[Mostly Weekly ~136]

Dati, errori, alternative


A cura di Antonio Dini
Numero 135 ~ 10 ottobre 2021

Essere curiosi
Come dice Thor al fratello Loki in Ragnarok, la vita alla fine vuol dire crescere e maturare, non restare prigionieri sempre del solito, ripetitivo ciclo. Ho conosciuto persone molto intelligenti, molto ricche o molto motivate, che hanno utilizzato la loro straordinaria determinazione per trasformare il fallimento e la paura in energia positiva. Tutto molto bello. Personalmente mi ritrovo più a mio agio con la premessa di questo articolo (opens new window): il vero superpotere è quella di essere curiosi.


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Intanto, buona lettura.


Believe you can and you're halfway there
–– Theodore Roosevelt



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Editoriale

Fare da soli: l'autarchia del dato
Come probabilmente saprete Facebook, Instagram e Whatsapp questa settimana si sono inchiodati: sono rimasti offline per circa 6 ore. Panico per molti, incluse quelle persone che su questi strumenti hanno investito parte della propria vita di relazione: proprietari di piccole imprese, associazioni, gruppi di lavoro o politici e di volontariato. Limitiamoci all'esempio che piace di più agli americani (opens new window): se gestite la vostra piccola attività da una pagina Facebook o da un account Instagram per sei ore avrete visto zero traffico e zero vendite. Soprattutto, la frustrazione (e la paura) potrebbero essere derivate dalla consapevolezza che non c'è niente che si possa fare se non aspettare che Facebook risolva.

L'alternativa è fare da soli e quantomeno differenziare la propria presenza online. Ma diciamo soprattutto fare da soli. Non nel senso di montare un server in soggiorno, ma nel senso di utilizzare servizi che siamo in grado di controllare. Soprattutto, più di uno. Ci sono storie di gente (opens new window) a cui Google "per errore" ha fulminato l'account di Gmail (quanti di noi che usiamo Gmail abbiamo un backup della posta?), oppure sono stati buttati fuori da Facebook o da Twitter. Insomma, shit happens. La contromisura? Un po' di autarchia del dato. E diversificazione.

Usare servizi diversi per tenere copie dei dati aggiornati, magari salvare le foto da qualche altra parte oltre che nel cloud (oppure anche in altri cloud), salvare una copia della rubrica dei contatti casomai il telefono decidesse di farla fuori per sempre, e via dicendo. Per riuscire in questo tipo di operazione occorre conoscere un po' gli strumenti (opens new window) ma soprattutto bisogna conoscere le logiche di funzionamento (opens new window) (alla fine se sai che ti serve lo strumento impari a usarlo per lo scopo che ti sei prefisso) e gli obiettivi. Serve, insomma, fare un po' di analisi. Che fatica e che noia, vero?

Facevano fatica e si annoiavano anche i nostri nonni quando si mettevano al tavolo di cucina, una volta al mese, a fare i conti e preparare i documenti per la gestione delle attività di famiglia. Ci vuole un momento di consapevolezza strategica (fare analisi) e poi di lavoro "in più" rispetto a quello che è il lavoro normale, per gestire le cose. Una volta ci si annoiava con i faldoni e i raccoglitori, le fatture e i certificati, i conti da fare su un foglio di carta, il libro della contabilità da tenere. Oggi molte cose sono automatizzate, ci sono le app, i dati sono già digitalizzati e devono solo essere trasferiti da un silos all'altro. Ma le cose sono anche diventate più complesse. Per questo occorre soprattutto capacità di analisi e non soltanto capacità tecnica.

Abbiamo già raggiunto e superato il punto in cui la complessità del mondo (opens new window) supera la capacità di ciascuno di noi di conoscerlo e dominarlo. Occorre un metodo intelligente, non basta più aver studiato e mandato a memoria le nozioni.

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Chinatown
Chinatown ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Rubare tutto (e donarlo ai cinesi)
Amazon ha pagato Twitch poco meno di un miliardo di dollari e adesso tutto il codice sorgente e i dati, che poi vuol dire sostanzialmente l'azienda meno le persone che ci lavorano, sono state rubate e scaricate su internet (su 4chan, per cambiare) in un file da circa 125 (opens new window) o 135 (opens new window) GB (ci sono differenti versioni, non ci penso neanche a scaricarlo per verificare quale sia quella giusta). Nel blob ci sono tutte le versioni del codice di Twitch a partire dalla prima, i report dei pagamenti dei creator dal 2019, il codice per i client mobile, desktop e console, gli SDK proprietari e i servizi AWS utilizzati, tutte le altre tecnologie software proprietarie connesse, Vapo (concorrente di Steam, non ancora rilasciato, creato per Amazon Game Studios) e infine tutti i tool per la security del sito. È stato creato anche un database di tutti i creator con relativi pagamenti per chi voglia capire quanto guadagnano su Twitch (forse adesso messo offline (opens new window) ma c'è anche qui (opens new window)).

È inutile dire che questa è una miniera d'oro per chi voglia studiare lo streaming e duplicarne funzionalità o strategie in maniera "comoda". In buona sostanza, aziende cinesi. La motivazione dell'hack però è con tutta probabilità diversa, almeno se c'è da credere a quello che scrivono su 4chan gli attaccanti: "La community di Twitch è un disgustoso pozzo nero tossico, quindi per favorire più disagio e concorrenza nello spazio dello streaming video online, li abbiamo completamente sbragati".

L'attacco è stato portato avanti da agenti esterni e si è basato su una cattiva configurazione di un server cloud (AWS) dove i dati sono stati esposti. Va detto che l'azienda non aveva mai sviluppato un modello di risposta alle minacce, tutti gli ingegneri potevano clonare la totalità del repository del codice e nonostante siano di proprietà di Amazon dal 2014 (che ha regole di sicurezza piuttosto stringenti) Twitch era completamente autonomo e utilizzava un approccio molto più lasco. Per dire: un ex ingegnere dell'azienda un anno dopo aver cambiato datore di lavoro ha le sue credenziali ancora attive (e il suo badge funziona ancora per avere accesso fisico nel palazzo). Se la sono cercata? Oh yes.


Yamato

Sindrome da marito in pensione (主人在宅ストレス症候群)
Questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese andiamo a scoprire non tanto una parola bensì una locuzione: Shujin Zaitaku Sutoresu Shoukougun (主人在宅ストレス症候群), letteralmente "sindrome da stress del marito a casa". Il significato è perfetto così, ci sarebbe poco da aggiungere per spiegare di cosa stiamo parlando. È una malattia psicosomatica vera, però: il 60% delle donne giapponesi più vecchie è ricorrente, e porta a malattia fisica o a stati di depressione (ma anche asma, rash cutanei, pressione alta, ulcera). La sindrome è stata individuata nel 1991 dal dottor Nobuo Kurokawa, un chirurgo di Osaka che ha cominciato a curare la sindrome dieci anni prima di scriverne, e che è poi l'autore della stima secondo la quale più della metà delle donne scoprono che l'età della pensione per i loro mariti corrisponde anche al ritorno a casa di un uomo che è stato "sposato al suo lavoro" per trenta o quarant'anni ed è diventato un perfetto sconosciuto per la compagna incontrata da giovanissimo.

In occidente la sindrome non c'è, viene da dire in maniera un po' grossolana, perché si divorzia più facilmente. In realtà non c'è solo questo: molte donne vivono una sorta di sindrome di Stoccolma o comunque provano il desiderio di legarsi ancora più strettamente all'uomo (che il medico dice essere di solito totalmente inconsapevole di quello che succede alla moglie) e in qualche modo annullarsi in questa nuova dimensione del rapporto. Ci sono le aspettative sociali, i vincoli legali e patrimoniali (le mogli non hanno molti diritti in caso di separazione, almeno rispetto alle loro controparti occidentali) ma anche una costruzione familiare piuttosto banale e diffusa: il modello "Breadwinner".

Si tratta di un modello patriarcale studiato da tempo in cui il sostentamento familiare grava su di un solo membro, il pater familias, per così dire (non è raro che sia invece la donna, soprattutto nelle famiglie di migranti). Nel corso del tempo questa ripartizione rigida di ruoli, in cui l'intera famiglia ha mera funzione sussidiaria e viene sostenuta da un'unica figura, si è sclerotizzata nella società giapponese ed è portatrice di profonde contraddizioni e di doppi legami che generano insanabili contraddizioni.


Eventuali

La vite giusta
Un po' di tempo fa ho appeso le mie due chitarre al muro. Era un bel po' che non piantavo dei chiodi grossi nel muro (soprattutto non in questa casa) e mi sono anche divertito perché i miei vicini hanno un trapano a percussione notevole. Soprattutto, mi sono messo a pensare ai tipi di muri e ai tipi di chiodi, fisher e sistemi di fissaggio vari: il bricolage no è il mio settore e ne so poco. Mi manca, soprattutto, una buona immagine mentale di come funzionano. Passa un po' di tempo e poi salta fuori questo articolo (opens new window) su come funzionano viti e chiodi vari visti da "dentro il muro": in ritardo ma perfetto. Lo tengo buono per la prossima volta.


Multimedia

Hall and Oates, Nine Inch Nails e un goccio di Iron Maiden: ne vale la pena, credetemi. Hall and Nails - "I Can't Get Closer for That" (opens new window). Sul serio: "The obvious next step is to make this into a movie directed by David Fincher".

Poi, intendiamoci, se vogliamo andare avanti, è un gran bel gioco: The Temptations e i Black Sabbath con "Get Ready for the Grave" (opens new window) è portentosa: "I unironically want Soul Metal to become a thing".

Oppure, ma dovete darmi retta perché qui si va nel trascendente, potete sbizzarrirvi con Michael Jackson ed Eric Clapton che fanno la loro “Billie Cocaine” (opens new window): "Who knew that mashing up Michael Jackson and Eric Clapton would equal Steely Dan?"

A proposito di Billie Jean, ma ve lo ricordate James Hill mentre la suona con l'ukulele con la sua band immaginaria? No? Beh, adesso non ve lo dimenticherete più (opens new window).


Tsundoku

Non un libro, ma una piccola miniera. Qualche anno fa, se non ricordo male nel 2018, mentre ero a San Francisco sono andato a trovare quelli di Stripe (sistemi di pagamento) e ho scoperto che avevano una casa editrice interna all'azienda chiamata "Stripe Press". Pubblicano nuovi libri importanti o vecchi libri importanti che non sono più facilmente reperibili. Già il sito è notevole (opens new window), ma vi garantisco che i libri sono notevoli.

Qualche settimana fa si è suicidato Stefano Di Marino (opens new window), uno dei più prolifici e affascinanti scrittori thriller italiani. Da quasi trent'anni scriveva a ritmo serrato decine di romanzi. Solo la sua serie più famosa, quella del Professionista (scritta con lo pseudonimo di Stephen Gunn) tra qualche settimana arriverà al romanzo numero 57, l'ultimo consegnato all'editore. Intanto, in edicola è appena arrivato il numero 34 della raccolta dei suoi romanzi per Segretissimo di Mondadori, intitolato Il Professionista Story 34 - Gangland vendetta & Guerre segrete (opens new window).

Visto che siamo sul filone da edicola, vi segnalo anche che Urania (opens new window), la storica collana di fantascienza sempre della Mondadori, questo mese ha ripubblicato nella collana Urania Collezione (numero 225) il romanzo del 1997 di Massimo Mongai intitolato Memorie di un cuoco d’astronave (opens new window), che è un piccolo classico tutto italiano, molto gradevole. Questo è un buon mese perché nella serie principale di Urania, con il numero 1695 è uscito un recente romanzo di John Scalzi intitolato Il tesoro di Zarathustra (opens new window) che promette molto bene.

A me Scalzi piace, sto leggendo man mano che escono per la Fanucci i romanzi del ciclo The Interdependency. Sinora sono usciti Il collasso dell'Impero (opens new window) (2017) e Lo stallo dell'impero (opens new window) (2019), e lo scorso giugno è finalmente uscito in Italia anche il terzo e ultimo romanzo del ciclo, intitolato L'ultima imperatrice (opens new window). La premessa è buona (si interrompe il "flusso" che permette di passare da un sistema all'altro dell'impero stellare, portando all'isolamento totale i vari pianeti), la storia ben strutturata e il crescendo finale promette bene.

Una nota sulla quale avrei voluto avere il tempo di scrivere qualcosa di più strutturato: sostengo da tempo che andrebbe tradotto quel che manca da noi di Edgar Rice Burroughs, l'autore di Tarzan e di John Carter di Marte. Alcuni suoi libri sono fuori copyright e vengono tradotti ex novo o comunque ripubblicati. Tra gli inediti in italiano ci sono i tre romanzi del ciclo di Pellucidar e i tre romanzi brevi del ciclo della Terra dimenticata dal tempo. Sono due rivisitazioni fatte da Burroughs di due classici di genere: Pellucidar è la sua versione del viaggio al centro della Terra, mentre la terra dimenticata dal tempo è il remake dell'isola misteriosa. Di quest'ultimo (di Burroughs) ho preso l'edizione in un solo volume curata da Landscape Books (opens new window) mentre per Pellucidar sempre di Landscape Books, ho Al centro della Terra (volume 1 del ciclo) (opens new window) e Pellucidar (volume 2 del ciclo) (opens new window). Più avanti (entro la fine dell'anno, credo) uscirà anche il terzo volume. È un Burroughs tutto da ritrovare che io adoro (quando ero ragazzo incontrare John Carter di Marte e Carson di Venere pubblicati in Italia dalla Nord fu una meravigliosa scoperta). Un desiderio irrealizzato? Mi piacerebbe che qualcuno prendesse il coraggio a quattro mani e ripubblicasse tutto Tarzan, che è stato tradotto solo per metà.

Coffee break
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Al-Khwarizmi

La storia dei computer come idee
Ci ho pensato un bel po' se "liberare" questo articolo (opens new window) che ho pubblicato sul mio sito. In realtà non è un articolo ma più una specie di raccolta di idee, di appunti che ho preso da varie parti per cercare di sistematizzare un approccio all'informatica che trovo intellettualmente più soddisfacente che non parlare semplicemente di cpu, ram, storage, etc. Non sono idee mie nella stessa misura in cui non erano idee mie quelle che scrivevo negli appunti quando facevo il liceo o l'università. Però sono idee che cerco di fare mie. E magari interessa a qualcuno sentirsi raccontare la storia delle idee anziché quella degli oggetti, hardware o software che siano. Che ne pensate?

Versionare Swift su iPad
Avete bisogno del controllo di versione per Swift Playgrounds su iPad, adesso che è diventato bello potente? Facile. Dovete usare Working Copy (opens new window) (che è una app che adoro e uso quotidianamente anche per gestire questa newsletter, il mio sito e quello di Tilde). Per gestire i progetti di Swift Playgrounds, clonateli dentro Working Copy e apriteli toccando Posizioni nell'angolo in alto a sinistra. Facile, no?

Comparare su Mac
Parlando di git e di comparazione, su Mac sta prendendo notevolmente piede Kaleidoscope (opens new window), che funziona da solo o con Xcode. Costa uno sproposito. È la app più costosa che abbia incontrato finora: 149,99 euro. Ma ti fa vedere le differenze tra due versioni di tutto. Anche di due immagini. Almeno, così dice, perché sinceramente 150 euro da spendere per questo non ce li ho.

Quick Notes
Utilizzo moltissimo l'iPad Pro per scopi diversi, sia con la tastiera che senza. E da quanto avete letto sopra posso farci molte cose che un tempo si facevano con il portatile. Ho installato la nuova versione di iPadOS 15 e nonostante tutto non porto con me la Apple Pencil. Ma la nuova funzione di Quick Notes e riconoscimento della calligrafia mi sta cominciando a tentare. John Voorhees, allievo di Federico Viticci, su MacStories la spiega molto bene (opens new window).

Tutto è testo
Il paradigma di Unix (il testo è una interfaccia universale, tutto è documento) ha vinto ed è la base di Internet dal punto di vista tecnologico, anche se ci sono vari tentativi per cambiare passo e introdurre altri paradigmi. Tuttavia, visto che stiamo parlando della cosa più importante da capire e saper usare, bisogna conoscere anche gli strumenti di testo strutturato. Questo repository (opens new window) contiene un elenco di formati di file basati su testo e strumenti da riga di comando per manipolarli. Include anche strumenti per produrre output di testo strutturato e CLI per database a documento singolo. Con questi soli strumenti potete governare il mondo digitale.


Questione di stile
Questione di stile ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

No, sul serio
I dati sono importanti. La nostra identità digitale è una parte di noi, non una risorsa che le big del tech possano sfruttare quanto vogliono, oltretutto inquinando la società e rendendola tossica. Facebook, e le sue consociate Whatsapp e (ahimè) Instagram, sono quelle che ne abusano di più. Non capisco perché non ce ne andiamo tutti almeno da Facebook. Sul serio: perché? Whatsapp è difficile (la rete di comunicazione), ma Facebook è proprio tossico. O almeno non capisco perché quantomeno chi è vincolato a Facebook da esperienze commerciali, sociali, amicali o politiche, non si costruisce delle alternative. Come dice uno in questo thread (opens new window), "Non ho mai capito perché alcune aziende utilizzassero Facebook invece di un sito Internet di loro proprietà. Forse sono della vecchia scuola". Ecco, non l'ho mai capito neanche io.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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