[Mostly Weekly ~121]
Dilettanti con un bel faccino
A cura di Antonio Dini
Numero 121 ~ 27 giugno 2021
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To love someone long-term is to attend a thousand funerals of the people they used to be.
––Heidi Priebe
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Editorialogica
Tornare a lavorare
Se il tema le scorse settimane era riconnettersi, questa cosa della trasformazione digitale e della pandemia che abilitano nuovi modi e nuovi mondi del lavoro, compreso il Giappone che introduce (opens new window) la settimana lavorativa di quattro giorni, e gli open space che falliscono malamente il loro ruolo di motori dell'innovazione basata sulla serendipity (opens new window), adesso si capisce che c'è di più. Stiamo ragionando in modo bislacco su qualcosa che dovrebbe costituire la base di un cambiamento profondo della società: il modo con cui lavoriamo. In ufficio o no? Da un lato c'è chi dice che non si può lasciare la gente a casa a lavorare perché non si impegnano abbastanza (opens new window), dall'altro ci sono quelle aziende che decidono di far lavorare i dipendenti a casa "per sempre" (lo dice Deloitte, non a caso (opens new window)). Cosa dovremmo capire da tutto questo? Che il lavoro è sopravvalutato? Questo sono cinquant'anni che lo dico, ma non vale. In realtà penso sia sbagliato il modo in cui viene impostato il discorso. E concordo con questa previsione (opens new window) che nel 2023 saranno ben poche le aziende "full flexible". Soluzioni possibili? Smetterla di dire scemenze e cominciare a pianificare cose sensate.
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Importantologica
Contro Wikipedia
Conosco Andrew Orlowski da quasi vent'anni. È un giornalista britannico che per quindici o più anni ha vissuto nella Silicon Valley. Un guastatore. Un polemista. Un kamikaze. Il suo stile, su The Register, è stato epico, per una stagione non breve. Oggi, tornato in Gran Bretagna, riesce ancora a graffiare, provocare e fare male. Come con questo articolo politicamente scorretto (opens new window) in cui spiega che Wikipedia, il più grande centro di informazione planetario che piange sempre miseria e chiede soldi come se non ci fosse un domani (per lei) in realtà è piena di contante e pregiudizi, contante e pregiudizi.
La grande paura per la privacy
Credo non passi un numero di Mostly Weekly in cui non sparo qualche cannonata sul tema della privacy. E insisto, perché secondo me è il problema principale di questo periodo: gli attacchi ad Apple lo dimostrano. Ma temere che la privacy venga compromessa diventa anche una paura automatica, talvolta fuori luogo, senza una competenza nello specifico delle cose di cui si parla. Come l'allarme di non condividere le schermate del QR Code con il green pass dell'Unione europea ottenuto dopo il vaccino perché "compromette la nostra privacy (opens new window)" e quindi bisogna fare molta molta attenzione (opens new window). Ok, è successo con gli aeroplani, perché condividere sui social la foto di un biglietto aereo in corso di validità può creare notevoli problemi (opens new window). Cosa può succedere con il green pass nessuno lo spiega però. Ora questo sviluppatore ha guardato ben bene (opens new window) cosa c'è dentro il QR Code (peraltro le specifiche sono pubbliche (opens new window) e così anche lo schema dei dati (opens new window)), e ha scoperto che i QR Code non sono un inferno per la privacy: contengono il nome della persona, il giorno della vaccinazione e il nome del vaccino usato. Non c'è neanche la data di scadenza del pass, perché è lasciato alle autorità stabilirlo, paese per paese. Quello di cui in realtà si aveva paura non era tanto il QR Code e i social, ma la possibilità per app terze di raccogliere milioni di codici per schedare intere popolazioni, un po' come fa Facebook con i nostri dati, le nostre preferenze, i nostri like e dislike.
Diventare serial killer per errore
Google è fantastico e trame come questa andrebbero inventate: Google ha associato (opens new window) il nome e le foto e altro di una persona a un suo omonimo che è un serial killer. Di due ne ha fatto uno, e ha scelto quello cattivo. Altro che Doppelgänger
Insegnare nella scuola pubblica della Bay Area
Se avete curiosità e dubbi su come possa essere la vita per un insegnante nella zona di San Francisco, dove potreste pensare che a parte i soldi e la tecnologia ci sia anche l'innovazione, ebbene pensate meglio. Le cose non stanno così (opens new window) e quasi si rimpiangono i consigli di classe delle nostre scuole. Ignoranza crassa e sovrana.
Ultime dal Congresso
Negli Usa stanno approvando sei leggi che avranno poi un impatto notevole nel mondo dei big del tech (sulle conseguenze per Apple ho provato a scrivere qualcosa qui per Wired (opens new window)). Ancora devo studiarle, comunque, sono riassunte qui (opens new window). Le prime due sono relativamente semplici. Il primo disegno di legge aumenta la quantità di denaro che l'antitrust può utilizzare per regolamentare i mercati, il secondo è molto procedurale, serve a impedire che le aziende spostino il processo in tribunali dove i giudici sono più amici del mondo tech (tipo la California). Gli altri quattro progetti di legge sono stati pensati per i problemi specifici di Google, Apple, Amazon e Facebook, problemi apparentemente esposti nel rapporto tecnologico della commissione pubblicato l'anno scorso (il sottogruppo presieduto dal democratico David Cicilline). Il primo si chiama Access Act e impone alle grandi aziende tecnologiche di rendere i loro sistemi aperti ai concorrenti. Il secondo sulle fusioni rende più difficile per le grandi aziende tecnologiche acquistare i rivali più piccoli. Il terzo è sulla non discriminazione ed ha lo scopo di vietare la possibilità alle grandi aziende tecnologiche di preferire i propri prodotti a quelli degli altri (ad esempio, le ricerche di Google o di Amazon che portano a prodotti di Google o di Amazon anziché degli altri). Infine, il quarto è il disegno di legge sulla rottura dei monopoli che dovrebbe dividere le grandi aziende tecnologiche in parti più piccole vietando alle piattaforme di possedere qualsiasi attività che utilizzi quella piattaforma.
Yamatologica
Il sapore della memoria
Questa settimana il nostro dizionario tematico di giapponese si arricchisce di quella che chiameremo "double feature", come i vecchi cinema di una volta che facevano il doppio spettacolo. Due termini apparentemente scollegati tra loro se non per il fatto di essere legati all'ambiente alimentare ma che in realtà, secondo me, costituiscono quello che chiamo il "sapore della memoria". In particolare, la prima parola di cui parliamo è in realtà una marca: Men to sūpu dake (麺とスープだけ) vuol dire "Solo tagliatelle e zuppa" ed è il nome di una delle millemila varietà di zuppe e ramen instantanei che si possono comprare in millemila piccoli negozi in tutto il Giappone. Solo che questa, come dice il nome, è vegetariana, anzi vegana, e straordinariamente buona. Il perché assoluto non è dato saperlo (come si fa a sapere perché qualcosa è straordinariamente buono?), ma la Men to sūpu dake in realtà è un'ottima chiave per capire un'altra idea: la percezione del cibo, così come quella del suono, è fortemente legata all'esperienza e alle emozioni. Psicoacustica ma anche psicoalimentazione. Tipo? Mi viene in mente la ratatouille dell'omonimo cartone animato Disney, preparata dal topo-cuoco Rémy che provoca l'emozione sinestetica del critico Anton Ego, proiettato nei ricordi della sua infanzia campagnola (la caduta dalla bicicletta, la fattoria, la mamma, la ratatouille, piatto povero della provincia francese). Ecco, se trovate la Men to sūpu dake da qualche parte, magari non vi piace ma probabilmente dipende anche da dove eravate voi con la vostra vita quando l'avete trovata rispetto a dove ero io quando l'ho mangiata la prima volta. E passiamo alla seconda pietanza, anche questa vegetale. Anzi, è un ingrediente: il fuki (フキ), che sarebbe il Petasites japonicus, una variante del tipo petasites, che in Giappone si consuma soprattutto facendone arrostire sul fuoco i piccioli oppure mettendoli sottaceto o in salamoia. Mentre la famiglia di questa pianta perenne è praticamente universale, la variante giapponese è molto specifica, e viene moltissimo coltivata soprattutto nella prefettura di Aichi (愛知県, Aichi-ken), nonostante sia un alimento consumato tradizionalmente da tutti i giapponesi (salse, salsine ma si trova anche dentro alcuni tipi di sushi). Tuttavia, un altro posto dove ne trovano grandi quantità è nella Columbia Britannica, la più occidentale delle province canadesi (quella dove c'è Vancouver, per intenderci). Come mai? Non si tratta di una migrazione preistorica o di semi trasportati dalle correnti del Pacifico, quanto di una ragione molto più prosaica e triste: i semi del farfaraccio giapponese erano molto comuni nei giardini delle famiglie giapponesi che si erano trasferite in Canada all'inizio del Novecento sino a tutti gli anni Trenta. Durante la seconda guerra mondiale, però, una legge federale canadese (analoga a quella statunitense) privò i nippo-canadesi delle loro case e li fece internare nei campi di concentramento nella Columbia Britannica. Molte delle famiglie internate scrissero ai loro vicini di casa di origine europea (che quindi non erano stati arrestati) e gli chiesero se potevano andargli a prendere dai loro giardini radici e semi di fuki, e spedirglieli. Molti lo fecero e mandarono nei campi di concentramento buste e scatoline di semi: era uno dei pochi tipi di corrispondenza che non veniva censurato (le lettere scritte in giapponese sì) e fu così che in posti come Camp Tashme il fuki non solo venne coltivato, ma divenne anche un alimento molto importante per la dieta di alcune migliaia di nippo-canadesi, che erano costretti a lavorare alla realizzazione delle strade canadesi ma ricevevano assistenza in modo molto limitato e razionato per quanto riguardava il cibo. La coltivazione intensiva di fuki portò la pianta a riprodursi e moltiplicarsi nella zona. I campi di internamento sono durati dal 1942 al 1946, adesso la Sunshine Valley e le altre zone sono diventate aree agricole oppure sono state trasformate in quartieri residenziali. Le piccole distese di fuki selvatico però sono rimaste a testimoniare un passato che il Canada ancora più degli Stati Uniti cerca di non negare. Invece, basta sapere cosa guardare e torna il sapore della memoria.
Go!!!
Ok, interesserà a una persona e mezza, ma Densha De Go! (opens new window), il gioco di guida per treni che da vent'anni è una delle cose che adoro di più del gaming nipponico, nella sua versione per Switch uscita da pochi mesi ha appena ricevuto un upgrade. È stato messo in commercio (opens new window) un controller speciale di una terza parte (Zuiki) che permette di guidare il treno come se fosse un treno (con una mano sola, peraltro). Wow! Ne ho uno per il Dreamcast, non sono mai riuscito a comprare quello per Saturn (ahimè) e considero questo tipo di hardware meraviglioso. Tuttavia, costa troppo per importarlo: se torno a Tokyo però lo compro. Oppure mi servirebbe un basista in città che me lo spedisca. Anyone from Japan?
Variologica ed eventualogica
Il colore viola
C'è questo tizio che si è preso una fissa per il colore viola. Che è un colore particolare, difficile, raramente presente ad esempio in natura o nella pittura artistica, almeno fino a tempi recenti. È vero? Un tizio negli ultimi 20 anni (opens new window) ha visitato 193 musei in 42 paesi diversi, equipaggiato con 1.500 campioni di colore Munsell (i campioni standard mondiali per la scienza del colore) ed ha esaminato 139.892 opere d'arte, alla ricerca del colore viola. La sua conclusione? Che ci sono davvero solo poche opere d'arte prima del 1860 che contenevano questo colore. Ma dalla seconda metà del XIX secolo, il viola è diventato molto popolare. Questa sorprendente conclusione gli ha fatto chiedere: come mai la distribuzione e l'uso viola sono cambiati così drasticamente, in un momento così ben definito? Chiaramente, erano necessarie ulteriori ricerche e lui le ha fatte. Il motivo per cui ha iniziato tutta questa ricerca è che nei primi anni sessanta, quando era bambino in Unione Sovietica, si imparava a scrivere usando il pennino e boccette di inchiostro viola. E lui si copriva di viola da tutte le parti. Solo che fuori dalla scuola e poi negli altri paesi dove è andato a vivere di viola non ce n'era praticamente più traccia. A quanto pare non è mai venuto a Firenze pescare le lamprede o a mangiare il lampredotto. Si sarebbe risparmiato un sacco di gite nei musei.
I migliori giochi per Nintendo 64
L'ultima grande console da salotto alimentata a cartucce, il Nintendo 64 (con buona pace della Switch) ha appena compiuto un quarto di secolo. È uscita in Giappone infatti il 23 giugno nel 1996 (da noi è arrivata a marzo del 97). Sembra ieri. C'erano i joypad strani, avventurosi, innovativi, e c'era la potenza di calcolo della Silicon Graphics con il processore Mips (architettura Risc) a 64 bit. C'erano giochi tutti 3D: per la prima volta si poteva andare a vivere nel mondo di Hyrule e nel regno dei funghi come se fossero dei cartoni animati in tempo reale. Interattivi. Onirici. Quali i migliori? Secondo questa classifica (opens new window) vari. A me sono piaciuti moltissimo: Mario 64, Mario Kart 64, Zelda Ocarina of Time, Conker's Bad Fur Day, Donkey Kong 64, Banjo-Kazooie e il seguito Banjo-Tootie.
Hacking Ikea
C'è un numero crescete di piccole aziende o microaziende personali, soprattutto negli Stati Uniti, che offre delle modifiche custom a vecchi mobili Ikea (opens new window): è un business di personalizzazione low cost che sta crescendo piuttosto rapidamente ed è frammentato attraverso i social: gruppi Facebook, profili TikTok, su Etsy e via dicendo.
Giardinieri virtuali
E, visto che parliamo di personalizzazioni, perché non dedicarsi alle piante e piantine per la casa? Qui c'è un buon numero di giardinieri su Instagram (opens new window) che possono dare buone idee su come organizzare il verde nell'appartamento.
Pesci oscuri
I biologi stanno iniziando a sospettare che il 95% dei pesci vivano nelle profondità buie degli oceani, e ci siano praticamente sconosciuti, se non altro per stili di vita e attività. Secondo i biologi marini (opens new window), infatti, molte delle specie che vivono negli oceani sono particolarmente abili nell'evitare le reti e non li peschiamo quasi mai. Se davvero una così larga parte della biomassa marina vive in acque oscure a nostra insaputa, dovremmo studiarle meglio per ripensare il modello di funzionamento della vita negli oceani e in generale sul nostro pianeta. In particolare, il centro dei grandi vortici di corrente che muovono gli oceani sarebbero il posto dove c'è più vita, solo che non ce ne accorgiamo: ad esempio ci sono numerose famiglie di balene delle quali non sappiamo praticamente niente. Almeno 22 specie diverse, per essere precisi. Finora avevamo pensato che la maggior parte dei pesci e dei mammiferi marini vivesse lungo le coste, ma a quanto pare ci sbagliavamo.
Sindromi animali
C'è una zecca che vive nella parte orientale degli Stati Uniti, si chiama Lone Star (opens new window), che ti morde e immette nel tuo corpo una molecola di zucchero chiamata alpha-gal. In alcune persone quella sostanza attiva una reazione del sistema immunitario che dopo poco tempo produce una allergia anche grave alla carne rossa (vacca, maiale, agnello). Non è che poi uno deve diventare vegetariano (ci sono sempre i pesci e gli uccelli polli inclusi, per dire) però non c'è cura e, insomma, è un discreto incubo.
L'immagine dell'orrore
In Turchia, sul Mar Nero, c'è Burj Al Babas: è stata creata da due fratelli imprenditori edili. È una cittadina di 732 mini castelli inspirati al modello gotico centro-europeo che è alla base anche del castello della Regno della magia di Walt Disney, quello che si vede a Orlando, in Florida e nella sigla di tutte le produzioni Disney. È il castello delle principesse. È un orrore travestito da sogno. Anche perché il progetto è fallito (opens new window) e i 732 mini castelli non sono mai stati finiti e sono là, abbandonati.
Multimediologica
Ve li ricordate i Blondie? La band new wave americana della fine degli anni Settanta, tipicamente newyorkese (nacque suonando al mitico CBGB, dove c'erano anche i Talking Heads e i Television) accusata a lungo di essere "una garage band con una cantante carina", Debbie Harry, la "biondina" che cantava canzoni dal punto di vista del maschietto ma con un twist ironico e punk e l'attitudine da bad girl che ha lasciato un segno nella moda che dura da quarant'anni. Questo documentario (opens new window) racconta la loro storia che è un po' la storia di New York negli anni formativi della mia generazione (gli anni di Ghostbusters e Harlem contro Manhattan, ma anche di Andy Warhol e dello Studio 54, della Summer of Sam e di tantissime altre cose, tutte assieme). La pretty face sempre scazzata dei Blondie fece anche un po' di cose da sola, e una cosa divertente, in particolare: nel 1980 andò al Muppet Show, che all'epoca era come andare in prima pagina sul nostro settimanale Topolino negli anni Ottanta, e cantò una (opens new window), due (opens new window) e tre (opens new window) canzoni con Kermit la rana o la band (e la gang) dello show. Bonus: uno dei primi concerti dei Blondie (opens new window), a New York il 7 luglio 1979.
Tsundokulogica
Cosa leggerete questa estate? Sul mio tavolo c'è Nero come la notte (opens new window) di Tullio Avoledo, I ragazzi che scalarono il futuro (opens new window) di Maurizio Gazzarri e Atlas of Ai (opens new window) di Kate Crawford.
Fantastiche anche se fanno un po' paura: le illustrazioni originali di Lewis Carroll per le sue Alice’s Adventures Under Ground (opens new window) del 1864 (pubblico dominio, oh yeah).
Alcuni linguaggi da imparare: una bella lista di libri sul Lisp (opens new window), che permettono di imparare il linguaggio con un bel po' di esempi, Intuitive Python (opens new window) è un libro per sviluppatori che permette di lavorare sul progetto più che sul linguaggio (ingegneria del software e Python?)
Algoritmologica
Il disastro di Safari
Apple nelle scorse settimane ha presentato macOS 15, iOS 15, iPadOS 15 etc. Lo sappiamo (e ne ho scritto fino alla nausea, se devo essere sincero). Pian piano la versione preliminare dei sistemi operativi viene installata da un buon numero di sviluppatori e cominciano ad emergere le considerazioni e le valutazioni su alcuni aspetti delle novità. Una di queste è la nuova versione di Safari, il browser di Apple, che cambia interfaccia radicalmente. E questo cambiamento non sta piacendo, almeno non sempre. Riccardo Mori ad esempio è molto critico: lo definisce "a user interface mess". E poi motiva per bene (opens new window) il suo pensiero.
Dieci piccoli indiani dentro Windows 11
Per non allontanarsi troppo dai sistemi operativi, visto che questa settimana Microsoft ha presentato la versione numero 11 del suo sistema operativo, pesco un thread su Reddit in cui si discute un aspetto piuttosto interessante. Dentro il nuovo sistema operativo, per mantenere la retrocompatibilità e per motivi di inerzia, attrito e complessità strutturale (non so come altro definirlo) ci sono 1o differenti linguaggi e convenzioni di interfaccia: Win32, MMC, XP, Aero, Ribbon UI, Metro, Modern, XB1 dash, Fluent, e Sun Valley (opens new window). Non è un problema nuovo. Come scrive uno dei membri del forum, "The idea that Windows was uniform and consistent back in the 3.x days was.... lol."
Pezzetti di Vim
Se usate la riga di comando e usate VI o Vim (perché li usate, vero?) avete un mondo di cose da scoprire. Potete farlo anche su Twitter, se la vostra cosa è seguire i cinguettii altrui. I quattro account da seguire, nel caso, sono questi: @MasteringVim @learnvim @vim_tricks @be_vimmer_en
Piccole acquisizioni
Una buona idea imprenditoriale: una piattaforma online (opens new window) dove si possono comprare e vendere piccoli progetti tecnologici da meno di cinquemila dollari. Altamente automatizzata.
Coffee break
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L'ultima bustina (di Minerva)
La scatola magica
Mettere internet in una scatola e renderla disponibile in posti dove non c'è la rete. Reinventarsi l'innovazione offline, colmare il digital divide. Mettetela come volete ma il progetto Internet in a Box (opens new window) è qualcosa di molto interessante: portare contenuti open e free nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità svantaggiate di tutto il mondo. Il software che serve è poca cosa, si scarica l'immagine dei dati e poi si può usare un disco rigido, un Raspberry Pi, un router smart o qualsiasi altra cosa. Qui c'è un podcast della Bbc (opens new window) che ne parla meglio.
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.
“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”
– G.K. Chesterton
END
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