[Mostly Weekly ~07]

Buona Pasqua!


La newsletter omonima a margine del canale Telegram (opens new window)
(esce quando è pronta)


A cura di Antonio Dini
Numero 7 ~ 21 aprile 2019


"You never change things by fighting the existing reality. To change something, build a new model that makes the existing model obsolete." – Buckminster Fuller


In questo numero:

  • Unicorn Ponzi scheme
  • The Long Now
  • Uno schermo per domarli tutti
  • Tsundoku

Bunny ~ Foto © Antonio Dini
Bunny ~ Foto © Antonio Dini

UNICORN PONZI SCHEME

Si sta per quotare in Borsa una delle società più criticate e utilizzate della storia: Uber. È una delle aziende che ha creato una categoria a se stante e il suo marchio è diventato il modo per definire un modello di business. È anche una società che sfugge moltissimi razionali economici (in termini di fatturato e di margini, ma anche di tipologie di mercati in cui entra, di relazioni con i propri collaboratori, di rapporto con i regolatori, di filosofia disruptive: qui c’è un’ottima lista di problemi (opens new window)). E Uber inoltre solleva - assieme ad AirBnB – anche dei forti problemi etici: il mondo che vogliamo è quello dove si sopravvive con la gig economy facendo gli autisti di Uber?

C’è sicuramente l’avidità della mano invisibile che guiderà la scelte di chi vorrà investire nell’azienda quando sbarcherà in Borsa, però lo considero un indicatore piuttosto significativo del punto al quale siamo arrivati. C’è un prima e c’è un dopo la quotazione di Uber, o più probabilmente ci sarà un "business as usual". Tuttavia c’è da chiedersi perché ciclicamente ci innamoriamo tutti quanti di questi scenari fantascientifici, di queste spinte tecnologiche che sono vestite dal marketing e dalla capacità di esecuzione ma da nient’altro da un punto di vista della credibilità del modello di business senza costanti investimenti di capitali. Uber non è vicino a rivoluzionare il mondo, e non è neanche nelle condizioni adeguate per rivoluzionare il mercato delle auto che si guidano da sole (che è lontano una decina o più anni e comunque casomai esplorato da aziende come Waymo (opens new window) di Google).


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THE LONG NOW
Nel mare di cose che sono arrivate sulle nostre spiagge mediatiche durante e dopo l'incendio di Notre Dame a Parigi, c'è anche un piccolo angolo che secondo me dà prospettiva.

C'è un protocollo, che è stato seguito dai vigili del fuoco: salvare le persone, salvare le opere d'arte, salvare l'altare, salvare se c'è ancora tempo i paramenti. E poi focalizzarsi sulla struttura. Anche perché quest'ultima è già previsto che possa dover essere ricostruita. A Versailles c'è un querceto che cresce da 160 anni proprio per questo scopo. In questo thread (opens new window) c'è la spiegazione. Ma sta tutta in questa frase:

This is The Long Now in action. It's what happens when you maintain civilization.


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UNO SCHERMO PER DOMARLI TUTTI
Visto che siamo sotto Pasqua la mia erraticità è, se possibile, aumentata ancora. E con essa la tipologia di schermi che mi porto in giro, e di annessi strumenti di scrittura. In questo momento ad esempio sto scrivendo questa parte della newsletter in markdown utilizzando una vecchia app (1Writer (opens new window)) sull’iPad Pro 11, salvando su Dropbox per poi fare un giro finale sul MacBook spero sabato sera o domenica mattina presto. Ma ci sono anche altre opzioni (opens new window): Mac mini, iPhone e adesso (per me, di nuovo) l’iPad mini (opens new window).

Ho ceduto all’idea che si possa fare molto l’iPad mini di quinta generazione, appena “rifatto” da Apple dopo anni di stasi (quattro, per la precisione), mantenendo lo stesso fattore di forma e tecnologia esterna (schermo da 7,9 pollici, lettore di impronte digitali e cornice “robusta” anziché riconoscimento facciale e cornice minimale) ma con processore e memoria più veloce e la compatibilità con la prima generazione di Apple Pencil.

È sostanzialmente uno speed bump - ma non solo - che però ha una sua logica. A partire dal miglioramento dello schermo, più luminoso e dotato di True Tone che fa una bella differenza, anche se quasi subliminale.

Nel tempo comunque ho scoperto che esistono quelli a cui interessano vari tablet e anche l’iPad - e sono sempre a discutere quale possa essere il migliore o quale quello da comprare, finendo per prendere di solito il più economico - e poi ci sono quelli a cui interessa solo l’iPad mini. Che sono una vera e propria categoria a se stante. Perché dell’iPad in generale non gliene frega niente, spesso non hanno neanche un iPhone, ma considerano il “mini” come la più grande invenzione del secolo e vogliono solo quello. Verrebbe da pensare che se il mini telefonasse anche...

Comunque, a parte un po’ di ruggine nel ripartire con un piccolo apparecchio che ho usato a suo tempo per più di un anno come computer da viaggio (opens new window) (e allora sì che viaggiavo leggero!), il ritorno al mini è stato problematico. Sarà l’età e il fatto che ho bisogno di schermi un po’ più grandi, sarà perché ci si abitua rapidamente alla tastiera dei Pro e allo schermo diviso in due per fare cose più concertate (lo fa anche il mini, ma non è la stessa cosa), comunque il mini non è più lo display tascabile capace di domare tutti gli altri. Per me - utente Apple monocolore - adesso è schiacciato tra l’iPhone XR (che ha lo schermo grande) e la coppia di gemelli peraltro in piena sovrapposizione MacBook/iPad Pro 11. 


iPad mini ~ Foto © Antonio Dini
iPad mini old ~ Foto © Antonio Dini

Ho provato degli scenari in cui è stato in effetti molto utile, ma ne vedo anche i limiti. Mi immagino usarlo come schermo smart sempre in tasca per chi possiede invece un telefonino non smart (una scelta di decluttering digitale, insomma) ma poi manca WhatsApp, che in molti casi è un problema, e tutta l’integrazione tra la parte telefonate e il resto del telefono (vedi sms, ad esempio). Oppure usare un iPad mini come anti-Kindle, per chi legge molto ma vuole anche avere con sé anche un po’ di funzioni smart (che però distraggono). Bloc-notes tascabile con penna intelligente?

Durante la mia prova me lo sono chiesto a lungo. Mi sa che alla fine è un po’ come la lirica per Pretty Woman: se ti piace ti piace, sennò non c’è niente da fare. E gli amanti dell’iPad mini ci sono e lo amano, a prescindere. Sta in tasca, lo schermo è magnifico, con il nuovo processore è veloce in maniera quasi imbarazzante, nella mia esperienza la batteria dura per più giorni, il sensore delle impronte digitali è molto veloce, la fotocamera posteriore da 8 megapixel fa buone foto e ottimi video, pesa niente (circa 300 grammi). Manca una cover con tastiera - che sarebbe veramente striminzita ma lo coprirebbe bene anche dietro, visto che le attuali smart cover di Apple proteggono solo lo schermo - e ho perplessità sull’uso della penna su uno schermo così piccolo, anche se è vero che non ci disegno e quindi chissà, magari per qualcuno è davvero utile.

In conclusione? Preferisco uno schermo più grande anche se continuo a guardare con invidia chi - e nella mia famiglia ce ne sono due - ama l’iPad mini e lo usa, a prescindere.


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TSUNDOKU
Quando si comprano libri e non si leggono ma si accumulano e basta, c'è una parola (giapponese) per dirlo

In questi giorni mi sono capitati fra le mani:

  • Contro l’ideologia del merito (opens new window), di Mauro Boarelli. Dopo aver comprato un po' di libri che indagano la contemporaneità digitale e politica (vedi Mostly Weekly #4), mi sto allargando anche su temi che potremmo definire più tradizionali. Mi piace il titolo da bastian-contrario. È molto documentato ma la sua tesi alla fine non mi convince: mescola un po’ troppe cose diverse.
  • Just my type (opens new window), di Simon Garfield. È un classico di pochi anni fa ma che fa da ottima introduzione al mondo dei font. Ce l'ho in casa da anni ed è uno dei pochi libri che sei giustificato se ti accontenti solo di guardarlo (dopotutto ci sono i font, no?).
  • Il maestro di Garamond (opens new window), di Anna Cuneo. Mi è tornato in mente visto il precedente (sto lavorando a una cosa sulla tipografia). Questo è un vecchio romanzo che non ti cambia la vita ma secondo me vale la pena lo stesso. È la storia di gente che ha fatto i font (Mr. Garamond, you know), ma è anche un potente romanzo storico sulla... tipografia. Beh, originale, no? Lei è una singolare scrittrice della Svizzera italiana, semi-sconosciuta da noi ma decisamente brava, che è specializzata in romanzi storici.
  • The Smile Sessions (opens new window), dei Beach Boys. È tornato fuori perché considerato uno dei vinili più importanti dell'epoca. Ha una storia travagliata: le “sessions” sono una raccolta che comprende materiale attorno e di Smile, un disco che venne registrato ma mai commercializzato dai Beach Boys perché non piaceva a Brian Wilson. Dopo averlo sentito, come dargli torto?

I link non hanno alcuna affiliazione, puntano solo all'oggetto culturale citato.


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