Dimmi quanto quanto quanto...
Cosa viene dopo la legge di Moore? Il computer quantistico. Dieci anni fa me lo spiegò Giorgio Parisi, che dieci anni dopo (ottobre 2021) ha vinto il premio Nobel per la fisica
(pubblicato il 14 ottobre 2011)
Morto un re, se ne fa subito un altro. Alle volte, senza neanche aspettare il funerale. È una regola millenaria, che si sta rivelando il più grosso problema dell'informatica d'oggi. Il re morente è la legge di Moore, quel principio stabilito nel 1965 da uno dei fondatori di Intel, Gordon Moore, in base al quale ogni 18-24 mesi raddoppia il numero di componenti di un processore e raddoppia, quindi, la sua potenza. Il problema, adesso, è trovare un nuovo re che la sostituisca.
Non è cosa da poco, perché rischia di incepparsi una macchina economica formidabile. Per mantenere fede a questa crescita esponenziale, Intel, Amd, Ibm, Freescale (ex Motorola), Sun Microsystems e gli altri nel mercato dei semiconduttori investono ogni anno circa 15 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. Così facendo mantengono acceso il motore dell'innovazione: processori sempre più potenti vuol dire nuove applicazioni più complesse, soluzioni a problemi più difficili, apertura di nuovi mercati come quello della ricerca bioinformatica, impossibili dieci anni fa. Ogni mattina migliaia di ricercatori si svegliano con una certezza: i computer di oggi sono un po' più veloci di ieri, e domani lo saranno ancora di più. Questa certezza alimenta decine di settori chiave della società. Se non fosse, però, che tra qualche anno non sarà più così.
La legge di Moore viene uccisa dalle leggi della fisica: gli elettroni scorrono sulle basi di silicio con foto-incisi fili di rame. Tra quindici anni al massimo, secondo molti tra cui lo stesso Moore, la miniaturizzazione supererà la soglia oltre la quale gli elettroni non hanno più spazio e la legge di Moore si esaurirà. Occorre trovare un sostituto.
"L'unica alternativa alla legge di Moore è quella del calcolatore quantistico", mi spiega il fisico Giorgio Parisi
Le tesi più conservatrici vedono nelle nanotecnologie una strada per tamponare il problema e ridurre ulteriormente i circuiti. Ma, per quanto ancora di là da venire, anche le nanotecnologie presentano un forte limite: migliorano una tecnologia che è già vecchia di quarant'anni. Per risolvere il problema una volta per tutte occorre cambiare dalla radice. E l'unica alternativa possibile si chiama calcolatore quantistico.
Il quantum computer potrebbe essere il nuovo re: "Sono alcuni anni - spiega Giorgio Parisi, fisico italiano di fama internazionale che si occupa di quantistica - che assistiamo a un aumento degli sforzi in questa direzione da parte sia della ricerca accademica che di quella industriale. Sia chiaro però che la soluzione ancora non c'è". Ma gli incentivi, però, ci sono tutti: per aver realizzato nel 1958 il primo circuito integrato, Jack Kilby, ingegnere della Texas Instruments, ha poi vinto il Nobel. Secondo il Wall Street Journal, "il primo ricercatore che firmerà un modello di calcolatore quantistico funzionante vincerà il Nobel". Il problema è che dell'elaboratore quantistico in teoria sappiamo tutto: come funziona, cosa può fare, quanto è potente. Ma in pratica non sappiamo come fabbricarlo.
I vantaggi di poter creare una tale macchina sono semplici: "Se un calcolatore quantistico avesse lo stesso numero di transistor di un computer odierno, cioè qualche centinaio di milioni di componenti, sarebbe miliardi di miliardi di volte più veloce", dice Parisi. Sarebbe in grado di rispondere in frazioni di secondo ai calcoli più complessi finora incontrati. Ad esempio, potrebbe rendere inutili tutte le forme di crittografia, "sciogliendole" come neve al sole. Oppure, potrebbe consentire ai biochimici di sviluppare decine di prodotti nuovi in pochi giorni. Infine, si potrebbero progettare automobili con motori talmente efficienti da percorrere centinaia di chilometri con un quantitativo minimo di carburante.
Il Qubit è come l'oracolo: a lui si pone la domanda e da lui si ottiene la risposta. Ma nel mezzo è vietato sapere cosa succede
Il funzionamento di questa macchina che non esiste si basa sulle proprietà di un tipo totalmente diverso di bit, l'unità logica delle informazioni di un calcolatore attuale: il Qubit. Il "quantum bit" sfrutta la proprietà quantistica chiamata entanglement di poter assumere nello stesso momento più valori: 1 e 0 anziché 1 oppure 0. Sembra un paradosso, ma c'è di più. Il Qubit è come l'oracolo: a lui si pone la domanda e da lui si ottiene la risposta. Ma nel mezzo, quando il Qubit viene utilizzato per eseguire il calcolo, è vietato sapere cosa succede. Qualunque interferenza, infatti, e il gioco non funziona più. "Per questo - dice Parisi - il primo posto dove potremmo mettere un calcolatore quantistico è lo spazio esterno, magari a metà strada fra due galassie. Là c'è una ragionevole assenza di interferenze tale da poterlo far funzionare".
Il problema sul quale si accapigliano i ricercatori che vogliono realizzare un elaboratore quantistico è proprio questo: come isolare i Qubit? La ricerca si è divisa su strade diverse: tecnologie ottiche basate sul laser, tecnologie basate sui superconduttori, altri modi ancora che prevedono l'uso di campi magnetici fortissimi. Un gruppo di ricercatori dell'università del Michigan ha appena descritto su Nature Physics quello che potrebbe essere il primo chip per un computer quantistico: un singolo atomo intrappolato all'interno di un circuito integrato "normale" e pilotato da segnali elettrici. Il chip, affermano i ricercatori, può scalare fino ad includere altre decine di migliaia di trappole per ioni che aprirebbero la via al calcolatore quantistico. Gli ottimisti dicono che così in cinque anni avremo il primo computer quantistico. I pessimisti dicono che ce la faremo tra trent'anni, o forse mai.
"In realtà - dice Parisi - non lo sappiamo. Quel che è certo, è che ancora manca un'idea vincente. Trovata quella, tutta l'innovazione che serve sgorgherà quasi da sé". E per il fortunato ricercatore ci sarà ad aspettare anche un Nobel come premio per aver trovato il nuovo re.
(pubblicato il 14 ottobre 2011)