[Mostly Weekly ~08]
Japan and a little more
La newsletter omonima a margine del canale Telegram (opens new window)
(quella che esce quando è pronta)
A cura di Antonio Dini
Numero 8 ~ 28 aprile 2019
Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene
– Rosa Luxemburg
In questo numero:
- Seoul, we have a problem
- The Long Now, part II
- Sikakuipanda
- Tsundoku
SEOUL, WE HAVE A PROBLEM
Alcuni giorni fa mi è capitato di vedere un po' di cose sulla ricerca e sviluppo dal punto di vista normativo. È un tema affascinante ma complesso: ci si rifà per lo più al Manuale di Frascati (opens new window) realizzato dall'Ocse negli anni Sessanta e costantemente aggiornato, che offre un po' di definizioni, tra le quali spicca quella di prototipo (opens new window):
An original model constructed to include all the technical characteristics and performances of the new product
Quel che distingue il prototipo dal prodotto pre-serie è che, mentre il primo viene realizzato sostanzialmente per verificare se funziona, il secondo viene prodotto come quelli che verranno messi in vendita (ma non viene commercializzato) per verificare che non ci siano particolari difetti che possono emergere nell'uso sul campo. Con il primo si prova a vedere se sta insieme e si accende, con il secondo invece si verifica se anche la produzione in serie del modello definitivo proceda senza problemi o serva qualche correttivo.
Ecco, mi è tornata in mente questa distinzione quando ho letto le storie (opens new window) del Samsung Galaxy Fold, un oggetto che a quanto pare sta a cavallo di queste due categorie. Ma più dalla parte del prototipo (perché si rompe facile (opens new window)) che non del pre-serie. Il che è un vero problema, perché il pre-serie può avere dei problemi (ci sta, è fatto apposta) ma in genere funziona. È per questo che viene ad esempio dato in prova ai giornalisti e agli influencer: consente loro di farsi una idea (al netto di qualche ruvidità di funzionamento) per la recensione prima che il prodotto definitivo venga commercializzato.
Se invece si cominciano a mettere fuori dei prototipi che non è detto che funzionino (e infatti non funzionano (opens new window)) e per di più lo sai che è così, vuol dire che c'è un problema. Soprattutto se sei una delle più grandi aziende al mondo (opens new window):
The more I think about it the more obvious it seems that at some level of the company, they knew the Fold didn’t work. Engineering, production, quality control. They had to know. And either that message didn’t make its way up the chain, or it was ignored.
In altre parole, il Galaxy Fold è molto più che un passo falso da parte di Samsung: è l'idea che dietro ci sia una azienda con una disfunzionalità profonda, almeno secondo John Gruber (opens new window).
The Galaxy Fold saga is not a funny story about a $2,000 gadget that didn’t work. OK, you got me, it’s not just a funny story about a $2,000 gadget that didn’t work. It’s a sign of deep dysfunction within Samsung, one of the biggest companies in the world.
Sapevatelo.
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THE LONG NOW, PART II
Buone notizie dal fronte di Notre-Dame. L'apicoltore della cattedrale, un certo Nicolas Géant, ha scoperto infatti (opens new window) che buona parte delle 180mila api da miele che vivevano in arnie poste in alcuni terrazzamenti nella parte alta della struttura sono sopravvissute all'incendio. Tra l'altro, la maggior parte delle grandi strutture monumentali di Parigi (ma a questo punto mi viene il dubbio che sia così anche da altri parti del mondo) ospitano delle arnie (opens new window): Opéra Garnier, Musée d’Orsay, and Notre-Dame. Una spigolatura interessante e che la dice lunga sulle tradizioni e il desiderio di costruire con intelligenza. Immagino che da noi, a parte i piccioni, ci sia al massimo il rischio di trovare vespe selvatiche o magari topi e qualche altro "animaletto" sgradevole. Apicoltori dei monumenti italiani? Chissà.
Ho trovato solo un "apiario didattico" (ma che parola è "apiario"?) al mercato di Vicenza (opens new window) mentre una decina di anni fa era venuta fuori l'idea delle arnie da terrazzo (opens new window) presumo per potersi gustare il miele fatto in casa in alternativa all'orto di città.
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SIKAKUIPANDA
Le auto mitiche. Dalla Ferrari di Magnum PI alla "vera" Cinquecento, dall'Aurelia B24 Spider del Sorpassoalla prima Mini che vinceva il rally di Montecarlo negli anni Sessanta. E ovviamente la Panda, sogno dell'Italia dagli anni Ottanta.
Ecco, la Panda.
In Giappone c'è un tizio - Sikakuipanda (opens new window) - che è impallinato della suddetta Panda. Tanto da averne una, della prima serie, che fotografa un po' da tutte le parti in giro per l'arcipelago nipponico.
Il perché quest'uomo (presumendo che sia un uomo: ma forse è una donna (opens new window)) che io seguo su Instagram (opens new window) per una serie di casualità che non ho modo di ricostruire, non solo fotografi la sua Panda utilizzando per di più fotocamere analogiche, ma che abbia una Panda (opens new window) (e la fotografi (opens new window) in continuazione) sfugge completamente alla mia comprensione. Dopotutto, non leggo il giapponese e sinceramente non ho neanche voglia di rovinarmi la dimensione gradevolmente dissociante che trovare quelle immagini sparse nel mio feed Instagram mi provoca. (Non c'è solo la Panda: ogni tanto fotografa (opens new window) anche qualche Punto e una Cinquecento, oltre alla sua bicicletta e a vecchie macchine fotografiche perlopiù tedesche).
La delusione di conoscere la sua vera storia potrebbe essere cocente. Metti infatti che questo buon uomo sia un elettrauto di Forlì che è andato a vivere nell'Okkaido e si è portato dietro la Panda che gli aveva lasciato l'anziano nonno come unica eredità, assieme a una Ferrari. La Ferrari se l'è venduta per farsi traghettare la Panda fino in Giappone (e omologarla) e adesso prega che non gli si spacchi l'alternatore, perché in Giappone col cavolo che ne trova un'altro. Scherzo, ma il rischio ovviamente c'è: qui ad esempio si vede (opens new window) la tradizionale chiazza d'olio che le Fiat lasciano a tradimento nei parcheggi, salvo poi avere il livello sempre al massimo, probabilmente per empatia con il sangue nell'ampolla di San Gennaro.
TSUNDOKU
Perché, quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo
In questi giorni mi sono capitati fra le mani:
- Le stelle dei giganti (opens new window), James P. Hogan. È un piccolo capolavoro, un vecchio classico che poi ha avuto numerosi seguiti. Un libro che ho adorato (ne ho scritto tra gli altri anche qui (opens new window)) che Mondadori ha ripubblicato un po' di tempo fa (febbraio 2016) nella sua collana Urania Millemondi. Basta questa trilogia, che è ambientata in un futuro immaginato negli anni Settanta, per stare bene (ma volendo ci sono anche la quarta (opens new window) e la quinta e ultima parte (opens new window)).
- Una vita come tante (opens new window), Hanya Yanagihara: il romanzo si dice sia una bomba, ambientato a New York racconta la storia di quattro ragazzi uniti da una profonda amicizia che arrivano nella grande città e di quel che segue. Ma la cosa pazzesca è lei, Hanya, che in questa intervista (opens new window) al Guardian racconta le sue tre grandi passioni (arte, libri e viaggiare) nella suo loft in cui abita con 12mila libri e una tonnellata di quadri e foto. Vincitrice istantanea del titolo di "Regina dello tsundoku" (e il fatto che sia simpatica come una rissa tra ubriachi armati di coltelli aggiunge solo al personaggio). Da vedere subito per le foto della casa e il profondo odio per la città di New York che ci regala.
- Tokyo Style 1 (opens new window)-2-3-4, Moyoco Anno: è una serie manga di quattro volumi pubblicata dieci anni fa giusti giusti, che è spuntata fuori durante il mio personale decluttering primaverile. È un punto di vista al femminile sulla professione della giornalista a Tokyo, in un momento in cui esisteva ancora il giornalismo e avevamo voglia di scherzare. Sembra un film degli anni Ottanta-Novanta, e come tipico dei manga anche abbastanza surreale. Ottimo.
- Tokyo Style (opens new window), Kyoichi Tsuzuki: nonostante il titolo sia uguale a quello di sopra, è tutta un'altra cosa: una spettacolare raccolta di fotografie che documentano gli spazi abitativi di Tokyo: sì, vivono veramente in quelle che che possiamo definire solo come buche per topi o case di bambole disfunzionali. È chiaro perché la parola tsundoku se la sono inventata loro. E io che pensavo di avere una densità significativa di oggetti per metro quadrato...
- The Valedictorian of Being Dead (opens new window), Heather B. Armstrong: è il racconto di una blogger piuttosto famosa che soffriva di depressione molto forte ed ha partecipato a una terapia sperimentale tramite una serie di coma indotti chimicamente che hanno spento per un quarto d'ora la sua attività cerebrale. Ora sta bene. Qui ne parla (opens new window) il Guardian.
- 10 INSANE Out Of Bounds Details In Resident Evil 2 Remake (opens new window) di Captain Eggcellent e Slippy Slides: stavo seguendo le tracce di questo articolo (opens new window) che spiega come la scena dei modder stia lavorando al potenziamento della grafica di vecchi classici dei videogiochi usando le reti neurali, e sono finito su questo video di YouTube in cui Slippy Slides fa fare un giro "dentro" Resident Evil 2 Remake per vedere dieci particolari allucinantemente minuziosi che giocando è impossibile notare. Il canale (opens new window) di Slippy Slides è pazzesco.
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.
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