà interviste e quando le dà non parla. E non si è smentito neanche questa volta. Con il risultato che la giornalista di turno, Ligaya Mishan, si è dovuta inventare un articolo di profilo che sembra una cometa: passa sfrecciando vicino al Sole, s'illumina ma se ne va senza prendere mai fuoco.

Masayoshi Takanaka è una specie di divinità della musica "city pop", genere molto giapponese e orecchiabile. In questo concerto del 2011 (opens new window) il compositore e chitarrista aveva 58 anni e andava come un siluro.

Aggiornare l'SSD del MacBook Air M1 si può? L'amico Lello mi segnala questo video da kamikaze (opens new window) (anche se cinese) in cui un riparatore asiatico prende, squaglia il metallo che tiene saldati sulla scheda madre gli integrati con la memoria degli SSD di un MacBook Air e ne appiccica altri due più capienti, passando da 256 Gb a 1 Tb. Solo per gente coraggiosa.

Andrea mi tenta e vuole farmi spendere 4 euro in un gioco multi-piattaforma (che se lo compri su store diversi ovviamente te lo devi ripagare), cioè questo Townscaper (opens new window) che non ha una trama, non ha un obiettivo, solo la gioia di farlo. Permette di costruire un borgo o un castello o qualcosa del genere sull'acqua, un blocco alla volta. Maledettamente ipnotico: i 4 euro stanno tintinnando nel borsellino. Qui c'è la demo online (opens new window) (per risparmiare 4 euro, almeno per un po' perché funziona su computer e non su tablet o console o telefono, dove ci sono le maledette app).

Le Feynman Lectures On Computation (opens new window) sono un libro meno famoso delle sue Feynman Lectures on Physics (opens new window) ma sono costruite in maniera simile e soprattutto hanno una genesi analoga: spiegare bene una scienza. Per la computazione il lavoro fatto da Feynman è stato particolare (e questo rende le lezioni utili anche adesso). L'approccio Feynmanesco prevede una ricognizione di molti argomenti tipici e alcuni nient'affatto tipici dell'informatica tradizionale come i reversible logic gates e il quantum computing. Il corso è stato fatto al Caltech nel periodo 1984-86 e alla fine Feynman ha chiesto a Tony Hey di adattare i suoi appunti in forma di libro e includere anche le lezioni degli ospiti, che sono stati alcuni dei più brillanti scienziati del tempo: Marvin Minsky, Charles Bennett e John Hopfield.

Sto scoprendo la Nuova Canzone Cilena: "Gracias a la Vida" è una delle canzoni cilene più conosciute e interpretate al mondo, composta ed eseguita dalla cantautrice Violeta Parra, una delle artiste che ha posto le basi del movimento artistico conosciuto come la Nuova Canzone Cilena. "Gracias a la vida (opens new window)" è la canzone che apre il suo album Las Últimas Composiciones (1966), l'ultimo pubblicato da Violeta prima del suicidio nel 1967. Con la collaborazione dei suoi figli Isabel e Ángel, nonché del musicista uruguaiano Alberto Zapicán, Violeta preparò nel 1966 l'album che sarebbe diventato Las Últimas Composiciones. È un album che, secondo alcuni specialisti, presenta il meglio del suo lavoro, contenente brani come "Run Run, Se Fue Pa'l Norte", "Maldigo Del Alto Cielo", "Volver A Los 17" e "The Albertío". Questo gruppo di canzoni era "una sorta di epitaffio in anticipo, una registrazione di canzoni intense e contraddittorie come la sua vita". Le prove indicano che Violeta ha preparato con cura questo album per diventare il suo ultimo lavoro. In effetti, mai sino a quel momento le sue emozioni e le sue creazioni sono state fuse assieme in maniera così drammatica, rendendo la sua opera finale contraddittoria e più intensa di tutto quel che aveva fatto sino a quel momento.

Ok, ammettiamolo, come tutti quelli nati professionalmente in radio, soffro di horror vacui: non riesco a stare zitto e devo riempire i vuoti delle conversazioni. Anche a costo di sparare cavolate. Come quando ho spiegato a mio figlio ottenne che Seven Nation Army (opens new window), la canzone dei White Stripes, è dedicata all'armata dei nativi americani che ha combattuto eroicamente contro i conquistatori bianchi (perdendo, ma con onore). Beh, in realtà – me lo sono andato a leggere – il titolo era praticamente un segnaposto senza senso messo lì intanto che Jack White si era scritto questo riff di sette note che gli girava in testa (composto una sera in un motel durante un tour in Australia). "Seven Nation Army" in realtà era quello che White da bambino a Detroit capiva fosse il nome vero dell'Esercito della salvezza, la "Salvation Army". La pronuncia in inglese in effetti è simile, e crea un gioco un po' come "Quella tua maglietta Fila" di baglionesca memoria. In ogni caso, se vi torna a galla la passione per il garage rock e volete sapere qualcosa di più dei White Stripes, qui c'è il documentario giusto (opens new window).

Non se ne parla mai abbastanza, ma la musica a 16 bit ha una storia tutta sua che viene raccontata in questo documentario (opens new window)


Tsundoku

La storia di Robert Delpire, il più grande “mostratore di immagini” del Novecento, nel suo libro *C'est de voir, qu'il s'agit (opens new window)" raccontato straordinariamente (come sempre) da Michele Smargiassi (opens new window). Tra l'altro, se volete farvi una storia della fotografia contemporanea in poche mosse, nell'articolo di Michele c'è tutto quello che vi serve cercare.

Ecco i LibriVox. Come ci sono i libri digitali liberi da copyright, così ci sono anche gli audiobook fatti da volontari e altrettanto liberi e gratuiti. Anche in italiano (opens new window). Su LibriVox (opens new window) ci sono tantissimi audiolibri inclusi 250 e passa nella nostra lingua (opens new window).

All About Me! (opens new window) è la biografia di Mel Brooks (uscirà anche in Italia come Tutto su di me! (opens new window), edito dalla Nave di Teseo) che a 95 anni sta lavorando anche alla scrittura di History of the World, Part II, il seguito di uno dei suoi film più famosi. Con la scusa del libro, la storia di Mel Brooks viene raccontata dal New Yorker (opens new window) e vale la pena leggerla.

Le loro prigioni sono tremende. Ci sono alcune ingiustizie così grandi e dolorose che è quasi impossibile notarle e parlarne. Il sistema giudiziario americano si poggia su una rete di prigioni private o gestite con criteri di mercato che fondamentalmente estraggono soldi dai carcerati e dalle loro famiglie. In questo articolo (opens new window), che spiega come mai non si legge più in prigione, viene infatti fuori questo aspetto aberrante della cultura americana contemporanea che, temo, sia non lontano anche da casa nostra. Da leggere e rabbrividire.

Sled driver (opens new window), pilota di slittino. È l'autobiografia di Brian Shul, pilota militare che racconta la sua carriera nel sedile anteriore del più veloce aereo militare del mondo (opens new window), il Blackbird SR-71. In particolare, questa racconto (opens new window) di un passaggio dimostrativo a bassa quota a beneficio dei cadetti di una piccola base della RAF è uno spettacolo di storia.

Conoscete Minúscola? Parlo tanto di libri (un po' un'ossessione, che dite?) ma poco di editori. Ce n'è uno di Barcellona che vale la pena conoscere: si chiama Minúscula, racconta Página 12 (opens new window) ed è stato fondato da Valeria Bergalli. Ha pubblicato più di 110 scrittrici e scrittori importanti, tra i quali anche Victor Klemperer con il suo notevole La lengua del Tercer Reich (opens new window), che è una analisi di come si sia trasformato il tedesco durante i dieci e passa anni di nazismo. Forse ci sono libri analoghi anche per l'italiano del fascismo (non li conosco), che ancora ci fa pagare pegno su tantissime parole, diventate "inutilizzabili" perché compromesse, inclusa tutta la parte vitale della latinità e della Roma antica, che sa di "fascio" e di "littorio".


Coffee break

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Al-Khwarizmi

No-Notion, No-Dropbox
C'è una alternativa open source e rispettosa della privacy per quanto riguarda Notion: si chiama AppFlowy-IO (opens new window) e devi costruirtela da zero (nel senso di compilarla su macOS) però poi funziona bene. Parlando di alternative, c'è questo client da riga di comando a DropBox che mi sta intrigando sempre di più. Sto abbandonando Dropbox: quando mi scadrà non la rinnoverò e userò solo i giga free di spazio. Però preferivo non dover far girare il pessimo client in locale, che fa quel che diavolo gli pare a lui. Mi basterebbe solo uno strumento per sincronizzare quando serve, senza impiccarmi il computer. Questo strumento a quanto pare esiste, è open-source e si chiama Maestral (opens new window): funziona su Linux e macOS pare decisamente bene (opens new window), consumando poca poca batteria e le aspettative sono alte. Ci sono alcune limitazioni che a me sembrano più dei plus (opens new window). Vediamo.

Lazygit
Si fa fatica a usare git dalla riga di comando. Ma è utile per imparare bene a usarlo. Ci sono un po' di app per usare git con l'interfaccia grafica, ma c'è anche questo progetto (l'ho appena scoperto) per creare un client CLI decente. Si chiama Lazygit (opens new window) e semplifica un po' di cose. È l'interfaccia interattiva a quadratoni per il terminale che fa tanto app per il DOS, ricordate? Bella, però. Su macOS si comincia ovviamente da "brew install lazygit". E qui c'è un video che spiega un po' di funzionalità (opens new window). Sembra complicato ma alla fine bisogna partire dai quattro comandi chiave (add, commit, pull, push) e il resto vien da sé.

Pinta
Ma voi lo usereste un software per i disegno digitale e l'editing fotografico con poche funzionalità? Pinta (opens new window), open source e multipiattaforma, fa proprio questo: permette di fare in maniera facile le cose che più o meno servono, anziché inseguire la parità di funzioni con Photoshop. È uno dei motivi per cui, ad esempio, anziché usare OpenOffice in alternativa a Word di Microsoft (che ho buttato dalla finestra anni fa) vivo felice e contento con Scrivener (opens new window) (per scrivere i libri) e iA Writer (opens new window) (per tutto il resto, inclusa Mostly Weekly).

re:AMP
Dalla Russia con amore: il clone del player per Windows (ve lo ricordate, Winamp (opens new window), che peraltro ancora c'è (opens new window)?). Ecco qui, re:AMP (opens new window), compatibile persino con gli skin originali (opens new window). Ma in realtà basta e avanza l'iconica grafica che mi ha accompagnato un paio di estati all'inizio degli Novanta, quando si caricavano tre box Windows (con relativi monitor CRT) nel bagagliaio piuttosto capiente della mia Twingo azzurra prima serie e s'andava a montare audio in trasferta, installando tutto in una postazione dedicata e collegata tramite una quarta box Linux a Internet grazie al Bistecca e a due modem ISDN in parallelo. Altri tempi.

CSS Reset
Attenzione, questo che segue non è un vero CSS Reset. Cioè, prendete quello di Eric Meyer: quello sì che è un CSS Reset (opens new window), cioè uno strumento per azzerare le differenze tra browser buttando giù tutti gli stili di default e portando lo stato del sistema al vuoto più completo. L'autore di questo CSS Reset (opens new window), Josh Comeau, ritiene che ormai le differenze tra browser siano minimali per fare il rendering dei fogli di stile delle pagine e che alcuni dei default siano invece utili da preservare. Tuttavia, questo CSS Reset è uno strumento didattico notevole e un comodo meccanismo per ripulire e semplificare alcune idiosincrasie che si incontrano qua e là. Nell'articolo Comeau spiega riga per riga cosa fa il suo CSS Reset.

L'altro lato di Copilot
Avevamo già parlato di Copilot, il sistema di intelligenza artificiale che viene usato da GitHub per completare il codice scritto nel suo ecosistema (una cosa di pensiero molto Microsoft) e basato su un frullatone di machine learning di milioni di righe di codice open source che però hanno perso qualsiasi attributo di licenza open. Adesso, Copilot viene usato in un altro modo notevole: "legge" il codice e ve lo spiega (opens new window). E questo è tutto un altro gioco, decisamente interessante.

Generatori di siti statici
Poi non mi dite che non parliamo mai di tecnologie. Astro (opens new window) è un costruttore di siti statici super veloce che esegue il rendering dell'intero sito in HTML statico. Si possono utilizzare tutti i nostri framework JavaScript preferiti per creare il sito, ma senza inviare JavaScript al browser. Ok, in realtà Astro potrebbe ancora aver bisogno di spedire un po' di JavaScript per componenti interattivi come caroselli di immagini e carrelli della spesa, ma se un utente non vede mai quegli elementi, non ha bisogno di caricare il JavaScript che li esegue. E questa, lasciatemelo dire, è una figata assoluta. Astro (opens new window) è un po' come la "Diet JavaScript". O il code-splitting, ma con un marchio migliore. La v0.21 (opens new window) apporta alcune importanti modifiche (e riscritture complete) ad alcuni degli interni chiave di Astro. Un nuovo compilatore scritto in Go e distribuito come WASM, il che lo rende più veloce, più flessibile e più stabile del primo compilatore di Astro (che è un fork di Svelte). Un nuovo motore per le build (opens new window): è la grande novità, cioè che Fred K. Schott ha sostituito Snowpack (opens new window) (la sua altra creazione, oltre ad Astro) con Vite (opens new window). Questa è una mossa intelligente (anche perché Vite (opens new window) è oggettivamente fantastico). Componenti in Markdown: ora si possono importare componenti all'interno del frontmatter in markdown con uno script di installazione opzionale e utilizzarli in qualsiasi punto della pagina. In conclusione: Astro sta già ricevendo molti complimenti per quanto è veloce e facile per lavorarci. Ne sentiremo ancora parlare.


La terrazza
La terrazza ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Lo spettro di un sociologo si aggira per l'Europa
In questo favoloso articolo (opens new window) di Jill Lepore per il Guardian il tema è la società, che viene negata da alcuni dei leader politici conservatori bianchi e occidentali che hanno impattato e inquinato gli ultimi cinquant'anni di storia (cioè Ronald Reagan e Margaret Tatcher) e che invece è qualcosa di fondamentale per capire cosa sta succedendo con l'evoluzione della pandemia e forse della sua fine. Un articolo lungo, documentato, che pennella con calma e metodo le basi del mondo nel quale viviamo, e toglie ambiguità a molte di quelle cose di cui ci riempiamo la bocca creando fragranti e tossici fraintendimenti. Da leggere con calma e attenzione. E, parlando di società e trasformazioni, come ignorare il ruolo del Whole Earth Catalog e di The Well, il social ibrido nato all'epoca? Questo articolo racconta tutto (opens new window). A me piacerebbe che fossero queste le riflessioni anche sui nostri giornali, ma probabilmente mi illudo. A noi interessa di più il gossip.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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