Cibo creativo
Quando mangiare diventa il luogo delle idee. Nella Silicon Valley ritorna il convivio per innovare a partire dalle mense aziendali
da Cupertino (California)
Sushi e sashimi in dieci varietà diverse. Nigiri, Maki e Temaki, fra gli altri. Il pesce arriva in aereo dal Giappone durante la notte e il sushi-man è ovviamente giapponese doc. Oppure, la vera focaccia genovese: olio extravergine di oliva, farina, acqua, sale e cottura nel forno a legna. A fugassa deve essere dorata e croccante sopra ma morbida dentro, alta due centimetri e ben unta. E poi gli spaghetti, il brasato di manzo, il bollito, le pizze, i minestroni naturali, le “tacos de suadero” di ottime carnitas, il fillet mignon al sangue. Ma anche una ricca adobada: carne di maiale marinata in salsa di chili rosso con origano e aceto, insieme a verdure saltate e formaggio. Il tutto ovviamente appoggiato su una perfetta tortilla di granoturco.
Un normale giorno alla mensa aziendale di Apple, a Cupertino, oppure in una delle cafeterie di Google, a Mountain View, apre gli occhi sui motivi del successo per le aziende della Silicon Valley. Il clima e il menu degli ambienti dove si partecipa al pasto giornaliero. Lontane dalla concezione asettica e igienizzante delle nostre mense, posti dove si consuma il necessario rifornimento energetico su tavolini grigi e con vassoi altrettanto sciapi in attesa della seconda metà della giornata lavorativa, le “caffetterie” della Silicon Valley brillano di senso. C’è un’idea in chi le ha progettate: sono le mense in cui si celebra il momento conviviale e creativo della giornata. Sui tavoli colorati e nelle stanze ben illuminate c’è l’occasione per scambiare idee, parlare di nuovi progetti, persino scoprire un collega che può dare una mano a progettare un nuovo prodotto. I ragazzi e le ragazze (perché l’età media si discosta di poco dai vent’anni) sembrano modelli casual di una pubblicità di Oliviero Toscani: le etnie si mescolano attorno al cibo, unite alla voglia di stare insieme.
«A Clinton ho preparato la colazione quando è rimasto a dormire a casa di Steve Jobs. La mattina ha detto: “fammi compagnia e chiamami Bill”. Gli ho risposto “Sì, signor presidente”»
«Noi di Apple – spiega Francesco Longoni – ne abbiamo quattro, tra Cupertino e Austin in Texas. Ogni giorno 160 persone mettono in tavola qualche migliaio di pasti. Tutti di primissima qualità». Longoni, 43 anni emigrato negli Usa da ragazzo, ha l’orgoglio del self-made man: era venuto per fare il poliziotto negli Usa e poi, da cameriere al "Fornaio" di Palo Alto è arrivato a fare il manager delle cucine di Apple. Gestisce il personale e i fornitori, organizza l’approvvigionamento, prepara i menu, coordina mille attività insieme ad altri due emigrati italiani: Aldo Maggi e Gino Giampedroni. Ed è sempre a disposizione di Steve Jobs, il fondatore di Apple, e dei suoi amici più stretti: Bill Clinton e Al Gore inclusi. «A Clinton ho preparato la colazione quando è rimasto a dormire a casa di Steve Jobs: la mattina mentre cucinavo è sceso in maglietta e shorts e mi ha detto: “fammi compagnia, mangiamo insieme. E chiamami Bill”. Gli ho risposto “Sì, signor presidente” e ho messo sul tavolo le frittelle per tutti e due».
Il posto dove si mangia, osservavano gli Stoici, è importante prima di tutto per lo spirito. È il luogo in cui si sta insieme e in cui si temperano gli eccessi con la vicinanza dei propri simili. Il peccato di gola, in cui è più facile cadere in solitudine, si tramuta invece in allegria e rilassatezza. «Quello che chiedo a chi lavora nelle cucine di Google – dice Scott Giambastiani – è di amare il cibo che prepara». Giambastiani, nonostante il cognome italiano, non conosce il Bel Paese se non per i racconti che gli facevano i nonni. Nato in America, 36 anni e un figlio, ha la passione della cucina da sempre ed è uno degli chef di Google «Da noi, anziché una mensa centralizzata, ci sono tante caffetterie. Sono 17, con 650 dipendenti tra i nostri e quelli del catering di “Bon Appétit”. E ogni chef è responsabile anche della personalizzazione della sua caffetteria, in modo tale che andare a pranzo o a cena con i colleghi diventa come cercare un ristorante esterno, con un gusto e soprattutto uno stile sempre diverso».
Cibo di ottima qualità, gratuito. Stile architettonico colorato e giocoso. Attenzione alla qualità e ai dettagli. Tutto pensato per creare l’ambiente in cui far fiorire nuove idee
Google è diventata forse la più famosa tra le aziende della Silicon Valley per la qualità della sua cucina. È stata anche un’operazione d’immagine, con il cuoco già chef personale del gruppo rock dei Grateful Dead, Charlie Ayers. Ma Ayers ha lasciato nel 2006 Google per aprire il suo ristorante (Calafia, in omaggio alla regina mitica amazzone che dà nome alla California). E ha lasciato anche un progetto molto chiaro: cibo di ottima qualità, gratuito, nelle caffetterie e nelle stanze di ricreazione. Stile architettonico colorato e giocoso, attenzione alla qualità e ai dettagli. Tutto pensato per creare l’ambiente in cui far fiorire nuove idee e nuove associazioni.
Torniamo al numero uno di Infinite Loop, la strada di Cupertino dove ha sede il campus principale di Apple. Durante una normale giornata settimanale non è difficile aspettare in coda dietro a Steve Jobs che venga servita una ratatouille niçoise degna delle migliori trattorie nizzarde. Sul suo vassoio, una bottiglia di succo di frutta californiano e un bicchierone di frullato di verdura, con colori chiassosi che richiamano quelli vivaci della prima generazione di iMac. «Lo stile informale – dice Longoni – è una parte della ricetta per creare il giusto ambiente dove mangiare. E poi la luce, che deve entrare copiosa dalle vetrate. E anche la qualità del cibo, che deve essere il migliore. Ma l’ingrediente segreto alla fine sono le persone: se sono convinte di essere in un luogo speciale, dove viene apprezzata la loro creatività e viene lasciato spazio al loro desiderio di innovare, anche il pranzo si trasforma in un momento in cui si può generare valore».
(Scritto il 25 febbraio 2008)