[Mostly Weekly ~132]

Il numero degli anniversari


A cura di Antonio Dini
Numero 132 ~ 12 settembre 2021

Buona domenica! Ecco a voi il nuovo numero di Mostly Weekly, la newsletter settimanale che esce quando è pronta. Mostly Weekly è aperta a tutti, senza pubblicità o affiliazioni: una donazione su Liberapay (opens new window) o (meglio) via PayPal (opens new window) come "amici" è però molto apprezzata.

Ah, lo sapete vero che hanno fatto un altro film della serie di Matrix (opens new window)? E che pare che sia molto buono. Vedremo!

Intanto, buona lettura


We live in capitalism, its power seems inescapable – but then, so did the divine right of kings
–– Ursula K. Le Guin



~~~


Editoriale

Il costo dei microprocessori
La scarsità di microchip è diventata un problema. Le spiegazioni sono le più diverse ma tutte "mancano" un aspetto fondamentale, che è quello del motivo tecnico o funzionale di questa scarsità di pezzi. Comunque, ci sono alcuni articoli interessanti, come questo di Wired (opens new window) e questo di Bloomberg (opens new window), che spiegano comunque molte cose. Come introduzione all'argomento su come si fanno i microchip, ne ha scritto Il Post (opens new window). C'è poi Matt Stroller che ne dà una interpretazione (opens new window) legata alla distribuzione e ai monopoli (opens new window) che secondo me è in parte forzata ma tocca un punto fondamentale: non c'è solo al finanza ma anche la logistica e la produzione (il motivo per cui Tim Cook è il miglior Ceo possibile per Apple, secondo me (opens new window)). Il vero motivo per cui c'è scarsità di chip e i loro prezzi salgono e le aziende produttrici spostano sui clienti finali, aumentando i prezzi dei prodotti? Non è finanziario ma nasce dallo scontro fra la finanza e l'economia. È un indicatore del livello di trasformazione del mondo globale.

~ ~ ~

La nostra vera natura
La nostra vera natura ~ Foto © Antonio Dini

Anniversari

9/11
Questo numero di Mostly Weekly ha una sorte particolare: cade a cavallo di due date simboliche. La prima è di ieri, cioè il ventennale dell'11 settembre. Per me inscindibile dal G8 di Genova (opens new window), quel Genoa Social Forum che ha scatenato un incendio subito soffocato da un evento di portata planetaria. Venti anni dopo, l'11 settembre è appena passato e forse non ricordiamo (opens new window) neanche com'era prima il mondo (non sappiamo neanche chi sono le persone che abbiamo visto uscirne (opens new window)).

Se devo dire la mia, ad esempio, per me che per lavoro ho passato gli ultimi 18 anni a prendere aerei intercontinentali, la vita del post-9/11 (evento di per sé surreale, come spiega perfettamente Smargiassi (opens new window)) è la normalità: le progressive restrizioni come reazione alla guerra planetaria al terrorismo sono parte integrante del mio panorama esistenziale perché prima non viaggiavo così spesso. Lo dico perché in venti anni, in questo mondo post-9/11 è nata una intera generazione che conosce le conseguenze ma non le cause del modo in cui vive. Succede sempre così, ad esempio per i figli della Seconda guerra mondiale, i baby boomer.

Tuttavia, se ci pensate un attimo, il mondo può prendere molte forme, quella in cui viviamo è solo una delle molte possibili.

Pensando alla tecnologia, e a quanto sia pervasiva oggi, non si può non ricordare il Patriot Act, approvato 45 giorni dopo l'11 settembre: le agenzie di intelligence americane hanno avuto diritto di monitorare e quindi intercettare, raccogliere, aggregare e analizzare tutti i dati che volevano. Questo ha aperto la via anche ad aziende come Google e poi Facebook (ma anche Amazon, Microsoft, Oracle e altri) di raccogliere tonnellate di dati e metadati e trarne profitti inimmaginabili in qualsiasi altro contesto. Infatti, gli ingegneri di quelle aziende hanno capito come aggregare i dati in modo tale da disegnare i profili di comportamento degli utenti e fare ancora più soldi di prima. Shoshana Zuboff (opens new window), professore alla Harvard Business School, ha definito questo modello con l'espressione oggi famosa di Capitalismo della sorveglianza (opens new window).

È uno dei mondi possibili, non l'unico, non quello necessario.

Dante
Ancora L'altra data è quella dell'anniversario della morte di Dante Alighieri (opens new window), la notte fra il 13 e il 14 settembre del 1321. Una morte improvvisa, Dante aveva 56 anni ed era appena tornato a Ravenna dopo una ambasciata a Venezia. Forse venne punto da una zanzara che lo contagiò con la malaria o una febbre mortale (opens new window) nelle valli di Comaccchio, all'epoca palude malsana. Dante, l'esilio, Firenze, la Commedia, il volgare e le altre opere come la Vita Nova, “fervida e passionata”, e il Convivio, "temperato e virile”. Vedrete nello Tsundoku che ho appena finito di leggere una storia di Dante che mi ha molto colpito, al riguardo.

Tuttavia qui voglio osservare un'altra cosa. Sono passati settecento anni dalla morte di Dante. La ricorrenza (opens new window) e lo studio (opens new window) della vita dell'uomo e della sua opera, che peraltro va avanti senza interruzioni da sette secoli, se praticati oggi possono servire anche a farci cambiare prospettiva per guardare il nostro tempo e le nostre angosce da un punto di vantaggio. Insomma, a renderli relativi.

La vita è una e il tempo che sprechiamo o che ci viene rubato non torna, quindi bisogna essere attenti, oltre che presenti a se stessi. Però il distacco permette di guardare e forse un po' anche di capire che quello che immaginiamo come il punto di arrivo, cioè la stasi completa, l'equilibrio, la fine della storia, non esiste. Invece, il movimento costante di tutto, dalla nostra vita alla civiltà che ci sta attorno, è la dimensione naturale alla quale dovremmo fare riferimento. Attenti quindi a quello che desideriamo, perché potrebbe realizzarsi.


Yamato

Kei-car (Keijidōsha, 軽自動車)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è keijidōsha (軽自動車, letteralmente auto leggera), cioè kei-car o k-car o auto-kei. La microcar o ultramini giapponese è il "veicolo leggero" giapponese più amato, l'automobile piccola e squadrata che quindici anni fa sembrava un giocattolo esotico e che adesso invece è diventato un po' più familiare a tutti noi perché in parte è stata ripresa anche dai produttori europei, anche se con tagli maggiori.

Il concetto della k-car non è nuovo: le auto piccole nel paese che ha inventato la 500 non dovrebbero essere una novità. A colpire della k-car sono l'implementazione e il design. Anche perché è un design antico, e spiega bene la passione che i giapponesi in generale e Lupin III in particolare hanno per la nostra 500, che è del 1957, se non contate la Topolino del 1936.

Le kei-car possono essere berlinette, furgoncini, minivan. Il territorio è quello dell'Ape e dell'Ape Poker, ma la scocca e l'usabilità sono quelle di una city car di segmento A. La normativa sulle kei-car è stata fatta nel 1949, rivista più volte e aggiornata per rendere anche fiscalmente convenienti queste auto. La targa è diversa sia da quella delle auto normali ed è divisa nei due generi di kei-car per il trasporto di persone e per i furgonati.

Negli ultimi anni le kei-car sono diventate una nuova moda tra i giovani giapponesi: ci sono modelli ibridi, modelli turbo, modelli accessoriati in modo sontuoso e in generale sono auto di grande successo perché risolvono un problema di mobilità particolare in un paese che ha un sistema di trasporto pubblico estremamente ricco e articolato. Un'auto piccolina, compatta, poco o per niente costosa da un punto di vista fiscale, è perfetta.

Nonostante la tassazione sulle auto sia stata aumentata per incentivare il passaggio ad auto normali (che sono esportabili più facilmente) il successo delle kei-car continua. Dall'Europa è stata esportata per un periodo una versione particolare della Smart, la Fortwo K, leggermente più piccola perché la smart attualmente in produzione è un po' più grande della normativa, che al massimo possono essere: lunghezza: 3,4 m; larghezza: 1,48 m; altezza: 2 m; cilindrata: 660 cm3; potenza 64 CV.


Eventuali

Problemi di ricchi
Élite Projection (opens new window), la proiezione dell'élite, è "la convinzione, tra persone relativamente fortunate e influenti, che ciò che queste persone trovano conveniente o attraente sia buono per la società nel suo insieme". Quando sentiamo qualcuno parlare della sua grande idea imprenditoriale o della sua grande visione per il futuro, dovremmo considerare a chi serve effettivamente e se ci sarebbe un modo migliore per affrontare il problema.

Guardarsi dentro
I musei storici raccontano tanto del presente quanto del passato. Il Museo dell'11 settembre, una rete sotterranea di mostre ubicate dove un tempo si trovavano le fondamenta del World Trade Center, non fa eccezione. È stata a lungo fonte di controversie, con i critici che accusavano di aver sacrificato l'accuratezza e il contesto per attrarre i turisti americani più patriottici. Un nuovo documentario, The Outsider (opens new window) (il trailer (opens new window)), offre agli spettatori una nuova prospettiva su come si sono svolti quei dibattiti all'interno del museo stesso, concentrandosi su un archivista dell'11 settembre di nome Michael Shulan che è stato profondamente deluso (e disilluso) dalla scelta del museo di presentare a milioni di visitatori ogni anno un racconto molto più ristretto di quanto non sarebbe possibile sull'eredità storica del giorno degli attacchi. Lo scrittore David Klion ha cercato di vedere se le critiche di Shulan avevano qualche merito e, così facendo, ha scoperto un'America (opens new window) che, venti anni dopo l'attacco, sta ancora lottando per guardare onestamente a se stessa.

E io mi chiedo: a parte le uscite dei candidati sindaco (in)competenti (opens new window) che vogliono un museo unico per la Roma Antica, quand'è stata l'ultima volta che ci siamo guardati dentro in questo modo?


Multimedia

Il genio degli effetti speciali Phil Tippett sta facendo il film dell'orrore a cui pensava da 30 anni: Mad Dog (opens new window) ed è bellissimo

A un certo punto del 2022 arriverà il seguito (opens new window) di The Legend of Zelda - Breath of the Wild (opens new window), uno dei più bei giochi di Zelda di sempre e uno dei migliori giochi della Switch. Intanto, ecco qui una lista di cinque giochi per ingannare l'attesa (opens new window). Ah, sappiate che nel seguito di Zelda "L'ambientazione dell'avventura è stata espansa e include ora anche i cieli al di sopra di Hyrule". (Il trailer (opens new window))

Un ricordo di Charlie Watts scritto (opens new window) da Nick Cave (opens new window).

Non so chi sono, non so da dove vengono, ma mi pare che la qualità di quello che si può vedere tra le produzioni Indie stia diventando clamorosa. Qui Salad Mug (opens new window), il primo episodio di Dynamo Dream, e qui il dietro le quinte (opens new window). Tanta roba.

Ah, casomai non lo sapeste: Starless (opens new window), dei King Crimson, è una gran canzone.

Per concludere il discorso, intanto è uscito il nuovo album dei Metallica, le cover di grandi artisti (opens new window) incise in The Metallica Blacklist, e loro giovedì sono andati con Miley Cyrus da Howard Stern e hanno suonato (opens new window) “Nothing Else Matters”. Questi, distrutti dalle droghe e dall'alcool, sono comunque degli artisti della Madonna.


Tsundoku

Casomai foste curiosi del testo originale (che è bellissimo ma per la quasi totalità delle persone sepolto tra i ricordi scolastici, ahimè accanto al Manzoni), anziché comprare su Amazon la prima edizione che capita della Commedia di Dante Alighieri, sappiate che c'è una una edizione di riferimento, visto che nessuno degli oltre 800 manoscritti giunti fino a noi è autografo di Dante (e quindi non sappiamo cosa sia stato effettivamente aggiunto o tolto al suo testo). Qual è? Questa: Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, Firenze, Le Lettere, 1994, voll. 2-4 (prima edizione: Milano, Mondadori, 1966-1967). In biblioteca si trova.

Alessandro Barbero ha l'unico difetto di essere molto pop e alla moda, e quindi facile da snobbare. Tuttavia, il suo libro dedicato a Dante, e intitolato semplicemente così (opens new window), è bello. Me lo sono letto con piacere, iniziando dalla battaglia di Campaldino che si è svolta in Casentino, dove passo lunghi periodi ogni anno. Vale la pena leggerlo? Ad alcuni miei amici non piace perché è troppo legato ai documenti: eppure la narrazione leggera ma aderente a quello che abbiamo a disposizione, cioè le carte, a me piace molto. Leggetelo a vostro rischio e pericolo, insomma. Perché è per metà saggio scientifico con apparato critico al seguito (e soprattutto il metodo di analisi) e per metà divulgazione pop. Se vi piace mangiare carne e pesce assieme, avete trovato la pietanza perfetta.

Manifesto cyborg (opens new window) di Donna J. Haraway è un importante libro sul femminismo e la tecnologia, perché il pensiero occidentale è da sempre connaturato da un pensiero binario asimmetrico, di cui le opposizioni uomo/donna e mente/corpo rappresentano solo due tra gli assi concettuali più importanti che però vengono sovvertite dalla tecnologia applicata alla carne delle persone. Dice la quarta di copertina: "Dopo aver tematizzato l'esistenza del cyborg, "creatura della realtà sociale e contemporaneamente della fiction", il libro suggerisce l'inevitabilità della sua presenza al centro della riflessione femminista. Si aprono, secondo l'autrice, enormi potenzialità per un femminismo cyborg che tenga conto della precedente riflessione socialista e non faccia leva sulla matrice naturale come il pensiero delle politiche della differenza. Questa teoria socialfemminista vuole conservare una visione globale, che tenga conto della rivoluzione industriale in atto che crea una nuova classe operaia, nuove sessualità e nuove etnicità, mettendo in radicale discussione il sistema simbolico della famiglia dell'uomo".

Katane è la newsletter tutta da leggere di Giulia Pompili, giornalista del Foglio specializzata sull'Asia e il Pacifico. Ci si abbona qui (opens new window) gratuitamente e la consiglio vivamente a chi piace l'aspetto geopolitico della vita (e non solo). Per ingolosirvi, le "rubo" la segnalazione di un libro, Tokyo - Stazione Ueno (opens new window), che mi sono appena comprato, così vi fate un'idea e magari vi abbonate davvero: "Tutto si tiene, come nella migliore tradizione del romanzo giapponese. Tutto ha un significato nascosto, una simbologia: Kazu un fantasma, ma è stato anche un senzatetto - che in Giappone sono più o meno la stessa cosa. Kazu arriva a Tokyo nel 1963, per lavorare come operaio nella ricostruzione della città prima delle Olimpiadi estive, finisce a vivere in quello stesso parco che era la vetrina dei Giochi. Da lì viene cacciato qualche anno prima del 2020, quando la capitale giapponese si candida per ospitare lo sport internazionale di nuovo. Yu Miri, l'autrice di questo romanzo, è spietata nel demolire tutte le contraddizioni di un paese e di una società che s'interroga più sull'apparenza che sui propri limiti. Lei è una Zainichi, cioè una nippo-coreana, e quindi conosce bene il razzismo e la discriminazione, di cui ha anche scritto spesso. Yu Miri è una straordinaria voce del Giappone contemporaneo, che oggi vive a Minamisōma, una delle città più colpite dallo tsunami dell'11 marzo del 2011. "Stazione Ueno" in Italia l'ha portato la casa editrice 21lettere, che ha ricevuto un finanziamento dalla Japan Foundation, cioè dal governo giapponese: un piccolo dettaglio da sottolineare, perché certi paesi avrebbero di certo censurato un libro di questo tipo, molto critico con il governo e la società nipponica. Tokyo invece scommette sulla sua circolazione internazionale, perché la censura è controproducente sempre, e la letteratura serve a riflettere".


Al-Khwarizmi

Watchman
Qualche giorno fa è circolato su Twitter un video interessante (opens new window): un orologio di legno, fatto da decine di anse, ruote, alberi di trasmissione, volani, anelli e meccanismi vari, che scrive letteralmente l'ora su due strisce di materiale magnetico cancellabile. L'ha creato Suzuki Kango, uno studente giapponese di design dell'università di Tohoku e qui c'è la sua storia (opens new window) che spiega anche bene come funziona il progetto che si chiama kakitokei, cioè “orologio scrivente" in giapponese. Una cosa simpatica e basta? L'articolo, il video e tutto il resto è vecchio di cinque anni, ma Twitter l'ha risputato fuori adesso. Stiamo perdendo la prospettiva temporale?

Meno social
È sempre piacevole vedere qualcuno che ci prova a creare un nuovo social per fare qualche soldo (l'unica spiegazione che penso possibile). La chiave? Tentare una "meccanica" diversa delle interazioni. Facebook si è comprata Instagram per quello: perché una volta stabilita una meccanica, come ha fatto Twitter, poi gli altri non hanno più spazio per fare qualcosa di simile. Per questo, ragionano i big, queste cose è meglio comprarle finché sono nella culla. E forse è questo che sperano i fondatori di minus (opens new window): farsi comprare per una barchetta di soldi. Per adesso il loro software si basa su un assunto: chiunque partecipa al social ha a disposizione cento interazioni in tutto, e poi il suo account viene bloccato per sempre. Cento interazioni "senza sconti": post, amicizie, cuoricini, etc. Che dire? "Ricordati che devi morire" in formato digitale ed enjoy il conto alla rovescia.

Cyber-Typewriter
A questo punto mi rendo conto che sono anni che mi sto dilettando a cercare di costruire uno strumento tecnologico di pura scrittura molto leggero e magari anche innovativo. La priorità è bassa e quindi non ho fatto ancora sostanzialmente nulla dal punto di vista operativo. Negli ultimi mesi, tuttavia, ne ho parlato con Riccardo, anche perché entrambi siamo appassionati delle tecnologie tipo e-Ink. Adesso scopro che c'è un tizio che ha fatto un sistema di scrittura basato su Kobo (opens new window) (e molto limitato per compatibilità). Nonostante tutto è una novità piacevole. Però perché non fanno uno strumento di scrittura "slow terminal" decente che usa l'E-Ink o un display a cristalli liquidi di vecchia fattura? Magari partendo dall'idea di uno Psion Serie 5 (opens new window)?

Coffee break
Mostly Weekly è una newsletter libera e gratuita per tutti. Se volete supportare il tempo che passo a raccogliere e scrivere le notizie, potete farlo magari offrendomi un caffè alla settimana (opens new window) oppure mandandomi proprio dei soldi direttamente su PayPal (opens new window) (che detto così sembra quasi un "in alto le mani, questa è una rapina", però vabbè ci siamo capiti).

IRC-WeeChat
Perché qualcuno dovrebbe voler andare su IRC e chattare "come si faceva una volta"? Beh, ci sono migliaia di motivi, uno di questi è che si possono trovare cose e costruire relazioni differenti da quelle che solitamente vengono fuori dai social. Ma come si fa ad andare su un server IRC oggi? Risposta semplice: dalla riga di comando, usando un client open source e gratuito, leggero, scriptabile e multipiattaforma: WeeChat (opens new window). Su macOS si installa tramite homebrew con brew install weechat. Ecco a voi, poi, un tutorial utile (opens new window) per capirci qualcosa.

Altre cose da riga di comando
Ci sono un po' di cose da riga di comando, oltre a WeeChat. Ad esempio, i modi per visualizzare le caratteristiche della macchina su cui state lavorando: neofetch (opens new window) è il più popolare e mi piace molto (utile per fare ricing (opens new window)), ma c'è anche pfetch (opens new window) (minimalista) e cpufetch (opens new window), che invece mostra le caratteristiche del processore (utile anche sui Mac con Apple Silicon, ma un po' rognoso da installare).

Una cosa inutile e neanche troppo bella ma comunque in linea con il ritorno di Matrix al cinema è questo CMatrix (opens new window) che fa l'effettone dei caratteri che cadono verticalmente come salvaschermo dentro il terminale. Ci sta, anche se vi annoierà subito.

Per monitorare in tempo reale cosa succede nel computer ci sono vari tool che amplificano le possibilità del comando top. In particolare htop (opens new window) (che per me ha sostituito top), gotop (opens new window) (un po' rognoso) e poi il fantastico bpytop (opens new window), che è veramente notevole anche da tenere come "salvaschermo" grazie alla grafica da videogame anni Ottanta, con il terminale ovviamente a tutta volata.

Invece, per vedere come sono messe le cose contenute nel vostro computer, a parte ls (che io ho customizzato così: ‌ls='ls -apG' e ll='ls -lapG', segnalo alcune altre cose: c'è df, qui spiegato con esempi (opens new window), tree (che su macOS va installato (opens new window) con homebrew (opens new window)), duf (opens new window) che è una ottima alternativa migliorata di df, e poi soprattutto c'è lo stupendo broot (opens new window), che fa vedere il contenuto di una singola directory ma alla grande.

Assieme a bat (opens new window) e al succitato bpytop, il piccolo broot è una delle mie new entry preferite.


Sacro e profano
Sacro e profano ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Secondo me la "sconfitta" di Apple (che poi non è tale (opens new window)), cioè la decisione del giudice americano Yvonne Gonzalez-Rogers (opens new window) nella causa intentata da Epic Games che dice (opens new window), sostanzialmente, che Apple (opens new window) non può non consentire agli sviluppatori di linkare da dentro le app distribuire sull'App Store verso pagine web nelle quali sia possibile fare acquisti in modo alternativo a quello controllato da Apple, cioè gli "in-app" (funzionalità aggiuntive, versioni complete, abbonamenti), è in realtà una sconfitta per tutti noi clienti.

Il motivo? È, per esempio, in questa pagina: Come annullare un abbonamento (opens new window). Con Apple è semplice, facile e lineare: in una parola, onesto. E non puoi far partire nessun abbonamento o acquisto per sbaglio (sembra una cosa inutile finché non avete bambini che usano il vostro iPhone).

Fuori da App Store, invece, è un bagno di sangue: trucchi, truffe, gente che gioca a nascondino, gente che sostanzialmente ti vuole solo fregare. È il motivo per cui ad esempio sul mio telefono non torneranno più le grandi telco italiane (Tim, Vodafone).

Invece, con questa decisione presa dal giudice dentro l'ecosistema Apple stiamo aprendo l'era degli "Hotel California": quei posti in cui, una volta entrati, non è più possibile uscire. È un problema. Peccato.

Qui John Gruber (opens new window) sull'argomento pagamenti. E qui i tweet (opens new window) dello sviluppatore Ryan Jones che sottolinea i punti critici per noi utenti (non per Apple) e aggiunge una informazione emersa dal processo secondo me notevole: il 98% delle transazioni in-app sono per giochi!



I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




Ti è piaciuta? Inoltrala a chi potrebbe essere interessato.
Se l'hai ricevuta, qui puoi iscriverti
Qui invece c'è l'archivio dei numeri passati
Se vuoi contribuire al futuro di Mostly Weekly, puoi pagare un piccolo contributo equivalente a un caffè alla settimana usando Liberapay (opens new window) o PayPal (opens new window)
Buona domenica!