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Il paradosso della scelta v. la coda lunga


Più scelta vuol dire avere migliori opzioni e quindi una maggiore soddisfazione? Oppure no, è vero il contrario? Il paradosso dell'economia al tempo di Internet si gioca sui nuovi mercati che essa stessa genera


Troppa scelta

‌(Scritto il 4 settembre 2006)


Secondo alcuni con Internet aumentano drasticamente le nostre possibilità di scelta, aprendo nuovi scenari di consumo e addirittura cambiando in maniera radicale (e in meglio) la società; secondo altri, invece, le troppe scelte ci portano in un vicolo cieco, oscurato dalla confusione di cataloghi infiniti che paralizzano il consumatore in un labirinto di opzioni generatrici di ansia e stress.

La prima tesi: grazie alla rete e ai beni digitali stiamo entrando nell'economia dell'abbondanza

Come tutte le grandi divisioni del pensiero, all'alba di una trasformazione che è sotto gli occhi di tutti, spesso si parla delle nuove teorie senza in realtà lasciare spazio alle fonti, cioè a chi queste teorie le ha concepite. Ed è un errore, perché in questo modo l'interpretazione tende a diventare più radicale dell'originale.

Da una parte, la teoria della "Coda Lunga", avanzata con un libro dal direttore del mensile americano Wired, Chris Anderson: grazie alla rete e ai beni digitali stiamo entrando nell'economia dell'abbondanza; Amazon, Netflix e iTunes permettono alle nicchie di diventare redditizie e aprono una nuova economia, diversa da quella dei best-seller, i (pochi) prodotti di successo ai quali l'economia di massa ci aveva abituati.

La seconda tesi: superata una certa soglia l'abbondanza di opzioni fa male e corrode proprio la libertà individuale del libero mercato

Dall'altra, la teoria del "Paradosso della Scelta", dello psicologo e sociologo Barry Schwartz, professore allo Swarthmore College negli Usa, il quale con il suo libro sostiene invece che superata una certa soglia l'abbondanza di opzioni fa male e corrode proprio quella libertà individuale che il libero mercato cerca di esaltare.

Due tesi apparentemente inconciliabili; andando a leggere i volumi dei due autori, però, si scopre che il conflitto in realtà è più sanabile di quel che sembra a prima vista.

Chris Anderson

Nel suo libro uscito questa estate negli Usa e non ancora tradotto in Italia, La Coda Lunga - Perché il futuro del commercio è vendere più di meno cose, Anderson attacca un solo teorico del nuovo pensiero digitale. E' Barry Schwartz, lo psicologo e sociologo americano che due anni fa ha pubblicato "Il Paradosso della Scelta - Perché meno è di più". In realtà, le due paginette in questione, intitolate "Troppa scelta?", sono solo una goccia nel mare delle argomentazioni - tutte costruite in positivo - dal giornalista laureato in fisica e direttore della rivista definita la "Bibbia della cultura digitale". Certo, Schwartz alla fine viene liquidato con una frase lapidaria: «L'alternativa a far scegliere le persone è scegliere per loro. Ma la lezione di un secolo di scienza delle vendite al dettaglio (insieme alla storia dei grandi magazzini sovietici) è che questo non è quello che i consumatori vogliono».

"In futuro non ci sarà un'economia fatta solo dalle nicchie; anzi, i due sistemi conviveranno per moltissimo tempo: nicchie e best seller"

Per il resto Anderson si prende cura della sua intuizione della Lunga Coda e non ne porta all'estremo le conseguenze. Sostiene infatti che "in futuro non ci sarà un'economia fatta solo dalle nicchie; anzi, i due sistemi conviveranno per moltissimo tempo: nicchie e best seller". Il suo maggior sforzo, nato in collaborazione anche con l'intelligenza della rete grazie al blog "thelongtail.com", è quello di articolare la teoria giustificandola con dati - e di numeri raccolti da Anderson nel suo libro ce ne sono tantissimi - e analizzare i cambiamenti che si stanno realizzando nei mercati.

Non ci sono solo Amazon, Netflix e iTunes, i tre negozi che utilizzano Internet per distribuire a costi bassissimi migliaia di prodotti ognuno dei quali destinati a pochi clienti, in grado di rendere complessivamente redditizie le nicchie. C'è anche una trasformazione dei modelli distributivi di interi settori industriali - come ad esempio l'industria cinematografica, quella televisiva e l'editoria tradizionale - che sta cominciando a delinearsi chiaramente. Il maggior pregio del lavoro di Anderson, insieme alla chiarezza e ricchezza di esempi, è proprio l'umiltà e la moderazione con la quale il giornalista si avventura nella costruzione dell'economia del domani. Un passo alla volta, senza fantasticare in rivoluzioni da bolla della new economy, ma con la sicurezza di un ragionamento strutturato e prudente.

In certi passaggi più conservativo dei suoi sostenitori, alla fine conclude concedendosi un breve cenno sul dopodomani, incarnato dallo sviluppo di stampanti tridimensionali. Quelle, cioè, in grado di riprodurre dai bit gli oggetti fisici. «Grazie a queste tecnologie, la domanda del domani non sarà "se più scelta sia meglio", ma invece: "che cosa vogliamo davvero?" Nello scaffale infinito, tutto è possibile». È l'unico volo di un testo con i piedi ben ancorati per terra.

Barry Schwartz

Anche l'acqua, se in eccesso, fa male. "Troppo" anche di cose che fanno bene, fa male. Troppa scelta, che sarebbe poi la base della libera economia di mercato e – se vogliamo affrontare anche il lato metafisico del problema – la base dell'autodeterminazione dell'essere umano, può far peggio della dittatura dell'omologazione e quindi far male.

Troppa scelta, infatti, vuol dire stress, ansia, aspettative ingiustificate, insoddisfazione finale. Insomma, nelle cose ci vuole misura. Ma, proprio come per la scolastica medioevale secondo la quale in medio stat virtus, anche la tesi di Schwartz è meno radicale di quel che sembri. È più un richiamo all'ordine, alla misura, anziché una negazione delle libertà individuali. Per rimanere tra i filosofi, più la moderazione degli stoici che non la prigionia dello stalinismo.

"Con scelte senza limitazioni produciamo risultati migliori di quelli di in un mondo più limitato, ma poi ci sentiamo peggio"

Barry Schwartz è un moderato per natura oltre che per convincimento e conduce il suo studio sul Paradosso della Scelta – che nella prima versione poi emendata occupava settecento pagine al posto delle 250 pubblicate nel 2004 da Harper – con prudenza e un imponente apparato critico. Ma le sue considerazioni non sono mai radicali e, a ben guardare, nel complesso neanche meritevoli della secca critica di Anderson. "In sostanza – dice Schwartz – quello che ho suggerito è che con una scelta senza limitazioni con le nostre decisioni possiamo produrre risultati migliori di quelli che potremmo dare in un mondo più limitato, ma è anche innegabile il fatto che poi ci sentiamo peggio".

L'idea di Schwartz, infatti, è a ben guardare più complementare che non contraddittoria rispetto a quella di Anderson: da un lato l'aumento della scelta conduce a un miglioramento oggettivo ma non soggettivo (Schwartz studia soprattutto la psiche e le emozioni più che le dinamiche economiche degli individui), dall'altro, l'economia delle nicchie di Anderson non postula la scelta infinita per tutti, ma una maggiore scelta negli ambiti specifici e settoriali (le nicchie) in cui prima i singoli non potevano muoversi perché isolati dai grandi e più variegati mercati.

Volendo spiegare l'apparente contrasto delle due tesi per riconciliarle, infatti, basta guardare il problema da una direzione diversa: Schwartz si preoccupa del benessere psicologico di soggetti esposti a un sovraccarico di informazioni, Anderson invece si appassiona delle possibilità portate da nuovi meccanismi che consentano di filtrare le informazioni non necessarie e raggiungere quel che si desidera in maniera più efficiente. Ogni rivoluzione, infatti, ha un'ala più progressista e una più conservatrice: entrambe sono però delle avanguardie testimoni di un cambiamento innegabile.

‌(Scritto il 4 settembre 2006)