[Mostly Weekly ~135]

Donkey Kong Country


A cura di Antonio Dini
Numero 135 ~ 3 ottobre 2021

Essere italiani
Alle volte non ci rendiamo conto, ma la nostra cultura ha delle prospettive semplicemente agghiaccianti e maschiliste: La Spigolatrice di Sapri (opens new window) è un buon esempio. E la mia fremdschämen.


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Intanto, buona lettura.


Nothing in life is to be feared, it is only to be understood. Now is the time to understand more, so that we may fear less
–– Marie Curie



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Editoriale

La nostra cara compagnia telefonica
Sono decisamente pigro per quanto riguarda il gestore di telefonia del mio smartphone. Dovrebbe essere un'utility conveniente, o quantomeno onesta, alla quale non prestare attenzione come il fornitore di acqua, gas e corrente elettrica. Loro danno il servizio, io pago un tot al mese e siamo amici così. Se c'è competizione, nuovi fornitori offrono funzionalità a cifre più basse (o maggiori ma più abbondanti) e io scelgo in base alla mia convenienza. È la logica di qualsiasi mercato con il consumatore al centro. L'idea è che le compagnie telefoniche non che mi fregano i soldi da sotto il cuscino, quando pensano di non essere viste, o con atti unilaterali e d'imperio. Invece, sempre più spesso il problema è quello di comportamenti che non si possono definire eticamente sostenibili o addirittura ai limiti del criminosi (e infatti si beccano indagini, richiami, sanzioni). Adesso un'indagine della procura di Milano ne ha rivelato nuove scorrettezze delle compagnie telefoniche, ma è una vecchia storia che viene raccontata molto bene dal Post (opens new window). Da notare che aziende come Iliad e PosteMobile non sono coinvolte in questo tipo di atteggiamenti truffaldini.

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Predire il futuro
Predire il futuro ~ Foto © Antonio Dini

Importante

Associazioni dannose
Lo scorso giovedì a Washington DC è successa una cosa importante durata un paio di ore. La Commissione per il commercio del Senato ha interrogato il capo della sicurezza di Facebook, Antigone Davis, sui recenti documenti interni pubblicati dal Wall Street Journal riguardo agli effetti di Instagram sugli adolescenti. L'impressione cumulativa data dalle domande della commissione e dalle risposte di Davis è quella di un'azienda che ha perso la presa sulla sua stessa narrazione.

La vecchia storia era: i social network possono avere effetti sia positivi che negativi, ma su Facebook a conti fatti gli effetti sono per lo più positivi e l'azienda sta lavorando duramente per ridurre i danni che si accorge di fare.

La nuova storia è: Facebook sapeva molto di più su questi effetti negativi di quanto non avesse mai rivelato, ha ignorato o minato i ricercatori che li hanno scoperti e le sue app ora sembrano contribuire a una serie di problemi di salute mentale, in particolare per gli utenti più giovani. Un bel salto, non vi pare?

Questa nuova storia è stata raccontata dal Wall Street Journal (opens new window), nella ricerca interna che il giornale ha pubblicato (opens new window), nelle migliaia di documenti che un informatore ha condiviso con il Congresso e nelle dichiarazioni rilasciate ai senatori giovedì (opens new window).

"Questa conclusione non è solo un rapporto o la prospettiva di un dipendente di Facebook", ha detto il senatore Richard Blumenthal nell'udienza di giovedì. (TechCrunch ha un bel riepilogo dettagliato (opens new window)) Invece, "È un modello di risultati ripetuti attraverso studi sofisticati ed estesi che Facebook stesso ha condotto negli ultimi quattro anni". L'udienza è considerata produttiva in gran parte perché è rimasta focalizzata su quei risultati che, ancora una volta, erano di proprietà di Facebook.

Segnatevi questa data e questa udienza, perché sono storiche. Prima che succedesse tutto questo, infatti, era più facile avere una visione confusa degli effetti dei social network sul comportamento umano. La ricerca svolta all'interno e all'esterno è stata infatti mista, fatta da ricercatori di Facebook e di università e centri non profit di vario genere. Le relazioni causali sono difficili da determinare, anche per un'organizzazione con i dati e le risorse finanziarie come quelle di Facebook. C'è qualcosa di sospettosamente deterministico in un'affermazione come "Instagram ci rende depressi" e infatti su quell'ambiguità Facebook ha prosperato. La base per smontare qualsiasi conclusione è che si tratta di un argomento su cui quasi tutti hanno un'opinione, ma pochissimi hanno prove delle loro convinzioni. Alla fine, basta dire che "sono tutte chiacchiere" per di più "senza prove" e non c'è modo di indicare delle responsabilità.

Tuttavia, proprio questo è il motivo per cui la ricerca che è stata "soffiata" al Wall Street Journal rappresenta una minaccia così concreta e tangibile per l'azienda. Rivela fino a che punto (opens new window) i dipendenti condividevano le preoccupazioni sugli effetti delle app di Facebook sulla salute mentale degli utenti e anche fino a che punto queste non venissero prese sul serio. Cosa serve sapere ancora?


Yamato

Shōen (荘園)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è shōen (荘園), che vuol dire campo, terreno. Tuttavia, nel periodo che va dall'ottavo al quindicesimo secolo dopo Cristo (stiamo parlando suppergiù di 800 anni) indica la terra esente da tassazione. Facciamo un passo indietro. Il tema di questa settimana è in realtà l'elusione fiscale, o per meglio dire la capacità connaturata alla natura umana di pagare meno tasse possibili. Prendo lo spunto dal libro che sto leggendo in questo momento, I furiosi anni venti (opens new window) di Alec Ross: l'elusione fiscale oggi è un fenomeno gigantesco, che viene portato avanti soprattutto dalle grandi aziende internazionali come Apple, Amazon, eBay, Facebook, Google e ovviamente Microsoft. L'elusione fiscale per queste aziende vuol dire che pagano tasse sull'ecommerce, ad esempio, attorno allo 0,7% della transazione. Una persona fisica in Italia paga il 41% (questa è la nostra pressione fiscale media) su quello che guadagna, mentre un'azienda nel nostro Paese paga il 24%.

L'esempio che fa Ross nel suo libro (un italiano di nome Marco compra una cintura online da un'azienda di pellame fiorentina, che paga 0,11 centesimi a click per fare pubblicità su Google ai suoi prodotti, con una media di 36 click per arrivare a una transazione chiusa, cioè una "tassa" per essere visibili in rete di 3.96 euro, a cui dal loro punto di vista si somma tutto il resto) viene arricchito dalla constatazione che i big del tech non sono certamente i primi nella storia ad eludere il fisco. E lo fanno legalmente, seguendo tutti i possibili trucchi, loophole e bug dei trattati internazionali che regolano il commercio e le materie fiscali. Solo che i big del tech sono dei veri professionisti rispetto a chi li ha preceduti. E tra i predecessori nell'elusione fiscale ci sono ad esempio i proprietari terrieri nel Giappone medioevale che facevano continuamente pressione sulla corte dell'Imperatore affinché venisse esteso alle loro terre il privilegio di esenzione fiscale creato per i templi buddisti o i santuari Shintō. Questo privilegio, e le terre che ne usufruivano, si chiamavano shōen (荘園). E l'elusione fiscale assunse proporzioni tali che a un certo punto la corte imperiale si trovò praticamente priva di terre da tassare e dovette dichiarare bancarotta.

Il sistema delle esenzioni finì nel quindicesimo secolo quando emersero le figure dei Daimyō che suddivisero i villaggi nella loro sfera di influenza in feudi e cominciarono a raccogliere le tasse autonomamente dalla corte imperiale. Da questo punto di vista il meccanismo economico delle esenzioni shōnen è stato funzionale all'indebolimento del potere centrale e alla frammentazione del Giappone medioevale. Assieme all'aspetto economico della tassazione e delle esenzioni, venne meno anche l'altro pilastro della società tradizionale giapponese, cioè il ritsuryō (律令), l'insieme di leggi basate sulla filosofia di Confucio e il cosiddetto Legismo cinese (法家, si pronuncia fǎjiā). Il Legismo cinese, che influenza anche la vita giapponese per alcuni secoli, è quel mix di filosofia, realpolitik e norme giuridiche che mirava all'amministrazione pragmatica della cosa pubblica svincolata da ideali e valori. Era la manifestazione più pura dell'autocrazia statale: quello, per dire, che in occidente oggi ammiriamo perché pensiamo (sbagliando) di identificare la funzione dei mandarini e dei funzionari pubblici scelti con dei concorsi come un traguardo della democratizzazione dello Stato e della nascita dell'ideologia del merito. Neanche per idea.

Comunque, in Giappone il sistema del ritsuryō a partire dal sesto secolo dopo Cristo regola sia il diritto penale (律, Ritsu) che quello amministrativo (令, Ryō). È un clone del sistema cinese riadattato in minima parte e con il tempo diventa complesso e sofisticato, totalmente centralizzato e pensato per l'organizzazione in caste della società. È anche un sistema completamente staccato dalla realtà del territorio, che regolava ma dal quale non traeva nessun tipo di feedback. Alla fine collassa assieme alla corte imperiale del quale era sia la manifestazione più tangibile che una delle principali occupazioni, lasciando il potere a un approccio molto più pragmatico e militare, gestito dai signori feudali, i daimyō. All'interno del ritsuryō c'era anche la base giuridica dello shōen e uno snodo più interessante e maturo di quelli più aneddotici solitamente proposti per capire il medioevo giapponese e la sua evoluzione.


Eventuali

Tu-tu-tu
Sono affascinato dalla tecnologia che ho trovato da bambino: i telefoni a filo nelle case: mia nonna aveva il duplex, se qualcuno ricorda ancora cos'era. Invece i miei genitori, che avevano lo studio di architettura in una parte della casa, avevano la doppia linea per differenziare le chiamate: un'ottima ricetta in tempi di telelavoro.

L'altra tecnologia che mi appassionava (e appassionava Steve Jobs, Steven Wozniak, Cap'n Crunch (opens new window) e 2600 (opens new window)) erano i telefoni pubblici. Che stanno scomparendo. C'è un docente del Rochester Institute of Photography, Eric Kunsman, che "con la sua vecchia Hasselblad", li sta fotografando per quanto può prima che scompaiano. Cosa fotografa? Un pezzo di storia che se ne va. Chissà se c'è un progetto simile anche in Italia.

Scrive Bloomberg (opens new window): "È facile dimenticare che un tempo i telefoni a pagamento erano onnipresenti nelle città americane del XX secolo e con che rapidità queste caratteristiche icone del paesaggio stradale nel XXI secolo sono scomparse. Il primo telefono pubblico a gettoni è apparso all'esterno di un edificio del centro di Hartford, Connecticut, nel 1889; nel 1999 più di 2 milioni di telefoni pubblici ricoprivano marciapiedi, hall di hotel, aeroporti e ospedali americani. L'ultima volta che la Federal Communications Commission ha rilasciato un conteggio di telefoni pubblici, nel 2016, ne erano rimasti meno di 100mila. Grazie in parte a programmi del governo federale come Lifeline, che sovvenziona parzialmente il servizio di telefonia mobile per gli americani con un basso reddito, l'accesso al cellulare negli Stati Uniti ha ora raggiunto il 97% degli adulti, secondo il Pew Research Center".

Intanto, le chiamate internazionali, il cui valore è cresciuto ininterrottamente per 60 anni e che adesso stanno crollando (opens new window), nel 2012 valevano 99 miliardi di dollari di giro d'affari. Nel 2019 sono scese a 64 miliardi e se la tendenza rimane la stessa nel 2023 saranno ridotte alla metà, circa 50 miliardi di dollari.

Il digitale mente in modo più preciso
Mettiamo che forse siate incinte. O forse no. Insomma, lo vorreste capire. C'è il test, la striscia di carta che a contatto con gli ormoni contenuti nell'urina fa le barrette e vi dice se siete incinte o no. Ma è un test un po' meccanico, grossolano, limitato. Ci vuole l'elettronica, l'informatica. Il digitale. Beh, sappiate che solo per il fatto che vedete un numero preciso su uno strumento di misurazione non vuol dire che la misurazione sia precisa. Come spiega in questo favoloso thread su Twitter (opens new window), c'è differenza tra il grado di precisione della misura e la precisione della misura. Insomma, "il digitale mente in modo più preciso". Leggetevi la truffa (opens new window) di questo test digitale di gravidanza e capirete cosa voglio dire (opens new window). (Questo, secondo me, vuol dire fare il giornalista. Non esserlo, farlo).

Navi da buttare
Non ci sono solo India e Pakistan nel business del riciclo delle grandi navi e soprattutto delle grandi navi da crociera. La Turchia ha un ruolo fondamentale (opens new window), che sta crescendo. E i turchi cercano di fare bene, almeno per l'ambiente. A parte qualsiasi considerazione ambientale o di capitalismo dello spreco, vale la pena osservare una cosa: le foto delle navi sventrate sono veramente spettacolari.

Elettricità
Tutte le volte ripeto che sono un sinologo e tendo a ribadirlo. Nonostante in dieci anni di affari esteri (e venti di tecnologia) mi sia occupato soprattutto di Asia e America, la Cina è qualcosa che guardo e studio ma di cui non sono esperto. Tuttavia, il loro problema energetico (opens new window) avrà delle ricadute tremende (opens new window) su tutto il pianeta anche e a partire dal settore delle tecnologie.

Bookness: altri lettori sono possibili
Amazon ha da poco annunciato di aver rinnovato i propri Kindle Paperwhite, i lettori per gli ebook di fascia media. Ci sono un po' di altre novità in arrivo (non di Amazon) perché il mercato si sta muovendo di nuovo dopo alcuni progressi tecnologici, ma ancora è presto per parlarne. Segnalo però due cose: da un lato il rapporto delle persone con gli eBook (opens new window) (qui la traduzione del Post (opens new window)), che è un rapporto molto particolare. E poi questo progetto open source per costruirsi il proprio ereader. Perché se si esce fuori dai big (Kindle, Kobo, Nook e anche l'iPad perché no), c'è l'Open Book Project (opens new window) che permette di fare qualcosa di non so se utile ma sicuramente di molto divertente. (Ah, c'è anche un vecchio ragionamento sempre valido su come fondere libri ed ebook (opens new window)).

Il punto di non ritorno
Un articolo particolarmente lungo e ben scritto (opens new window) e ben visualizzato sui sette punti critici del clima più critici. “Il pericolo più specifico, secondo gli autori dell'articolo di Nature, è che anche se il cambiamento in un elemento chiave può avvenire lentamente su una scala temporale umana, una volta superata una certa soglia nel sistema può diventare inarrestabile. Ciò significa che anche se la temperatura del pianeta è stabilizzata, la transizione di alcuni sistemi terrestri da uno stato all'altro potrebbe prendere velocità, come un'auto sulle montagne russe che ha già superato l'apice di un binario».


Multimedia

Cose che succedono: Atari ST in daily use since 1985 (opens new window).

Volete passare una giornata al mare negli anni Venti? Eccola qua: A Day at the Beach 1928 - Biarritz France 1920s (opens new window)

Sapete che Ryan Reynolds fa ridere? Cioè, l'attore è una persona apparentemente simpatica. Sul serio (opens new window). (Ho recensito qui il suo ultimo film, Free Guy (opens new window))

Susanna Hoffs canta Manic Monday (è la Live Video Version del 2021 (opens new window)). Ok, lo so: a quanto pare sono ossessionato dalle Bangles e dalla musica degli anni Ottanta. Però vuol dire anche che gli eventi pubblici stanno ripartendo.

Densha! Il titolo 【前面展望】JR九州 日南線 観光特急「海幸山幸」下り 宮崎⇒南郷 (opens new window) vuole semplicemente dire: "[Vista frontale] Espresso limitato "Umisachi Yamasachi" sulla JR Kyushu Nichinan Line nella tratta Miyazaki ⇒ Nango": un'ora e 18 di pace.

Sempre a far vedere tutti quei treni che vanno di qua e di là. Ma un bell'aereo mai? Beh, eccolo qui: per chi è nuovo del genere, le cockpit view sono una chicca, un tempo circolavano su cassettoni VHS da 4 ore rallentati per cercare di comprimere tutto un volo transoceanico. Adesso c'è YouTube e in un attimo sei su un A330 di Aer Lingus (opens new window) che parti da SFO (San Francisco).

Volete farvi una cultura su internet ma non sapete dove cominciare? Ecco, andate a scuola da YouTube: qualcosa di buono e vagamente Stem c'è (opens new window).


Tsundoku

The Anthropocene Reviewed (opens new window) è molto interessante. C'è un podcast con lo stesso nome che si descrive così: "John Green esamina le sfaccettature del pianeta incentrato sull'uomo su una scala a cinque stelle". C'è a chi è piaciuta molto questa raccolta di profondi saggi (o recensioni, piuttosto) e forse vale la pena di metterla nella lista di libri da comprare e lasciare sul comodino a maturare.

La libertà di parola sotto il capitalismo della sorveglianza è un concetto strano. Se ne occupa Silicon Values (opens new window), il libro di Jillian C. York che fornisce tutto il contesto necessario per dare un senso alle complesse questioni relative alla libertà di parola e alla moderazione dei contenuti. "Internet una volta prometteva di essere un luogo di straordinaria libertà al di là del controllo del denaro o della politica. Invece, oggi le società e le grandi piattaforme esercitano un controllo enorme sulla nostra capacità di accedere alle informazioni e condividere la conoscenza in misura maggiore rispetto a qualsiasi stato".

Nick Cave racconta di quel pezzo di gomma da masticare di Nina Simone, della notte al Meltdown festival di Londra e di Warren Ellis. Tutto da leggere (opens new window).


Al-Khwarizmi

L'altra filosofia
Consigliato dall'amico Mattia, questo Live stream: Emacs and the Unix philosophy (opens new window) è un'esperienza da fare anche se non siete dentro Emacs ma volete scoprire modi di raccontare diversi, percorsi differenti, culture alternative. È la bellezza della rete, direi. E poi Emacs, se mi riuscisse, sarebbe davvero tanta roba! Ormai non conto più gli scrittori e gli autori che l'hanno eletto a loro casa digitale.

System Thinking
In questi giorni si sente molto parlare di "pensiero sistemico" perché un mondo complesso richiede soluzioni complesse. Questo post (opens new window) è notevole ed è un ottimo punto di partenza che spiega brevemente alcuni dei concetti più facili da comprendere: "Quindi, quando diciamo che 'tutto è interconnesso' da una prospettiva di pensiero sistemico, stiamo definendo un principio fondamentale della vita. Da questo, possiamo spostare il modo in cui vediamo il mondo, da una "visione del mondo meccanica" lineare e strutturata a una serie dinamica, caotica e interconnessa di relazioni e cicli di feedback". Questa roba è oro puro.

Coffee break
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Il motore di ricerca della generazione Z
In questi giorni sto parlando con un po' di giovani nati dal 1999 in avanti (tutti laureati o laureandi in materie legate alla comunicazione e alle nuove tecnologie). È emerso sorprendentemente (per me) che non sanno cos'è un motore di ricerca. Ovvero, se gli chiedi il nome di un motore di ricerca ti dicono "Google". Se gli chiedi di dirtene altri, rispondono "Firefox, Safari, Edge". Cioè nomi di browser anziché di motori di ricerca (Yahoo!, Bing, DuckDuckGo e via dicendo). Google come motore di ricerca e Chrome come browser diventano un'entità unica, alle quali si aggiungono anche Siri e Alexa. Il motivo di questa confusione è legato secondo me alle metafore interfacce e agli strumenti culturali, cioè alla loro mancanza.

Le metafore delle interfacce sono costruite per rendere sempre più facile l'uso delle app e delle tecnologie. Siamo partiti dall'ottica minimalista, che era funzionale non soltanto all'eleganza ma anche alla volontà di diminuire il carico di lavoro cognitivo degli utenti. Una interfaccia semplice, con poche scelte molto chiare, mirate ed eleganti graficamente serve a rendere l'esperienza d'uso più piacevole e gratificante. Una interfaccia incasinata rende tutto difficile. Siamo arrivati al vuoto pneumatico dei sistemi attuali, in cui tutto è stato astratto in un'unica metafora. Il minimalismo (portato avanti da Apple, ma diventato una modalità comoda per tanti) non è tanto una forma di impoverimento degli utenti, quanto un modo inclusivo per invogliarli all'uso degli strumenti. Il successo dell'iPhone comincia dalla sua interfaccia. Ma non c'è solo quello. Il mondo è complicato, la tecnologia è complicata, i bisogno richiedono risposte articolate. Le interfacce che semplificano troppo eliminano questa complessità: sono utili per chi conosce la complessità e può muoversi più velocemente, ma a chi non la conosce o alle nuove generazioni può creare una illusione di facilità che non esiste.

Le asticelle e bastoncini per la mente
Penso alle elementari dei miei figli: gli anni passati con i quaderni a righe e quadretti grandi, a partire dagli esercizi con asticelle e bastoncini, alle prove di corsivo e stampatello, sino alle tecniche per contenere la parola tra i margini del foglio. Una fatica bestiale che poi si trasforma nell'acquisizione di una destrezza e manualità propedeutica a saper leggere e scrivere e quindi a fare cose più complesse. Questo non succede per il pensiero strutturato. Dove si acquisiscono le competenze in un ambiente in cui le metafore per gli utenti pensano solo alla rarefazione della complessità? Qui entra in gioco anche un altro articolo che ho letto in questi giorni.

L'ha pubblicato The Verge (opens new window) e racconta una serie di casi di giovani persone generazione Z (meno di trent'anni) che non sanno gestire le cartelle e i documenti. Non sanno trovare un documento in una gerarchia ad albero fatta da cartelle annidate (raccoglitori che contengono documenti e altri raccoglitori, che contengono altri documenti e altri raccoglitori). Non sanno organizzare una struttura analoga per i propri documenti. Salvano tutto nella stessa cartella e poi fanno "cerca". È la cultura di Google, iniziata dal motore di ricerca (strumento ordinatore del caos del web) e passata da Gmail (strumento ordinatore del caos dell'inbox), arrivando a tutti gli altri documenti. È una cultura dell'orizzonte piatto, della monodimensionalità lineare, che uccide la complessità perché toglie molte relazioni e il rapporto temporale.

Intendiamoci: le tag sono più flessibili e le gerarchie fluide permettono di fare più cose. Però ci sono dei pre-requisiti: gli utenti devono essere esperti di complessità e usare questo metodo per governarla. La struttura ad albero è fondamentale, anche se non sempre necessaria. Il problema è ignorarla completamente e pensare di andare avanti solo cercando le cose.

Fare analisi
La controprova è prendere un po' di giovani nati dopo il 1999 che magari stanno andando all'università e proporgli una attività. Gli dite: avete a disposizione una app con quattro tipi di classificazione. Ci sono le "Aree" per le macroattività senza una scadenza, i "Progetti" per i gruppi di attività collegati con una data di scadenza, le "Attività" per le singole azioni e le "Etichette" (tag) per le attività. Come potreste organizzare quello che dovete fare per il vostro corso di laurea? Fatemi degli esempi di come strutturereste il vostro lavoro.

La risposta più comune? Gli studenti inseriscono tutto quello che gli viene in mente dentro le micro-attività, che vengono taggate con tutte le categorie parole chiave del mondo ("università", "corso di studio", "esame", "materia", "da fare", "urgente", "veloce", "difficile/facile") e messi all'interno di un contenitore unico chiamato di solito "Scuola" o "Studio" oppure "Uni". Quando va bene.

File not found
Oggi impariamo a leggere e scrivere come si faceva 100 anni. Un tempo i problemi più complessi si gestivano con oggetti fisici (fogli di carta, schede, fascicoli) e pian piano si imparava a usarli a scuola e nel mondo del lavoro. la capacità di analisi, la struttura e l'organizzazione si sviluppavano pian piano. Oggi, salvo eccezioni limitate ad alcuni percorsi di formazione particolari, non c'è nessuno che spieghi o aiuti a capire come analizzare, organizzare e gestire i problemi. Ci sono solo i sistemi di autoaiuto (tipo Getting Things Done (opens new window)) mentre le interfacce digitali semplificano e appiattiscono tutto. Il risultato saranno tantissime menti atrofizzate.


Tessuti
Tessuti ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Pinoccio
Stavo pensando a una cosa che riguarda la nostra epoca: accettare chi siamo anziché cercare di cambiarlo. La retorica consolatoria del "sei giusto così, vai bene così" è una delle leve per sollevare il mondo delle sofferenze interiori indotte dalla nostra società, certamente. È buona psicologia, è un modo bastardo ma efficace per mettere le persone al loro posto: smettila di sognare, smettila di agitarti, smettila di essere infelice. Bisogna accettare se stessi, essere nel momento, dare il massimo con quello che si ha. È la favola dei talenti reinterpretata in chiave neoliberista. Ma è drammaticamente paternalistica e consolatoria. Un po' di giorni fa sono incappato per caso in questo tweet (opens new window) che articola un pensiero altrettanto semplice ma profondamente diverso: al posto della una retorica del "ama quel che hai" o "sii felice di come sei!" ci sono le emozioni delle persone trans: "Mentre "impara ad amare ciò che hai" funziona per alcune persone, fa sentire altri come se gli stessero dicendo di accontentarsi". Se tutti fossimo in grado di amare il modo in cui siamo, non avrebbe senso l'idea stessa di transizione. La forma di pensiero delle persone cis (cioè della narrazione dominante costruita da una società "normalmente" cis) è quella che dice alle persone trans che "semplicemente non hanno la mentalità giusta". Nel tweet il ragionamento di Jasmine va avanti: "Ora non fraintendetemi, mettere le cose in prospettiva può funzionare. A volte può aiutare dire a una donna trans alta che ci sono molte donne cis più alte là fuori. Ma non assumete che funzionerà, e certamente non affermate che sia il modo giusto di pensare. Questo è tossico". Se ridefiniamo l'idea di normalità e guardiamo il mondo con una prospettiva altra, che poi è l'unico modo possibile per guardarlo, la retorica consolatoria del "sei giusto così, vai bene così" diventa tremenda. Il coraggio necessario per vivere non è quello che serve per fare carriera o per diventare ricchi, magari per acquistare o dominare oggetti e persone. Il coraggio necessario per vivere è quello che serve per accettare l'idea di transizione. Anche per chi è cis, perché la nostra anima non può che essere in una costante fase di transizione, come del resto lo è la nostra vita.




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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